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La devastante bellezza del tormento. Danzando con il mostro

Recensione. In anteprima nazionale a Primavera dei Teatri l’ultimo lavoro della Piccola Compagnia Dammacco nato dall’incontro con Roberto Latini. Danzando con il mostro debutterà dal 3 al 6 novembre al Teatro Piccinni di Bari e sarà in replica dall’8 al 20 novembre al Teatro Arena del Sole di Bologna.

Foto Angelo Maggio

Perché andiamo a teatro? La domanda potrà sembrare oziosa, vaga. Eppure aleggia, sommessa e distratta, soprattutto quando la dimensione frenetica del festival porta spettatori, professionisti e non, a ritrovarsi sera dopo sera, ora dopo ora, seduti sulle stesse poltrone. Spesso la si ripone in tasca tra un biglietto e un programma di sala. A volte si decide proprio di lasciarla a casa. Capita che si riproponga, pretendendo una difficile risposta. In rari casi fortunati invece accade che sia la risposta a questa domanda a palesarsi davanti a noi inattesa, epifanica. Sorge da dentro, in quel miscuglio di stati d’animo che si collocano tra lo stomaco e il petto, congedando il pensiero. A questo preciso momento vitale, nucleo effimero in cui le macerie dell’essere si ricompongono in una geografia intatta che chiamiamo identità, fa appello l’inedita collaborazione artistica tra la Piccola compagnia Dammacco (Mariano Dammacco e Serena Balivo) e Roberto Latini.

In anteprima nazionale all’interno del festival Primavera dei Teatri, i tre artisti presentano Danzando con il Mostro: rito, esercizio di stile e insieme compendio delle peculiarità sceniche dei tre artisti per la prima volta riuniti. La complicità rodata tra la drammaturgia di Dammacco e la fisicità e vocalità malleabili di Serena Balivo incontra in questo lavoro la presenza dirompente di Roberto Latini, il suo tratto vocale inconfondibile. La collaborazione sembra il frutto di un lavoro di apertura e contaminazione che la Piccola Compagnia Dammacco porta avanti da alcuni anni, nella volontà di sperimentare codici e linguaggi sviluppati in seno al binomio Dammacco/Balivo. L’occasione è proficua per chiamare in causa quel tormento senza nome, l’animale che ci abita in petto, che ci tiene svegli la notte, che rugge e si strugge, che contrae debiti con gli altri abitanti che ospitiamo. La cornice prescelta è quella da romanzo gotico, ma la scena si presenta affollata solo da aste per microfoni fuori misura, che delimitano i lati di uno spazio chiuso in proscenio da una fila di eleganti calici, pronti per essere riempiti. Una scala semovente, che non porterà da nessuna parte, sarà piattaforma giocosa per i protagonisti. Sul fondo una struttura, torre o campanile, finestra che solo in alcuni momenti prenderà la parola. Mariano Dammacco, l’umano che abita questo piano rialzato, vi si sporge interrogativo. Indaga lo spazio sottostante con lo sguardo nascosto da una maschera ben riconoscibile, quella di Pulcinella, la maschera che più di tutte ride della propria miseria.

Foto Angelo Maggio

Tra il piano del palcoscenico e le diverse altezze raggiunte tramite praticabili e scale danzanti, Serena Balivo e Roberto Latini sono gli eleganti convitati di una festa di dolci rimpianti. Una voce li precede, salutando il pubblico in una lingua inventata, tradotta simultaneamente. Questa si rivolge non agli spettatori, ma ai loro abitanti, i mostri che hanno dentro. «Benvenuti, questa è la nostra festa, è una fortuna che i vostri umani vi abbiano portato a teatro stasera». La deformità consapevole, tradotta nella ricerca del gesto fisico e vocale, caratterizza questa coppia malinconica e sagace, lucida e trasognata. La scrittura di Dammacco è indossata da Latini e Balivo e dalla loro presenza evocata e immanente, tutta giocata sul filo di una complicità sottile, mai sfacciata. 

Tutto qui il gioco: il viaggio nel tempo è la dimensione perenne dei due mostri danzanti. Perennemente protesi verso quel futuro invadente, desiderato, consapevolmente irrealizzabile, fatto di felicità confezionate, a misura di polaroid. Un futuro da prendere in prestito, come un bel vestito da indossare per guardarsi allo specchio e inventarsi diversi, decidersi felici. Rivolti al futuro, ma già di nuovo in un presente eterno in cui il domani è già passato, con la lucidità implacabile di occhi mostruosi che vedono tutto, sanno esattamente cosa rischiano, ridono di se stessi, si rimproverano con dolcezza. Coperti solo per gioco o per tentata pudicizia da un velo trasparente, sono questi occhi ciò che rende i due mostri più reali di quell’umano che appare, intermittente, sullo sfondo e dall’alto. Il padrone, lo chiamano, il padrone che gli è capitato e che si preoccupa di controllarli.

Foto Angelo Maggio

O forse, che si sforza di comprendere da dove vengano quelle voci, chi muova i passi di questa danza, chi sia stato a decidere la forma di questo dolore. Da dove viene questa predestinazione allo spreco di sé, alla mancanza, alla nostalgia per quei se stessi che avremmo potuto essere e che pure siamo e saremo sempre, seppur soltanto in quella sfera che ci condanna a immaginarci? Non resta che relegare la felicità a quei cinque ultimi minuti di esistenza, fare di questo tormento una danza che ci consegni, nell’ultimo respiro, alla gioia.
Perché andiamo a teatro?
Per vedere ciò che siamo, all’ennesima potenza. Per guardare, nel misterioso collaborare tra la parola, il gesto, la luce e il suono, il centro inconfessabile del nostro essere. Vederlo nudo, smascherato, inerme, eppure capace di ridere di sé, nonchalant nella propria devastata bellezza. Andiamo a teatro per farci dare del tu. Per poter dire «sono io, ma sei anche tu». Siamo questo poco, in pezzi, nel tentativo perenne di ricomporci, di sorridere al nostro destino. Ugo Morelli su Doppiozero cita il critico e scrittore John Berger: «Bello è quel che dà a chi guarda la misteriosa certezza di essere riconosciuto e accolto».

Sabrina Fasanella

Teatro Vittoria, Castrovillari –  Settembre 2022 – Primavera dei Teatri

DANZANDO CON IL MOSTRO

Prossime date in calendario e tournée

3 – 6 novembre, Teatro Piccinni, Bari

8 – 20 novembre, Teatro Arena del Sole, Bologna

uno spettacolo di e con Serena Balivo, Mariano Dammacco, Roberto Latini
concept e parole Mariano Dammacco
musiche e suono Gianluca Misiti
disegno luci e direzione tecnica Max Mugnai
scenografia e costumi Francesca Tunno
ufficio stampa Maddalena Peluso
produzione Infinito, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Compagnia Lombardi-Tiezzi
residenze artistiche presso Florian Metateatro, C.Re.a.Re Campania / Teatri Associati di Napoli, Dialoghi – Residenze delle arti performative a Villa Manin 2022 – 2024, Centro di residenza della Toscana (Armunia-CapoTrave/Kilowatt), Teatro Le Forche
foto di scena Luca Del Pia

 

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