Dal 18 settembre al 2 ottobre 2022 la città di Milano ha ospitato, nella disseminazione di spazi scenici teatrali e non, il Milano Off Fringe Festival che giunge alla sua quarta edizione dopo un fermo di due anni. Qui, resoconti, confronti e riflessioni sui luoghi e sul ruolo che sta assumendo il teatro indipendente a Milano.
Quando arriva la fine di settembre, Milano si risveglia dal torpore estivo di agosto che l’ha resa vuota e disabitata, seppur mai sterile di proposte ed eventi culturali. Quando arriva la fine di settembre la città si ghermisce, oramai pullula di vita e attività, riprende i ritmi serrati che la contraddistinguono e instilla tanti piccoli desideri nella gente che la abita. A contribuire a questo fervore autunnale, sono le numerose iniziative promosse dal Comune di Milano che fanno parte del bando Milano è viva, un’occasione che ha fatto emergere importanti riflessioni sulla destinazione dei finanziamenti e sul ruolo che assumono le periferie (qui una riflessione riportata da Vincenzo Sardelli). L’intento sarebbe quello di rivitalizzare i quartieri, creare nuove geografie urbane atte ad ospitare momenti di cultura, di scambio, di condivisione e riscrivere i rapporti nei luoghi periferici per rendere più vicini i reticoli delle anatomie culturali.
Tra i progetti che hanno aderito al bando, è stato selezionato e finanziato, con il patrocinio della Regione Lombardia, il Milano Off Fringe Festival alla sua quarta edizione dopo la sospensione di due anni a causa dalla pandemia (l’edizione più recente risale al 2019). La ripartenza è segnata sempre dalla direzione artistica di Renato Lombardo e Francesca Vitale, fondatori dell’Associazione culturale e artistica Milano OFF, che si sono ispirati al modello scozzese per disseminare gli spettacoli teatrali non solo nel cuore, ma soprattutto nei margini della città metropolitana. Da quest’anno, la rassegna presenta anche un nuovo capitolo che sposta il proprio baricentro più a sud, dando avvio alla prima edizione del Catania Off Fringe Festival. Tuttavia, nell’intervista rilasciata a Renzo Francabandera, la stessa Vitale sottolinea le onerose difficoltà che il teatro indipendente continua ad affrontare in un territorio come l’Italia, prevalentemente restìo ai finanziamenti nella cultura e, in particolar modo, nel mondo dello spettacolo. Questa realtà nazionale costringe le compagnie a gestire ingenti spese per poter accedere a tali “vetrine” internazionali; e nel caso di Milano Off, nonostante la sovvenzione stanziata dal Comune di 90 mila euro, il peso economico continua a gravare sugli artisti, costretti a farsi carico di costi considerevoli che includono sia la possibilità di partecipazione, sia di rappresentazione (affitto degli spazi, spese di gestione, percentuale degli incassi certificati dai modelli SIAE).
La volontà di creare un ponte di connessione, tra realtà internazionali e diverse istituzioni, emerge nelle parole dei due direttori: «Il nostro è un progetto a lungo termine, abbiamo stretto accordi con moltissimi Fringe internazionali, coinvolto molti critici teatrali, creato una giuria di altissima qualità e soprattutto offriamo agli artisti palchi importanti e ambite location milanesi dove presentare i loro spettacoli indipendenti […]. Il nostro obiettivo è quello di creare un incontro vero e reale tra le realtà artistiche periferiche, spazi, pubblico, cittadini». E proprio questa risulta essere una delle questioni centrali da dover affrontare per restituire l’immagine di un festival estremamente ricco nella programmazione – oltre i 52 spettacoli previsti nella sezione Milano Off Fringe sono stati organizzati anche numerosi eventi, talk, letture e workshop che fanno parte di Milano Off dell’Off e di Village Off – ma che nel coinvolgimento del pubblico e nella relativa partecipazione sembra aver mantenuto una certa distanza e dispersione (di cui abbiamo parlato anche in relazione al Roma Fringe Festival), riscontrate più nella variegata rassegna teatrale che negli eventi collaterali. Ciò che ha rinforzato questa mancanza non è tanto la dislocazione degli spettacoli in 15 diversi spazi del territorio milanese (carattere fringe del Fringe dopotutto), quanto più l’assenza di un rapporto vissuto, viscerale e concreto sia con le persone e i luoghi scelti per la rappresentazione sia con i tessuti urbani che li circondano. L’attraversamento dei contesti cittadini periferici come elemento integrativo rispetto all’esperienza partecipativa del festival è un carattere che, per esempio, il FringeMI, tenutosi sempre a Milano nel mese di giugno, ha utilizzato come spinta alla coesione e alla ridefinizione identitaria di una zona fortemente gentrificata.
