Dal 22 al 24 settembre la città di Catanzaro ha ospitato il Calabria Showcase, un appuntamento promosso dalla Fondazione Politeama e organizzato da Primavera dei Teatri e Oscenica. Una finestra sul teatro calabrese, pensata appositamente per far conoscere le realtà delle arti sceniche regionali agli operatori e programmatori provenienti dal resto della penisola. Un reportage e qualche riflessione su questa prima esperienza.
Un autunno frettoloso e indeciso abita il capoluogo calabrese nei giorni di metà settembre del Calabria Showcase, accogliendo il nutrito gruppo di operatori teatrali provenienti da gran parte della penisola e riuniti qui per conoscere le scene calabresi. La tre giorni, promossa dalla Fondazione Politeama Città di Catanzaro insieme a Primavera dei Teatri e Oscenica, è stata definita da alcuni un “evento epocale”: l’idea è quella dell’incontro, del tempo programmato per il confronto tra le compagnie del territorio e gli sguardi degli operatori, critici, direttori di teatri e di festival italiani. Ed è effettivamente un unicum, considerata la strutturale perifericità delle scene calabresi, difficilmente inserite in circuiti che scavalchino i confini regionali e spesso anche provinciali. All’interno della rassegna ospitata dal Teatro Comunale e dal Teatro Politeama di Catanzaro sono stati presentati i lavori di circa dieci compagnie operanti principalmente nelle zone di Catanzaro, Lamezia e Cosenza, almeno per questa prima edizione: TeatroP, Mauro Lamanna, Ernesto Orrico e Massimo Garritano / Zahir, Centro Teatrale Meridionale, Centro RAT – Teatro dell’Acquario, Scenari Visibili, Libero Teatro, Teatro della Maruca, Confine Incerto, Teatro del Carro. Una seconda parte di rassegna è stata invece integrata alla programmazione castrovillarese del festival Primavera dei Teatri, dove sono andati in scena i lavori di Francesco Aiello e Mariasilvia Greco / Rossosimona, di Mana Chuma Teatro e Scena Nuda (qui i dettagli del programma). Ma ampio spazio è stato dedicato ai momenti di riflessione e confronto, oltre che all’esplorazione delle realtà culturali della città di Catanzaro, come le visite al MUDIAC – Museo diffuso di Arte Contemporanea e al Parco della Biodiversità Mediterranea, al cui interno è raccolta una notevole collezione di opere d’arte contemporanea integrate alla vita del capoluogo.
In una terra in cui il tempo sembra sospeso, dove la macchina burocratica già italianamente arrugginita si muove con particolare fatica, le pratiche teatrali e dello spettacolo dal vivo in generale devono fare i conti con una doppia linea di questioni. Da un lato la sopravvivenza, il sostentamento pratico, che passa per la conquista di spazi assegnati e persi, per la compilazione di bandi, per i tentativi spesso fallimentari di fare rete. La Calabria è terzultima nell’elenco degli assegnatari del Fondo Unico dello Spettacolo: solo lo 0,2% dei finanziamenti FUS è stato destinato a soggetti calabresi, nove in totale (dati 2020). Durante un’affollata tavola rotonda con gli operatori calabresi, allargata anche a compagnie e gruppi non inclusi nel cartellone della rassegna, sono emerse le difficoltà legate all’operatività dell’ente regionale, alla sostanziale distanza tra l’istituzione e le pratiche lavorative dei gruppi, alla difficoltà di applicazione di una legge regionale faticosamente conquistata ma non ancora resa operativa. Evidente è l’assenza di una vera e propria rete, che sia sostanzialmente politica nel farsi blocco compatto nell’interlocuzione con l’istituzione; questo Showcase vuole essere un primo movimento in questa direzione, con l’idea di rendere la Fondazione Politeama il fulcro della rete, polo attrattivo per le risorse regionali da ridistribuire sui territori. Ma la rete potrebbe e dovrebbe anche avere funzione di stimolo e mutuo soccorso, promuovendo la cultura della progettazione e sostanzialmente vincendo quella tendenza alla rassegnazione che spesso si respira nella “bella e maledetta” Magna Grecia.
Emerge con particolare evidenza durante le giornate catanzaresi anche un bisogno diverso, una necessità che si intreccia con quella gestionale: il nutrimento e lo stimolo artistico, naturalmente scavalcato da necessità concrete, eppure essenziale per il percorso di coltivazione e di crescita di realtà pur longeve e prolifiche. La sensazione diffusa è la sete di teatro, una scarsità di offerta che si ripercuote prima di tutto sul pubblico e la sua sensibilità, per ricadere sul lavoro delle compagnie locali, in alcuni casi tenendolo nell’anonimato anche sul territorio, in altri creando percezioni falsate del professionismo teatrale. C’è l’esigenza, consapevole o meno, di confronto, di riscontri attenti, di un dialogo sul piano delle tematiche, delle forme e dei linguaggi.
