Questa recensione fa parte di Cordelia, ottobre 2022
Due ragazzi alle prese con i videogiochi, si conoscono online, si chiamano Bro. Inconsapevolmente si punzecchiano con battute che possono essere feroci perché entrambi non si conoscono se non come due voci che arrivano in cuffia. Sono in proscenio, su due poltrone tipiche da gamers, joypad alla mano e un’avventura da completare. All’appello manca un terzo giocatore, non si collega da un po’ di tempo e questo comincia a far sospettare i due quando sui media appare la notizia di un adolescente suicida. Lo spettacolo di Eco di fondo e Compagnia Caterpillar, con la regia di Giacomo Ferraù e la drammaturgia di Tobia Rossi si rifà a un fatto di cronaca realmente accaduto nel 2018 e ha il pregio di affondare la propria ricerca nel mondo adolescenziale legato ai videogiochi. Il limite però è proprio nella portata etica svelata da subito, dichiarata nell’impianto e nei dialoghi (lo spettacolo andrà in scena all’Elfo a febbraio all’interno di un ampio progetto di sensibilizzazione sui temi del bullismo e del cyberbullismo). Uno dei due ragazzi è disabile, vive su una carrozzina e ne subisce lo stigma sociale che lo porta ad aver paura di incontrare l’amico nella vita reale, l’altro lentamente comincia ad essere ossessionato dalla possibilità di aver offeso il terzo gamer scomparso contribuendo così al suo suicidio. Sono efficaci Edoardo Barbone ed Eugenio Fea nel disegnare queste due maschere adolescenziali, i due però si muovono in una scrittura scenica avara di possibilità espressive, nell’alternanza degli incontri online che diventa montaggio serrato ma poco sorprendente. (Andrea Pocosgnich)