HomeArticoliFare teatro in Sicilia: una questione meridionale. Codex a Noto

Fare teatro in Sicilia: una questione meridionale. Codex a Noto

La decima edizione del Codex festival di Noto (Siracusa), sotto la direzione artistica di Salvatore Tringali, è stato un atto di resistenza: nell’assenza dei finanziamenti sperati e del sostegno delle amministrazioni locali, il Codex è stato anche un momento di riflessione su certi limiti dell’offerta culturale siciliana – e non solo. Abbiamo seguito due incontri l’8 e il 9 settembre, presso il Teatro comunale Tina di Lorenzo.

In foto: Salvatore Tringali – Foto di Bruno Castobello

Da dieci anni, il Codex Festival di Noto (Siracusa) si pone l’obiettivo di avanzare una proposta contemporanea in un territorio poco avvezzo alle ricerche multidisciplinari. La sua ideazione si deve a un gruppo eterogeneo di artisti, tra i quali l’attore Salvatore Tringali, allora di ritorno in Sicilia dopo gli studi accademici a Roma e attuale direttore artistico. Il rapporto con le amministrazioni non sempre è stato costante; quest’anno, ad aggravare il quadro è intervenuta la mancanza degli sperati finanziamenti del Fus. Il festival si è tenuto comunque, mediante il reperimento fortunoso di fondi – esigui – stanziati dagli enti locali: per questo motivo, nella programmazione sono stati inseriti anche momenti di autocritica e riflessione politica. Il ciclo di incontri, dal titolo (R)esistenze. Città geografie linguaggi, curato da Tringali e Rosalba Ruggeri, ha rappresentato un momento di pausa, utile a fare il punto su una questione atavica: il problema della gestione dell’offerta culturale nell’isola, con particolare riferimento alle arti performative e ai relativi festival. Hanno partecipato operatori e operatrici culturali sia siciliani che “italiani” – interessante contrapposizione, emersa inconsapevolmente dai discorsi dei e delle varie partecipanti.

In foto: Massimo Carosi, Salvatore Tringali e Rosalba Ruggeri – Foto di Bruno Castobello

Le arti sono sempre espressione del contesto nel quale vengono create e diffuse: anche la condizione di teatro e danza, in Sicilia, è cartina tornasole di problemi strutturali. Qualcuno avanza gli immancabili argomenti etnologici. Per Andrea Burrafato, direttore artistico dello Scenica Festival di Vittoria (Ragusa), gli operatori culturali siciliani aspirano a essere «capofila di treni senza vagoni». Immagine gattopardesca, efficace se si considera che l’impossibilità di “fare rete” è un problema denunciato da molti delle e degli autoctoni autoctone presenti. Ma non si possono neppure tralasciare i fattori logistici, oltretutto chiari anche a Burrafato: le grandi distanze, la mancanza di infrastrutture adeguate ostacolano contatti e trasporti. A proposito di treni, basti pensare che l’isola, prima regione italiana per estensione, dispone di 1479 km di linee ferrate contro i 2397 della Lombardia. Per quanto riguarda le strade, poi, buona parte dei ben 898 km di asfalto che solcano Trinacria è in stato di degrado avanzato. Forse è inevitabile che le singole esperienze culturali si presentino come cattedrali nel deserto, associate a nomi di personalità forti e frequentate da un pubblico vicino, fidelizzato e spesso ristretto.