Quello che accade, dunque, al Milano Fringe Off risulta importante per interrogarsi sulle funzioni che assumono oggi i luoghi, affinché il loro statuto di asettici contenitori possa finalmente decadere per “ri-costruire” atmosfere di un sentire partecipato e intrecciare legami con le comunità che quei posti li abitano per davvero. È quello che risulta più evidente recandosi presso la sede C.I.Q., ovvero il Centro Internazionale di Quartiere, polo multiculturale che cerca di coinvolgere attivamente la zona attraverso proposte aggregative. Qui il programma della rassegna fissa alcuni appuntamenti in spazi – al chiuso e all’aperto – separati dall’etnicismo locale, che organizza in parallelo serate di musica live africana rimanendo isolato dalla proposta performativa.
All’interno di una di queste sale assistiamo al monologo surreale nonsense di Amedeo Vincenzo Eleno Abbate, Il disagio dei numeri primi. L’atmosfera buia è il mezzo espressivo per la sua ilarità, gesticola con le braccia e canticchia un motivetto conosciuto (My heart will go on di Céline Dion), prima in playback, poi con uno spettatore del pubblico, infine diventa direttore di un’orchestra, che siamo noi, e scardina i sistemi convenzionali attraverso cui avviene la relazione, anche di disagio. È infatti questo paradosso che tiene in piedi la performance di stand-up comedy del giovane milanese, che utilizza anche voci registrate per una comicità sfacciata, fatta di tabù affrontati senza la consueta political correctness. Lo spettacolo di Toia&Callaci, nella regia di Sergio Mercurio, usa gli stessi spazi di C.I.Q. All’esterno del fabbricato, in un cortile marginale, un palchetto ospita L’angelo della valigia, portato in turnée da un duo di artisti argentini, spinti da una forte esigenza narrativa. L’angelo della valigia è anche un tarocco, consegnato all’esiguo pubblico che si è recato nella zona di Porto di Mare, a sud est di Milano, a inizio del momento performativo. L’angelo della valigia è anche Ezequiel Sanguinetti, un uomo, un corpo, che è altri dieci personaggi e altri dieci corpi. Per trasformarsi usa solo pochi elementi in scena, un bastone, un telo e una valigia che porta sempre con sé, come un passato di cui non ci si può liberare. In scena, con estrema abilità, vive tutte le vite possibili per salvare il mondo, restringendole tuttavia nelle griglie strette di semplici macchiette, prive di profondità psicologica e umana. La ricerca del duo di artisti si sviluppa visivamente in un altro spettacolo che portano all’interno della rassegna milanese, tenutosi presso gli spazi della Società Umanitaria. Le giovanne, un’eresia cosmica è un momento estetico curato nei minimi dettagli scenici e visivi. L’ambientazione muta incessantemente, attraverso la modulazione di luci espressionistiche e di un ampio telo bianco polifunzionale. La stessa Agustina Toia assume questa poliedricità, andando a raccontare con il corpo le vite di tutte quelle donne la cui presenza-assenza ha caratterizzato la storia del suo Paese, in una narrazione che riesce a superare “la quarta parete”, ma solo con la vivida potenza estetica. La sala, però, è vuota e la distanza di cui parlavamo sembra gonfiarsi e aumentare nell’isolamento di questi appuntamenti.
Maggior coinvolgimento, invece, è stato creato dalla performance di Maria Grazia Cavallaro nella location di Isolacasateatro, uno squisito appartamento milanese nella zona di Isola, quartiere protagonista delle scorse edizioni del festival. La casa, dalle pareti costellate di quadri ed oggetti d’arte contemporanea, ha una ricca collezione di opere del pittore, scienziato, terapeuta e musicista Paolo Ferrari. Il luogo d’arte contemporanea avvolge e chiude la rappresentazione di Come un soprammobile alla polvere, ne raccoglie le voci infestanti di una malattia che invade corpo e anima, ne strugge i frammenti rimasti, ne espone le teorie complottiste. Cavallaro sembra che l’abbia vissuto davvero, quel disagio lì, e ripercorre i dolorosi passi di una sofferenza incompresa, di un trauma taciuto che riesce a calarsi al di sotto della patina di stigmatizzazione che spesso contraddistingue i DCA.
Andrea Gardenghi
Visti all’interno del Milano Fringe Off – settembre/ottobre 2022
Il disagio dei numeri primi, di Amedeo Vincenzo Eleno Abbate
L’angelo della valigia, di Toia&Callaci, regia di Sergio Mercurio
Le giovanne, un’eresia cosmica, di Toia&Callaci, regia di Severo Callaci
Come un soprammobile alla polvere, di Maria Grazia Cavallaro e Fabrizio Antonio D’Aprile