Recensione. Daniele Spanò parla di cambiamento climatico sul palco del Drama Teatro di Modena per VIE Festival 2022, coprodotto dalla Sagra Musicale Malatestiana.
C’è una costante nell’atteggiamento dell’umanità nel dibattere attorno alla questione ambientale: la tendenza a considerare il concetto di catastrofe come inevitabile, perché planetario, perché percepito con una forma di passività grammaticale in cui il soggetto, l’essere umano, non compie ma subisce l’azione. Questa tendenza millenaristica, in fondo, non differisce poi molto dall’idea che i primi umani sul pianeta ebbero dell’universo, ossia come di una entità sovrumana che scagliava ciclicamente il proprio diluvio o terremoto, o solo una tempesta insomma, sull’inerme popolazione. E per dare almeno una disciplina a quel caos da comprendere, lo chiamarono Dio. Eppure, come avverte Daniele Spanò nelle note a questo Forma Sonata che ha debuttato per VIE Festival al Drama Teatro di Modena, questa idea di catastrofe che da un lato immobilizza dall’altro si fa quasi attraente, spinge a non considerare la propria responsabilità ma solo gli effetti passivi della distruzione. Allo stesso tempo, sempre Spanò, inquadra come questa deresponsabilizzazione abbia a che fare proprio con “l’identificazione della parola cambiamento come fattore negativo”, e sembra così porre l’attenzione su una chiave critica fondamentale: quanto stiamo incidendo, sul piano linguistico, sulla narrazione del tema ambientale?
Ma prima viene la scena: un infinito nero in cui luce e voce compariranno come feritoie, le sonorità ambientali (le musiche e il sound di Angelo Elle) sono metallo inabissato nell’ombra, solo allora il corpo – la soprano Arianna Lanci che cura anche la selezione musicale – apparirà come in sovrapposizione dimensionale, mostrando nel buio, o meglio dal buio, solo il volto e le braccia in chiara luce (la cura del movimento è del coreografo Alessandro Sciarroni). Al centro dell’oscurità ecco la luce, uno squarcio verticale sale e scende lungo una latitudine incerta ed essa cresce di spessore pian piano che il canto, rivolto alla fenditura, amplifica le proprie note (canta Piangono al pianger mio la soprano, testo di Ottavio Rinicucci su musica di Sigismondo D’India). Ora lo sguardo è pronto ad affondare in qualcosa di più vasto e saranno quattro pannelli orizzontali a offrire il campo visivo, vi scorre il fluido del vetro che suggerisce ma allo stesso modo impedisce di specchiarsi, un’immagine che mostra la propria lacrimosa fragilità, è la natura che instilla un languore malinconico, come un acquarello che abbia sfumato, infine svanito, la forma e così la funzione.
Un’immagine però vi appare limpida: è la nuvola nera, enorme, che sovrasta la città; una minaccia incombe sull’umanità latente, il canto si fa lamento che da un microfono insinua la vibrazione ondulata del vento estesa in loop, l’immagine si volge all’inverso sui volti di chi produce istantanee cartoline della città – Venezia, paradigma degli errori e al contempo della presunzione umana – allagata e morente. Fulmini, infine. L’elettricità degli dei olimpici è la stessa che innesca la tecnologia di quelle fotocamere da turisti, un cortocircuito si prende l’intero spazio, come se tutti i dispositivi da cui inquadrare scorci malati della città che muore fossero finiti in acqua ad annegare, così, sorrisi ingenui dell’umanità che accecata muore. Il pianeta, muore. O si trasforma, cambia. E una Terra allora deformata, non più circolare ma come una zolla deturpata, esplosa, compie la sua rotazione nell’ultimo dei pannelli, anche la donna ruota e vi si volge, un canto funebre di Mille rimpianti (testo anonimo su musica di Josquin Desprez) la accompagna alla fine.
Una visione, quella di Daniele Spanò, in cui voce e luce si spingono a cercare una rappresentazione dell’umanità. Forma Sonata – già presentata in una configurazione installativa con il titolo di Ultimo Movimento nel 2021 per RGB Festival e ora prodotta in collaborazione con la Sagra Musicale Malatestiana – entra in una relazione molto intensa con lo spettatore, sviluppa teatro convocando sul palco caratteri differenti, fa dialogare cioè elementi che provengono da territori distanti tra loro ma che la mano sapiente di Spanò sa disporre e amalgamare. Che ciò avvenga grazie a un artista visivo, che negli anni si è espresso maggiormente nella dimensione installativa o collaborando con registi più espressamente teatrali, è una nota assai significativa, perché mette in luce la frattura ultradecennale tra la produzione degli anni Zero, in cui eccelleva per esempio un gruppo come Santasangre (Spanò ha collaborato spesso con l’ex Santasangre Luca Brinchi), e quella di questi anni in cui si fa più fatica a trovare nelle programmazioni lavori con queste caratteristiche. Certo le difficoltà produttive dell’intero comparto dello spettacolo dal vivo sono decisamente responsabili del cambiamento, ma è probabile che anche la qualità della sperimentazione tecnica, non trovando più luoghi ove testarsi (il Collettivo Santasangre, restando all’esempio, fu artista residente in un centro sociale alla periferia di Roma, ora chiuso; lo stesso Spanò fa nascere le proprie creazioni nel piccolo Ostudio sempre a Roma), stia risentendo di questa difficile temperie culturale.
Simone Nebbia
Drama Teatro, Modena. VIE Festival – ottobre 2022
FORMA SONATA
Di Daniele Spanò
Drammaturgia video-sonora Daniele Spanò e Angelo Elle
Regia, scena, luci e contenuti visivi Daniele Spanò
Musiche e sound design Angelo Elle
Voce e selezione del repertorio cantato Arianna Lanci
Con Arianna Lanci
Cura del movimento Alessandro Sciarroni
Assistenza e coordinamento tecnico Alessio Troya
In video Ivan Spanò e Bianca Maria Karpati
Riprese video Maria de Los Angeles Parrinello e Daniele Spanò
Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale. In collaborazione con Sagra Musicale Malatestiana
Si ringrazia:
per la consulenza al disegno luci: Giulia Pastore
per la collaborazione: Daniele Davino, RGB light festival, Ostudio Roma