Alle compagnie, diverse per percorso, vocazione e modalità di lavoro, è stato chiesto di scegliere con quale spettacolo del proprio repertorio presentarsi agli operatori, sul palco ma anche in sede di colloquio. Il cartellone è estremamente eterogeneo, risultato della voluta assenza di una direzione artistica a favore di una pura ricognizione delle esperienze. Il quadro che emerge, pur variegato, è quello di uno sforzo creativo importante, ma caratterizzato da alcune ingenuità ascrivibili in gran parte alla sordità del bacino culturale in cui questi gruppi operano. Non mancano sfide coraggiose, come la messa in scena del testo di Antonio Tarantino Il Vespro della Beata Vergine da parte della compagnia lametina Scenari Visibili per la regia di Mauro Lamanna. La complessità della scrittura di Tarantino incontra un’interpretazione generosa nel corpo e nella voce di Dario Natale, messa alla prova da uno spazio scenico ampio e dispersivo e da un’idea registica prevalentemente orientata al testo. La fuga di Pitagora lungo il percorso del Sole, diretto e interpretato da Ernesto Orrico con le parole di Marcello Walter Bruno e la presenza delle musiche dal vivo di Massimo Garritano, è un ambizioso lavoro che vuole intrecciare il segno scenico con una parola più letteraria che teatrale, costruendo un percorso denso e a tratti ostico (a causa anche di un poco efficace utilizzo della luce e degli interventi in voce off). La scrittura scenica caratterizza il lavoro di Luca Michienzi e Francesco Gallelli della compagnia Teatro del Carro. Spartacu Strit Viù restituisce uno spaccato calabrese tragico ed epico affidandolo alla potente presenza scenica di Gallelli, all’efficace utilizzo delle energie e dei segni (pur se in dosaggio eccessivo) unito ad una drammaturgia in cui vissuto, storia ed epica scorrono parallele.
Tentare una ricognizione esaustiva delle esperienze risulta difficile a causa della notevole differenza di estrazione tra le compagnie: il Centro Teatrale Meridionale lavora da anni in ambito nazionale privilegiando la messa in scena di testi prevalentemente classici e qui ha presentato Il Vantone di Plauto nella traduzione di Pasolini, forse lo spettacolo più fuori contesto da un punto di vista di impianto registico e drammaturgico, ma la cui presenza è evidentemente necessaria nell’ottica della mappatura calabrese, essendo il CTM tra i pochi soggetti assegnatari del Fus nella regione. Un caso ancora diverso è rappresentato dal lavoro di Max Mazzotta, artista tra i più riconosciuti a livello nazionale, che con Vite di Ginius presenta un campionario delle sue note abilità di scrittura e coloritura attoriale. Il suo viaggio sull’esistenza e le infinite possibilità dell’io e della lingua, concepito all’interno di una scatola scenica che ha Mazzotta per fulcro e un apparato video immersivo per cornice, anche in questo caso presenta un dosaggio poco efficace dei materiali, che rischiano per sovrabbondanza di togliere vitalità e focus ad un lavoro di notevole maestria. Un discorso a parte meritano le esperienze accomunate sotto la voce teatro ragazzi, le cui repliche hanno goduto della presenza degli spettatori non professionisti, i ragazzi delle scuole locali. Ciò che emerge dai diversissimi approcci al teatro per le nuove generazioni è una dedizione zelante, uno sforzo a suo modo encomiabile di attrarre gli spettatori del domani con linguaggi e tematiche che all’occhio degli operatori appaiono forse eccessivamente didascalici. Il Teatro della Maruca sceglie di presentare nello Showcase Storie di Pezza, uno spettacolo che raccoglie tutte le esperienze che la compagnia ha maturato nell’ambito del teatro di figura: marionette, burattini, pupazzi e ombre cinesi, una vasta offerta di stimoli poco efficaci forse a causa della loro compresenza, che non rende giustizia alle singole abilità. La compagnia cosentina Centro RAT – Teatro dell’Acquario con Che fa sua maestà…? sceglie l’espediente metateatrale per raccontare la vicenda de I vestiti nuovi dell’imperatore di Rodari, scontrandosi con una platea attenta e partecipe che però si dimezza a metà spettacolo a causa di un’incomprensione circa gli orari dell’uscita scolastica. I docenti portano via gli allievi e metà spettacolo, con grande delusione dei ragazzi e apparentemente senza comprendere che il rumoroso spostamento in platea non è indifferente a chi è sul palcoscenico. Ritorna un discorso necessario sulla fruizione, sul panorama culturale che ospita e non sempre accoglie queste esperienze, che non riesce a farsi recettivo. Comprendere quale sia e quale possa essere il ruolo degli artisti in questo senso è uno sforzo necessario.
Inserire nel programma uno speed date con gli operatori è indicativo della volontà da parte degli organizzatori di fornire un servizio alle compagnie, una vetrina di vendita vera e propria, pur nella formula “a tempo”, necessaria per motivi logistici ma un po’ fredda sul piano umano. Come spesso accade, è fuori dal tempo programmato che lo scambio si fa profondo: nei cortili, nei ristoranti, davanti a un bicchiere. In uno di questi momenti, si consuma davanti ad un caffè un dialogo tra Giancarlo Cauteruccio, maestro che ha da poco riportato la propria esperienza alle origini tornando a vivere in Calabria dopo l’esperienza trentennale del Teatro Studio Krypton di Firenze, e un giovanissimo componente della compagnia calabrese del Teatro della Maruca. Questo incontro tra generazioni rileva uno stato d’animo che in molti casi accomuna le esperienze raccolte in questo Showcase. “Nella lingua calabrese non esiste il tempo futuro. Il domani è un eterno presente, e l’artista calabrese soffre l’horror vacui. Cerca di mostrare tutte le proprie abilità e la propria esperienza in operazioni che spesso non lo richiedono, e ha difficoltà nel raggiungere una capacità di sintesi del proprio sapere. Le eccellenze calabresi pagano lo scotto di questo paura del vuoto, in una sorta di ansia da prestazione dettata dalla continua precarietà”. Contro questa realtà, la formula da auspicare è quella della sistematizzazione dello scambio artistico ancorato al tempo lungo, alla gestazione del pensiero, alla costruzione di un orizzonte che integri operatività contingente e dialogo creativo. L’augurio è che questo Showcase inneschi le energie e la fiducia necessarie a immaginare il futuro, a farlo entrare nella sintassi creativa di questi artisti, ad aprire i confini geografici e temporali della Calabria.
Sabrina Fasanella