Giunte alla terza edizione, le residenze digitali si avvicinano alla fase di restituzione pubblica, online dall’8 al 13 novembre. Interviste alle tre curatrici e tutor delle residenze, Laura Gemini, Anna Maria Monteverdi e Federica Patti. Intervista creata in media partnership.
Le residenze digitali sono giunte alla terza edizione del bando. Nel nostro tempo accelearato, ecco un’occasione per guardare indietro all’esperienza maturata.
Anna Maria Monteverdi: Il bando è nato nel momento dell’emergenza, quando era necessario supportare gli artisti mettendoli nella condizione di continuare il lavoro e la ricerca, ma ancor più straordinario è che tutte le reti teatrali coinvolte nel bando, il Centro di Residenze della Toscana (Armunia –CapoTrave/Kilowatt) in partenariato con AMAT, il Centro di Residenza Emilia-Romagna (L’Arboreto-Teatro Dimora di Mondaino, La Corte Ospitale), la Fondazione Luzzati Teatro della Tosse di Genova, ZONA K di Milano, Piemonte dal Vivo / Lavanderia a Vapore e Fondazione RomaEuropa abbiano scelto, in armonia, di mantenere il formato della residenza digitale e della restituzione online. Il bando dunque è stato prima vitale, poi è servito a molte realtà per mettersi alla prova con tecnologie e linguaggi che forse prima non avrebbero esplorato. L’esperienza di questi anni, fra i preziosi materiali d’archivio messi a disposizione in streaming dai teatri, e le network performance vere e proprie (che, vale la pena ricordare, sono esperienze ben al di là del cosiddetto teatro in streaming), hanno cambiato molto la nostra percezione del teatro. Va però sottolineato, e questo è un punto fermo del bando, che la dimensione digitale non stempera la performatività e la natura teatrale di questi contenuti.
Dopo questa esperienza è possibile dare la definizione di “residenza digitale”? Come è stato organizzato il percorso di tutoraggio?
Laura Gemini: Il lavoro è stato scandito da incontri periodici da remoto tra le tutor, i partner, gli artisti e le artiste, centrati sulle criticità drammaturgiche, tecnologiche, o sul pieno sfruttamento dei tool e dei canali digitali scelti, in particolare con riferimento al momento di interazione col pubblico. La digital liveness è l’aspetto comune di lavori che non possono prescindere dalla relazione con gli spettatori: il lavoro delle tutor è dunque stato anche quello di essere prime spettatrici di lavori che, data la natura complessa, stratificata e sperimentale dei loro linguaggi, non vogliono e non possono arrivare alla settimana di restituzione come prodotti finiti, ma come processi aperti, dispositivi sempre da riconfigurare sulla base dei modi e dei tempi di accesso.
Federica Patti: Vorrei soffermarmi proprio sul carattere sperimentale che l’uso di linguaggi in trasformazione impone e che ha caratterizzato il tempo in residenza come una sistematica, proficua raccolta di errori. La sfida centrale è stata per tutte e tutti quella di spingersi oltre i propri limiti, saggiando i confini e l’utilizzabilità dei dispositivi messi a punto.
LG: Naturalmente l’accompagnamento digitale ci ha permesso di essere attive in spazi diversi e in momenti diversi, articolando una connessione potenzialmente costante, attivabile a seconda delle necessità e delle possibilità mostrate dal lavoro. Ciò ovviamente non ha escluso momenti di confronto in compresenza fisica.
AMM: Il mutuo arricchimento durante il processo di tutoraggio è stato assicurato anche dalla diversità dei percorsi artistici dei vincitori. Lo studio ultravioletto, Christina G. Hadley e Kamilia Kard contano per esperienza su un know how tecnologico molto avanzato, mentre Teatrino Giullare vanta senz’altro una maggiore frequentazione della drammaturgia specificamente teatrale. Durante l’accompagnamento è stato dunque interessante riportare, da un lato, alla centralità della dimensione performativa e non slittare verso lo statuto puramente visuale o installativo, nell’altro seguire il processo di formazione con strumenti nuovi, anche attraverso l’acquisizione di app e software specifici per la creazione dei contenuti. In tal senso, pensando ancora al bando, è da rilevare che non abbiamo premiato la componente tecnologica in sé, ma i concept di quelle drammaturgie multimediali in grado di immaginare e progettare un teatro che ritrovasse condizioni di necessità nei nuovi media.