Difficile insomma trovare i compromessi utili alla creazione di organismi ampi e strutturati, comprensivi delle piccole realtà sparse sul territorio. La difficoltà di “circuitazione” è oggettiva, e non solo legata a questioni caratteriali. Questione calda, se si considera che il valore di una performance è misurato anche sulla base della sua vendibilità all’interno del contesto nazionale; tra i criteri che rendono una produzione più appetibile agli occhi del Fus è la sua possibilità di essere distribuita in cinque regioni. Come dice il palermitano Giuseppe Provinzano, direttore artistico della Babel Crew e curatore del Mercurio Festival, manca un “equilibrio territoriale”. Per forza di cose, per una compagnia siciliana «la cosa più difficile è raggiungere le altre regioni» e stabilire rapporti proficui anche per la crescita culturale. D’altronde, scrive Dario Fabbri in Limes: «L’Italia non sa che fare della Sicilia. Non dispone della principale isola del Mediterraneo ma non se ne rammarica». La regione, con le sue tre basi Nato (a Sigonella, Augusta e Niscemi) deve essere relegata alla marginalità nella quale si trova, a garanzia degli equilibri politici di cui la mafia è tutrice. Per gli e le intervenute a Codex, lavorare in Sicilia è infatti una “lotta” contro un sistema ingrato o indifferente. Osserva Michele Trimarchi, economista culturale e professore ordinario presso lo Iuav: «l’ecosistema siciliano è intimamente ostile» e costringe a intraprendere imprese «nonostante». Le significative esperienze del Teatro Biblioteca Quarticciolo, descritte a Codex da Antonino Pirillo, e del Festival Danza Urbana di Bologna, rappresentato da Massimo Carosi, rimangono modelli poco applicabili nel contesto isolano: anche deponendo i narcisismi, non esisterebbe una struttura economica e amministrativa disposta a sostenerle.

In foto: Massimo Carosi, Filippa Ilardo, Rosalba Ruggeri, Simona Scattina e Salvatore Tringali – Foto di Bruno Castobello

Ma è vero pure che la Sicilia non si aiuta affatto. Trimarchi e Roberto Zappalà, fondatore del catanese Scenario Pubblico (Centro di Rilevante Interesse Nazionale per la Danza), denunciano a questo proposito l’insufficienza delle università. Troppo legata a modelli obsoleti, noi diciamo baronali, e poco efficace nella creazione di professioni utili alla gestione della vita culturale: questi i caratteri della formazione accademica dal loro punto di vista. Così, ogni anno 10.400 siciliani «spesso giovani, preparati, laureati, fanno le valigie e cercano lavoro altrove», come emerso dal rapporto Migrantes del 2021. I risultati? L’assenza di una dirigenza culturale competente, cui si lega in parte la perdita di finanziamenti come quelli previsti dal Fesr – Fondo europeo di sviluppo regionale: solo nel febbraio 2022 la Regione ha mandato in malora il 69% di 757 milioni di euro.

Foto di Bruno Castobello

È dunque un miscuglio di inclinazioni personali e limiti strutturali a complicare l’attività di operatori e operatrici le quali, comunque coraggiosamente e con grande serietà professionale, decidono di intraprendere una lotta impari, raggiungendo risultati sempre più considerevoli. Sempre “nonostante”: come afferma Simona Miraglia, chi lavora nella cultura siciliana è un «fantasma», una creatura invisibile, oggetto di interesse solo quando la sua opera ottiene un riconoscimento ministeriale. Ricordiamo che Miraglia, insieme a Filippa Ilardo e Simona Scattina, è parte del coordinamento di Arcipelago – Osservatorio per i festival della scena contemporanea in Sicilia, nato nel 2019 da una tavola rotonda nell’ambito del Performare Festival, con l’intento di mappare e connettere le manifestazioni festivaliere della regione. Per cui non è neppure risolutivo sciorinare continui mea culpa: in fondo, la maggiore difficoltà è nel raggiungimento di standard nazionali indifferenti alle condizioni di partenza delle singole regioni – impostazione, questa, in tutto solidale con la tanto lodata retorica del merito. Almeno adesso, rispetto al passato, se ne ha maggiore coscienza, come Miraglia dichiara decisa. Con tutto il carico di responsabilità che ne deriva: intanto il dialogo è stato avviato, in vista di ulteriori sviluppi.

Tiziana Bonsignore

Codex Festival – Teatro Tina di Lorenzo, Noto – Settembre 2022

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