Questa recensione fa parte di Cordelia, novembre 2022
I soldi non fanno la felicità. Da quando esiste il denaro come regolatore degli affari sociali c’è qualcuno che ne canta le doti contrarie: il denaro svilisce, rende disumani e porta con sé un peccato originale, il lavoro. Parascandolo lo sa, lo ha sperimentato e ora lo professa come una sorta di religione cialtrona. Tutto farà pur di dimostrare le sue tesi – anche del bene, a chi forse non lo merita. Metterà in piedi un teatro fatto di menzogne dolci come illusioni, per dire quanto insensata sia questa convenzione chiamata denaro. Al teatro Sala Umberto è andato in scena un classico della commedia napoletana, A che servono questi quattrini, che debuttò ottantadue anni fa in un altro teatro romano a qualche isolato da questo, il Quirino. Antonio Parascandolo era Eduardo De Filippo, il testo è di Armando Curcio, figura celeberrima della cultura e dell’editoria italiana. Nella versione di Andrea Renzi la scena è semplice e minimale: una parete di fondo grigia cambia con il cangiare delle luci e basta un drappo dall’alto per trasformarla nell’interno di una ricca casa borghese. Va detto che nella ripresa dello spettacolo per questa stagione il ruolo dell’abile Marchese Parascandolo, detto il Professore, è interpretato da Nello Mascia in sostituzione di Giovanni Esposito; nella prima a cui abbiamo assistito l’attore dimostrava di avere bisogno di qualche replica di rodaggio per entrare del tutto in un meccanismo corale molto preciso (supportato dalle prove notevoli di Valerio Santoro e del trasformista Gennaro Di Biase), ma già erano visibili il piglio aristocratico e il distacco sagace conferito dal portamento. (Andrea Pocosgnich)
Visto al Teatro Sala Umberto. Crediti di Armando Curcio scene Luigi Ferrigno costumi Ortensia De Francesco luci Antonio Molinaro coproduzione La Pirandelliana Durata 2 ore (compreso intervallo) regia di Andrea Renzi. Con nello Mascia, Valerio Santoro, Salvatore Caruso, Loredana Giordano, Fabrizio La Marca e Ivano Schiavi
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