Recensioni dal festival La Fine della fine del mondo, curato dalla compagnia inQUanto Teatro al Teatro di Rifredi di Firenze: progetti di Sotterraneo e Factory Compagnia Transadriatica.
In tempi di catastrofi può valer la pena immaginare ciò che succederà dopo, in un’esortazione ad andare avanti, credere e rendere possibile un rinnovamento e non solo la costatazione che, come diceva Beckett, sia solo “tempo di smetterla”. Non è un caso che proprio la Fine della fine del mondo, oltre ad essere il titolo di un illuminante saggio del 2019 di Jonathan Franzen, sia il nome di un festival dedicato alle nuove generazioni curato dalla compagnia inQuanto Teatro. Per due weekend hanno attraversato le mura e il giardino antistante al Teatro di Rifredi di Firenze dieci spettacoli e diversi laboratori che non hanno trovato soltanto un minimo comune denominatore in un target generazionale, quanto in un pensiero curatoriale forte, che si dirama nella consapevolezza di voler costruire nuovi dialoghi, creare sguardi e relazioni nuove, parentele non solo familiari ma artistiche, di pensiero.
C’è una tensione entusiasta e placidamente adrenalinica nell’accoglienza che riservano a spettatori e spettatrici – età e professioni varie, desideri manifesti o ancora da scoprire – i tre curatori Giacomo Bogani, Andrea Falcone e Floor Robert.
Entusiasti per questa edizione che, per quanto giovane (è la seconda) già ha dato frutti delle connessioni («parentele» le ha chiamate Andrea) con le compagnie che hanno fortemente voluto, intrecciando e rafforzando le sinergie nate dagli incontri creati dall’essere compagnia a loro volta, dalle occasioni generatesi durante i diversi laboratori di formazione che negli anni seminano piccoli gesti artistici legati alla scrittura, alla pratica teatrale e coreografica. L’adrenalina (placida perché indirizzata, macchina che funziona) riguarda anche la soddisfazione di aver intercettato spettacoli che dal profilo tematico, stilistico e etico hanno saputo portare alla luce delle proposte che, ciascuna a proprio modo, contenessero un afflato politico e poetico assieme: contribuire a formare consapevolezza, coscienze civili, verso pratiche di accettazione, di accoglienza dell’altro, di curiosità e sperimentazione nei confronti del non ancora noto, anche di ciò che non è perfetto. Mostri, streghe, fantasmi, vestiti scintillanti oppure oscuri, animi coraggiosi e curiosi diventano l’occasione per sfidare la natura, per perdonare anche ciò che a prima vista appare imperdonabile, per ragionare sui fallimenti e sul rimettersi in piedi. E questo, raccontano, se è valido sicuramente nei confronti delle pratiche rivolte alle nuove generazioni può e deve riguardare anche un orizzonte più ampio, dalle famiglie dei piccoli spettatori a pubblici anche distanti da questo target. Osare dunque, anche con una programmazione che preveda spettacoli rivolti a diverse fasce d’età o anche non specificatamente rivolti a bambin* e ragazz*, ma che abbiano in comune quello stesso bisogno di creazione di uno spazio che generi nuove domande, indichi altre possibili strade.
