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Corpi in movimento tra le Micro e Macro drammaturgie della danza

Al Teatro di Anghiari si è tenuto il Simposio sulle Micro e Macro Drammaturgie della danza. L’incontro, patrocinato da Anghiari Dance Hub, è stato un momento di restituzione delle riflessioni in merito alle nuove drammaturgie esposte tra Danimarca, Cipro, Paesi Bassi e Repubblica Ceca finanziato dal programma Europa Creativa.

Foto Nela Wojaczková

I corpi, intesi sia nella loro materialità soggettiva che nel loro essere oggetti culturali, sono il mezzo attraverso il quale la realtà si compie. Tra il 2020 e il 2022 a seguito del progetto Micro e Macro Drammaturgie nella danza, finanziato da Europa Creativa – che ha visto come collaboratori le organizzazioni Tanec Praha in Repubblica Ceca (in veste di coordinatore), Bora Bora per la Danimarca, Dance House Lemesos di Cipro, DansBrabant nei Paesi Bassi, e Anghiari Dance Hub e Marche Teatro per l’Italia – si sono susseguiti incontri e riflessioni in merito alle nuove drammaturgie influenzate dalle teorie elaborate negli anni ’90 dalla drammaturga fiamminga Marianne Van Kerkhoven. Nel Teatro di Anghiari si è tenuto un simposio di approfondimento come cornice conclusiva di un seminario a Polverigi per aspiranti dramaturg under 35, sotto la direzione di Guy Cools; il dramaturg belga è stato curatore scientifico di tutto il progetto europeo, insieme alle colleghe Katalin Trencsényi, Maja Hriešik, Anne-Marije van den Bersselaar e del collega Alexis Vassiliou.

Foto Francesco Dejaco

Per micro e macro drammaturgie si intendono due processi creativi concentrici che hanno come perno le relazioni: se nel micro queste sono interne ai meccanismi produttivi, nella dimensione raccolta della compagnia, nella macro la sfera si estende oltre i confini civili, nella comunità-mondo. Come sostiene Alessandro Pontremoli (docente universitario e qui moderatore dell’incontro) in apertura: “È necessario recuperare, nelle produzioni artistiche, quello che era il valore etico dell’estetica, così com’era prima delle teorie kantiane; teorie che hanno influenzato largamente il pensiero occidentale fino ad Adorno”. Le forme d’arte, nel nostro tempo, non possono semplicemente esprimere un furore creativo, oppure una modalità tutta personale di produrre immagini; l’arte non può risolversi nel soddisfacimento di esigenze sentimentali, o comunque non può fermarsi a questo primo stadio della percezione. L’individualismo creativo non è l’estremizzazione di un solipsistico psicologismo, ma uno strumento per comprendere e raggiungere le alterità. Proprio come scriveva Van Kerkhoven «[…] una produzione prende vita attraverso la sua interazione, attraverso il suo pubblico e attraverso ciò che sta accadendo al di fuori della sua stessa orbita. E intorno alla produzione c’è il teatro e intorno al teatro c’è la città e intorno alla città, per quanto possiamo vedere, c’è il mondo intero e persino il cielo e tutte le sue stelle. Le pareti che uniscono tutti questi cerchi sono fatte di pelle, hanno pori, respirano»; attraverso questi pori devono passare le complessità dei giorni nostri.

Foto Nela Wojaczková

Il più delle volte, chi consente al micro e al macro di comunicare è la figura, poco conosciuta in Italia, del Dramaturg. Per dramaturg si intende, almeno da quando nel 1767 Ephraim Lessing ne identificò la presenza, colui o colei che consente la messa in scena di un testo drammaturgico. Se è facile comprenderne l’implicazione nel teatro di parola, nella danza la questione si complica; il principio di una normalizzazione avviene nella collaborazione tra Pina Baush e Raimund Hoghe dal 1979 al 1990 con delle peculiarità di relazione. La danza (così come è illustrato in un saggio dello stesso Pontremoli: Problemi di drammaturgia della danza) ha necessitato di un parziale allontanamento dei meccanismi teatrali di rappresentazione pur mantenendone la componente simbolica (che, per intenderci, è quella narrativa): venendo meno la rappresentazione, crolla l’immagine della coreografia che diventa così “timing dei gesti” e lascia spazio alla presenza reale dei danzatori. La danza diventa azione reale, e si eclissano le gerarchie di produzione poiché il risultato finale è frutto della collaborazione di ogni componente. Se si disgrega la macchina della rappresentazione cambia di conseguenza anche la postura del pubblico, che vive realmente, insieme ai danzatori, la performance con l’obiettivo (chissà quanto realmente raggiungibile) di scartare l’idea della fruizione come consumo.