VR, AR, metaversi, motion capture… ci troviamo di fronte a paesaggi artistici (e non solo) radicalmente altri rispetto a quelli che siamo abituati a frequentare?
FP: Certamente siamo di fronte ad un’evoluzione non solo teatrale, ma anche delle modalità di abitare i luoghi, lo spazio e il tempo, che può produrre un’estensione delle possibilità drammaturgiche, scenografiche, di disegno sonoro e soprattutto di coinvolgimento del pubblico. Questa è per certi versi solo l’ennesima rivoluzione digitale, ma è forse quella che più di tutte coinvolge lo spettatore, rendendolo strutturalmente compartecipe dei processi di costruzione dell’esperienza. È la stessa performatività dei media allarga l’autorialità al pubblico. Ciò implica, sì, che le comunità e i luoghi stiano vivendo una mutazione. Forse l’invito più stimolante è proprio quella di vivere attivamente, e non subire questa mutazione.
LG: Uno delle domande su cui più abbiamo insistito durante le residenze è stata proprio quella di abbassare la soglia dell’”improbabilità” della comunicazione online, di creare strumenti per fruitrici e fruitori che, pur coi loro limiti, possano superare un’inemendabile barriera tecnologica di accesso. Penso al “foyer online” che vedremo in una delle restituzioni, in cui verranno accolti spettatrici e spettatori per condividere informazioni sulle modalità di utilizzo, o ai tutorial dei contenuti più gamificati.
FP: Oltre che formare e avvicinare il pubblico consolidato, l’altro fronte è quello della ricerca di nuove comunità di autori e co-autori, anche non abituata al teatro ma già presente in questa rete di condivisione alimentata da chat, metaversi etc… Anche gli spazi fisici dei teatri vedranno implementata la loro interfaccia di relazione col pubblico. Mi viene in mente la HAU di Berlino, un luogo fisico per lo spettacolo dal vivo, la residenza e lo studio, che un anno fa ha aperto una sala virtuale, la HAU4, destinata ad accogliere linguaggi e sperimentazioni legati alla scena digitale. Non è però uno spazio altro dal teatro: ne rappresenta una possibilità “aumentata”. Penso anche all’Audience Lab della Royal Academy di Londra, destinata similmente a sostenere queste sperimentazioni sul piano della dotazione tecnologica ma anche all’accompagnamento del pubblico e della comunità dei programmatori verso questi orizzonti.
Cosa avete trovato nei lavori premiati, che avremo occasione di fruire durante la settimana di restituzione?
LG: Pur avendo condiviso ampiamente fra di noi lo sguardo sui lavori, ciascuna si è trovata ad accompagnarne alcuni in particolare. Fra quelli che ho seguito più da vicino c’è Drone tragico – Volo sull’Orestea da Eschilo a Pasolini di Teatrino Giullare, una web serie teatrale tratta dalla traduzione pasoliniana del testo greco, realizzata con una telecamera a 360° montata su drone. È un lavoro interessante tanto dal punto di vista della costruzione dell’immagine digitale, confermandosi la storica capacità della compagnia di creare immaginari potenti a prescindere dal medium, che della serialità. La settimana delle restituzioni vedrà una release quotidiana delle puntate, scandite da meccanismi di cliffhanger proprie di questi formati, che saranno fruibili in streaming e che offriranno agli spettatori la possibilità di esplorare il girato a 360°.