Proprio per questo, iniziamo da un progetto che ha la forma di uno spettacolo-aperitivo, una lezione spettacolo conviviale dal sapore pop, pensato, per ora, in due episodi distinti che hanno animato di volta in volta ogni serata del festival. Simposio pop #1: catastrofe e Simposio #2: felicità sono nati da un’idea di Claudio Cirri di Sotterraneo e creati e agiti in scena da Daniele Bonaiuti e Luca Scarlini. Due momenti di indagine transtorica che affrontano il primo l’idea di emergenza e il secondo (quello da noi visto) una questione articolabile nel desiderio inarrestabile di trovare felicità nel denaro. Un viaggio di aneddoti nella decadenza dell’uomo, dalle Notti attiche di Aulo Gellio fino al rap di Guè Pequeno, in cui Scarlini racconta con fare sornione, scettico e giocoso, sostenuto da un Bonaiuti aiutante e tecnico di scena, quasi una sorta di servo dell’antica commedia dell’arte, volutamente libero di essere impacciato. «Se siamo alla fine delle forme, ci possiamo divertire», esordivano: ma il caro vecchio post drammatico però riguarda al limite il modo (la trovata è quella di una “lotteria” in cui estrarre di volta in volta dei tarocchi legati alle diverse storie raccontate) e non la serietà del contenuto né dell’intento. Si ascolta divertiti, rapiti e anche in alcuni momenti raccapricciati per quel nostro agire umano accumulatore, ingannatore, ostentante. Se sulle prime forse si ha l’impressione di essere, tutto sommato, troppo d’accordo nell’accusa mentre si pasteggia cullati dal primo fresco autunnale, in fondo l’erudizione ha un compito a casa, almeno quello di pensarci sopra, e nemmeno troppo velatamente un monito, di non ripetere gli errori del passato (antico o recente che sia).
La doppietta di Factory Compagnia Transadriatica, sviluppata all’interno delle ultime due giornate con due spettacoli per ragazzi diretti da Tonio De Nitto, si concentra sul riadattamento di due classici a loro modo: il primo è Il fantasma di Canterville, a partire dall’omonimo testo di Oscar Wilde (ne parlava qui Simone Nebbia), mentre il secondo è una reinterpretazione che ribalta il senso della leggenda del pifferaio raccolta dai fratelli Grimm e qui chiamata più sinteticamente Hamelin. Entrambi gli spettacoli hanno un solo interprete (Angela De Gaetano nel primo e Fabio Tinella nel secondo) ma l’impressione è che sul palco si muovano più mani, più voci. Musiche, tendaggi, burattini, arredi scenici e escamotage attoriali diventano il luogo del possibile, per dare vita a due piccoli gioiellini teatrali, intrisi di atmosfere dark e buffe, che animano e trascinano i pubblici, innescando reazioni diverse. Per il Fantasma si passa dal gotico vittoriano all’espressionismo con qualche strizzatina d’occhio all’immaginario di Tim Burton, generando timore e rispetto nei confronti della cameriera del maniero; stupore per la delicatezza dei toni con cui la giovane Virginia riesce a guardare oltre il velo, oltre la brutalità di atti del passato; distanza divertita dalla famiglia di lei, creepy a suo modo (o forse verrebbe da dire cringe), intrisa di perbenismi egoismo e saccenteria talmente esagerate da risultare comiche. I giovani in sala sono tesi, attenti, accompagnati dalla maestria di De Gaetano che mostra un’interpretazione che non lascia il fianco alla paura anche davanti a scene potenzialmente critiche; è presenza rassicurante nello spettacolo e diviene anche indicazione etica per chi guida (che sia l’artista sul palco o il genitore fuori): indica senza spingere, osserva e non giudica senza aver prima capito.
Nel secondo spettacolo forse la responsabilità maggiore è affidata alla drammaturgia (anche questa di De Nitto, con l’affiancamento di Riccardo Spagnulo in veste di dramaturg), o meglio al rovesciamento della figura del pifferaio, che tradizione vuole essere ambiguo imbonitore, vendicatore truffaldino e rapitore di bambini quando si vede negato il giusto riconoscimento per aver liberato la cittadina dall’invasione di topi e pestilenza. In più, la drammaturgia scorre su un doppio canale audio – ché lo spettacolo si ascolta in cuffia – uno per gli adulti e un altro per i bambini, mediando espressioni e motivazioni con un appropriato tono là dove necessario.
