HomeArticoliAssoli omonimi e opposti. Due Rizzo a Torinodanza

Assoli omonimi e opposti. Due Rizzo a Torinodanza

L’italiana Cristina Kristal Rizzo, e il francese Christian Rizzo sono stati programmati a distanza, con due rispettivi e molto diversi assoli, al Festival Torinodanza, e hanno trasformato l’indeterminato dell’occasione in una fortuita circostanza capace di opposte intese.

Foto Cristina Rizzo

La ricerca attuale di Cristina Kristal Rizzo sugli stati dormienti e di abbandono e di ipnosi, tutta centrata sul dar fondo alle intensità più che alle agency del movimento, è a un punto, per me, di difficile cattura. La prima parte di questo Monumentum-the second sleep (il titolo allude alla partitura di Stravinskij: Monumentum pro Gesualdo da Venosa ad CD Annum, del 1960, basata su tre madrigali del compositore italiano tardorinascimentale Gesualdo da Venosa), è «il solo», e consiste in un vibratile assolo della danzatrice giapponese (di base a Berlino) Megumi Eda. Visto a Torinodanza, nella sala grande delle Fonderie Limone, è pieno di mille lente suggestioni, autocomposto di infinite variazioni e di attese immaginali sul corpo e la sua vita, anche statica, sul palco. Ma si tratta di una presenza circondata (occorre riconoscere) da pochi oggetti di nessuna aura, che in uno spazio così importante e definito è difficilissima da intercettare. Di spalle al pubblico, ma di fronte a un fondale che è un sipario quasi chiuso, Eda inizia una lenta ricognizione di questo luogo che diventa quasi solo mentale (è il retro del consapevole? o il rovescio del cosciente?). I movimenti, le pose in transizione (tra ferrei tendu jeté e sospesi off-balance), e le brevi sequenze più in dinamica mostrano a tratti una voce del corpo, generano un gesto capace di trasformarsi in affetto. Ma l’impressione è più quella di un lasciar fare, di intese sottili, e di attese improduttive di forme, condotte a un certo punto sotto una rete mimetica decisamente esoterica.

Per niente aiutati dal disegno luci di Gianni Staropoli, fortemente progettuale ma poco funzionale, a tratti è anche inutilmente decorativo (con tutto ’sto solito squadrone di luci al led su americana, fissata perpendicolare in parallelo al proscenio). Né dalla musica che comprende tutto (Gesualdo, rumoristica, evocative campiture elettroniche e sezioni ritmiche nonché il vocale di un film di Kurosawa), alla fine la scena resta imprendibile perché sembra inseguire soltanto il tempo istantaneo dell’interprete. Il formato sarebbe stato meglio assemblato in uno spazio ristretto e installativo, con una possibilità di intimità e di condivisione più forte, piuttosto che nella larga frontalità di questo spazio che soggioga, e dove tutto è estenuato. Tanta chiusa ricerca analitica sulla (presunta) magia dell’interprete, e tanta rinuncia alle memorie di movimento ch’essa senz’altro porta con sé, sembrano allora una scuola di bagliori.

Fernanda Sanchez-Paredes

Tutto al contrario, invece, En son lieu, visto al Teatro Astra di Torino, in cui Christian Rizzo combina in modo perentorio, e con i mezzi della coreografia, la materialità della composizione e il problema dello spazio. Creato una prima volta all’aperto e in un ambiente naturale, questo assolo per il danzatore Nicolas Fayol (di formazione break-dance), i cui gesti e la cui presenza sono nati in relazione a rumori e respiri ambientali, ritrova nel chiuso della scatola scenica i difficili inganni del paesaggio ridotto a mero circostante.

Fernanda Sanchez-Paredes

Il cambio impone quindi la ricerca di un nuovo «primato poetico», qui ottenuto con mille artifici (il fumo, un mazzo di fiori, un perimetro circoscritto, una roccia, mille stanghe spostate e disposte con attenta precisione), ma soprattutto con il modo di attraversare lo spazio, rallentando e allungando lo stile hip-hop del suo movimento, Fayol è qui capace di negoziare continuamente la propria immersione tra interno ed esterno. E alla fine che cosa è la sostituzione alla quale allude il titolo? Lo spazio combattuto della creazione, l’epifania di un corpo a corpo, in scena, tra la presenza affettiva del performer e le resistenze del tempo alle definizioni omogenee dello spazio

Stefano Tomassini

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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