AMM: Su questo aspetto ci tengo a sottolineare come l’uso della tecnologia realizzi, in questo caso, una metafora potente: l’immagine a 360° dall’alto che segue Oreste in un paesaggio desolato della colpa, fra aree urbane di periferia che parlano di isolamento, pone allo spettatore la responsabilità della scelta della porzione di realtà da guardare. Questo sottolinea, a partire da una scelta tecnologica, come non abbiamo mai la visione totale della realtà e della verità.
LG: La dimensione visivo-immersiva del punto di vista è stata declinata anche nel lavoro di nanou – Them [immagine – movimento], una performance in live streaming che collocherà lo spettatore all’interno dello spazio coreografico tramite un punto di presa diretta immerso nel movimento, grazie all’uso di un’action cam. La stratificazione della liveness fra linguaggio e modalità di ricezione è dunque una delle sfide di questo lavoro. Il confronto con Marco Valerio Amico, condirettore del collettivo, si è focalizzato anche sulla centralità dell’engagement del pubblico, provocato da un uso “sporco” della camera che Marco ha assimilato all’uso del basso da parte di Sid Vicious – un uso illetterato, grezzo che consente di apprezzare aspetti insoliti di quel medium. Come nel caso di Teatrino Giullare, anche qui il medium è stato oggetto di un processo di scoperta per tutti; per Ultravioletto invece, possiamo dire che la maturità tecnologica pregressa ha reso il mio tutoraggio più laterale e focalizzato sugli aspetti drammaturgici. Hello World! è un’esperienza multiplayer focalizzata sull’esplorazione di un environment popolato da tweet, scaricati da un’API della piattaforma (developer Twitter) sulla base di specifiche domande intorno al tema “death and life”. L’esperienza cambierà dunque a secondo del momento della fruizione.
FP: La varietà di uso e potenzialità delle piattaforme esistenti è testimoniata dalle diverse scelte di hosting: Toxic Garden – Dance Dance Dance di Kamilia Kard è ospitato sulla piattaforma di social gaming Roblox, per la quale l’artista ha modellato un ambiente vegetale in cui ogni specie-pianta virtuale è correlata, secondo la propria naturale tossicità, ad un certo tipo di relazione tossica. Una parte del lavoro è avvenuto in sala, con un gruppo di giovani danzatrici che ha declinato in coreografia il tema, per poi trasporre il movimento nell’ambiente virtuale attraverso mock up e motion capture. Per ciascuno degli utenti, una volta configurato il proprio avatar con le skin selezionate, sarà possibile sperimentare quelle stesse movenze durante la settimana di restituzione.
AMM: Uno fra gli aspetti interessanti di questo lavoro è senz’altro il processo di condivisione di contenuti del lavoro di preparazione sul profilo Instragram di Kamilia Kard, sfruttando la finestra social per testare il funzionamento e la ricezione di alcuni step di ricerca e per formare una community intorno al progetto a monte della restituzione. Un altro modo di sfruttare le tecnologie per espandere la residenza digitale.
FP: Nel caso di Still Walking, on air di BOTH industries, un collettivo che viene dal campo delle arti visive, il campo di indagine è invece spostato sulla piattaforma Twitch e sulla sua potenzialità di interazione immediata fra i creator e le loro community. In questo caso due performer verranno guidati in una serie di azioni coordinate, sorta di composizione di una scultura virtuale, tanto dall’interazione col pubblico che da quel inalienabile tanto di randomness introdotta dagli algoritmi. C’è infine Il lavoro di Christina G. Hadley: anche in questo caso si tratta di un metaverso. La Montagna del Sapone fa riferimento al quartiere di Roma in cui l’artista è cresciuta, l’utente attraversa lo spazio modellato e codificato dall’artista per ricostituire, ricollocare alcuni oggetti virtuali che rimandano a simboli della cultura popolare del quartiere. Gli ambienti verranno ulteriormente sviluppati dall’artista attraverso dei thread su Discord, un’altra piattaforma di chatting molto diffusa nell’ambito del gaming, per originare uno scambio di conoscenze con la comunità di riferimento della performance e gli utenti della piattaforma che saranno intercettati.
Redazione
Informazioni sulla settimana di restituzione delle residenze digitali 2022