Foto Nela Wojaczková

Il dramaturg, allora, deve regolarsi all’interno di questa nuova conformazione delle compagnie mediando tra le individualità coinvolte, con il rischio tuttavia di venir percepito come figura autoritaria, o troppo coinvolta nella relazione con la platea: questo in parte giustifica l’affermazione della performer Cristina Kristal Rizzo, in veste di interlocutrice del simposio, di rifiutare la figura del dramaturg nei processi creativi. Come invece spiega Cools, il dramaturg non è una personalità impositiva, ma una guida, un «corpo esterno»; elenca, sostenuto da una solida base teorica, delle figure metaforiche che riferiscono al ruolo: la levatrice e l’aiuto cuoco, ad esempio. Come cardine di relazione c’è l’immagine del testimone somatico desunto da Ann Cooper Albright (da Choreographing Difference. The Body and Identity in Contemporary Dance) per una dimensione etica e condivisa, per giunta, col pubblico: «Essere testimone di qualcosa implica una reattività, la risposta / abilità dello spettatore nei confronti dell’esecutore. È radicalmente diverso da quello che potremmo chiamare lo sguardo “consumante” che dice “qui, mi intrattieni, ho comprato un biglietto e mi siedo e guardo”. (…) Al contrario, ciò che chiamo testimonianza è molto più interattivo, è un tipo di percezione (con tutto il proprio corpo) impegnata in un processo di dialogo reciproco». La ricerca operata per una corretta messa in scena consente alla componente artistica di sviluppare al meglio il processo creativo nella elaborazione di un senso da comunicare: anche lì è il valore etico, politico, dell’azione reale.

Foto Nela Wojaczková

In questo senso, che mantiene dritta e presente la relazione con l’esterno, le esperienze di Hildegard De Vuyst e Maja Hriešik, anche loro interlocutrici ad Anghiari, sono state le più interessanti e coinvolgenti: la prima espone il proprio lavoro con la compagnia australiana Murrungeku sulle testimonianze dalle prigioni in Tanzania, con una ricerca approfondita a partire dal casting, che ha coinvolto danzatori non professionisti, fino alla riproposizione scenica di una temporalità non lineare che risuonasse dalle percezioni delle comunità aborigene («La Drammaturgia è inerente alla vita»). Hriešik lega alla sua ricerca di dramaturg un solido attivismo politico che è assolutamente pratica drammaturgica, poiché «la creazione artistica è un processo di esistenza della quotidianità» e, si aggiunge, anche di miglioramento della condizione quotidiana: da qui le operazioni di occupazione e rigenerazione di spazi offerti alle produzioni artistiche, nell’atto di attribuirsi la diretta responsabilità delle proprie volontà artistiche indipendentemente dalle normalizzazioni e dai contributi assistenzialisti dello Stato. Lontani da una soluzione teorica ed effettiva, viste le peculiarità e le complessità esistenziali di ogni micro, si intravede all’orizzonte emergere il macro. Ma è chiara una cosa: che le arti siano espressione di chiunque, per chiunque.

 Valentina V. Mancini

Teatro di Anghiari – ottobre2022

Interventi di Gerarda Ventura, Guy Cools, Alessandro Pontremoli, Cristina Kristal Rizzo, Enrico Pitozzi, Hildegard De Vuyst, Maja Hriešik, Piersandra Di Matteo e Matteo Fargion

Con il contributo del Ministero della Cultura e il sostegno della Regione Toscana e Comune di Anghiari
In collaborazione con Marche Teatro

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