Ma se allora il riconoscimento sarebbe dovuto e non arriva, se la storia l’abbiamo sempre sentita raccontare da chi è rimasto e non da chi è partito, non sarebbe allora necessario riscrivere il finale? Dopo un incipit da notizia giornalistica, con l’escamotage di un’inchiesta che vuole far luce su misteri insondati di bambini abbandonati (e se sembra stonare con il tono seguente di un antico spettacolo viaggiante, appare oggi più una sorta di ponte tra tempo quotidiano e tempo teatrale), fende la nebbia un uomo con un carretto e ci viene incontro, ché lui e noi ci troviamo assieme in uno stesso palco. Qui la storia dell’accalappiatopi si districa sulle finestrelle del carro (la scena è di Lole Cilento mentre i burattini di Michela Marrazzi), tra burattini, gag classiche, fondali di stoffa e una narrazione «col fuoco nel petto»; si scontra con una città pulita ma deserta, in mano a ricconi chiusi in casa, che poi, a lavoro ultimato (a crisi passata) non sanno far altro che disprezzare il povero suonatore. L’artista ci ha salvato, che ora se ne vada! Che smetta di suonare, che smetta questa bagattella e ci lasci lavorare. E se quello non è un lavoro, non si aspetti di meritare un pagamento! E giù insulti a scacciarlo via, l’artista che guarda verso l’alto, come a supplicare in silenzio. A lungo. È la storia che ci porta a questa stasi, ma tocca ai bambini avere il coraggio di sfilarsi le cuffie e sollevare una domanda: perché sei tanto giù, perché ti hanno anche dato uno schiaffo? Perché non riesci più a tirare il tuo carro? Ti è caduto il piffero, guarda! Tocca ai bambini, e tocca che ad alzarsi siano loro, che scelgano di farlo autonomamente, di fronte a qualcosa che non potrebbero controllare e che invece decidono di ribaltare. Allora, alla fine di questo mondo, pure con la nebbia e il palco che si svuota, c’è un’altra fine: «li avete rinchiusi nelle vostre case sicure, misurate il tempo che scorre senza stringere le loro mani. Perché dimenticate le promesse? Permettete invece il gioco, il disordine, il rumore, la musica. Per amarli meglio, lasciateli andare». Così li si lascia andare dietro una tenda, verso una nuova luce, la nuova fine abbia inizio.
Viviana Raciti
Teatro di Rifredi, Firenze – ottobre 2022
SIMPOSIO #2: FELICITÀ
da un’idea di Claudio Cirri (Sotterraneo)
regia, drammaturgia e interpretazione Daniele Bonaiuti, Luca Scarlini
PRODUZIONE Sotterraneo
con il contributo di Fondazione CR di Firenze
con il sostegno di Mic, Regione Toscana
IL FANTASMA DI CANTERVILLE
liberamente ispirato al racconto di Oscar Wilde
di e con Angela De Gaetano
regia di Tonio De Nitto
musiche originali Paolo Coletta
voiceover Roberto Latini
scene Porziana Catalano
assistente scenografa Silvia Giancane
luci Davide Arsenio
costumi Lapi Lou
collaborazione al movimento Annamaria De Filippi tecnico Graziano Giannuzzi
foto di scena Eliana Manca
si ringraziano Polo Bibliomuseale di Lecce, Teatro Comunale di Novoli, Filippo Bubbico
PRODUZIONE Factory compagnia transadriatica
HAMELIN
liberamente ispirato aI Pifferaio Magico dei Fratelli Grimm
con Fabio Tinella
drammaturgia e regia Tonio De Nitto
dramatug Riccardo Spagnulo
musiche originali Paolo Coletta
voiceover Sara Bevilacqua
sound designer Graziano Giannuzzi
scena Lole Cilento
burattini Michela Marrazzi
luci Davide Arsenio
costumi Lapi Lou
assistente scenografa Cristina Zanoboni
costruzione scenica Luigi DiGiorno
PRODUZIONE Factory compagnia transadriatica – Fondazione Sipario Toscana
con il sostegno di Segni new generations festival