Contemporaneo Futuro è il festival che Fabrizio Pallara dedica al teatro per le nuove generazioni, al Teatro India e Teatro Torlonia di Roma. Un’occasione per un piccolo viaggio tra fiabe e misteri dell’infanzia e dell’adolescenza, un’occasione per tornare un poco indietro, alle origini della nostra esistenza.
Chissà se un attore o un’attrice se lo chiede, quando è in scena: chi è dall’altra parte che sta osservando? Chi ha portato il proprio corpo qui per assistere a un mistero di cui io solo conosco il segreto? O, più ancora, dirà forse: è qualcuno che ha scelto deliberatamente di venire qui o è stato portato in modo pressoché inconsapevole? Non, sia chiaro, per un atto di violenza, ma semplicemente perché è qualcuno che non ha ancora l’età per decidere in modo autonomo del proprio tempo. In tal caso, l’attore o l’attrice, si occupano di teatro per le nuove generazioni. Ed è qui che avviene il paradosso: negli spettacoli per ragazzi, l’adulto sceglie per tutti, ma l’atto con cui si compie l’ingresso nel rito è di per sé una condivisione, la proposta dell’adulto al bambino di partecipare lo stesso sguardo. Se ne è parlato a Contemporaneo Futuro, festival ideato da Fabrizio Pallara negli spazi del Teatro di Roma, se ne è parlato grazie agli spunti teorici di Roberta Ortolano che, con gli incontri di Teatro e Altrove, proprio sullo sguardo e sull’empatia ha posto attenzione.
Riconoscere il potere del guardare è un passo decisivo, sia per decidere di ribellarsi ad esso, sia dall’altra parte per decidere di esercitarlo affinché, come dice bell hooks in La spettatrice nera, “il mio sguardo cambi la realtà”. E dunque, tuttavia, per cambiare la realtà c’è bisogno di un accordo, di un patto tra chi osserva nella stessa direzione o chi, di contro, risponde alla direzione dello sguardo; quel patto è ciò che possiamo chiamare teatro. Ma c’è qualcosa in più ed è Kae Tempest a offrire una motivazione ancor più profonda, ricordando alcuni studi come quello sul “contagio di temperatura”, quando nell’osservare qualcuno che immerge le mani nell’acqua fredda contemporaneamente la temperatura corporea dell’osservante si abbassa, oppure quello che evidenzia come di fronte a una recita teatrale il pubblico sincronizzi i battiti del cuore. Questa ricorrenza empatica è vera in una dimensione di frontalità, certo, ma allo stesso tempo lo è in relazione all’orizzontalità che permette l’assorbimento della differenza, amplifica l’empatia e scioglie in una comune esperienza ogni partecipante, adulto o bambino, all’opera che li coinvolge.
Un festival come Contemporaneo Futuro, in una città come Roma ammalata e dispersa, è uno spazio d’aria durante un’asfissia: vedere gli spazi del Teatro India o del Torlonia dedicati all’ascolto, alla partecipazione di generazioni diverse che confluiscono nelle sale, è come ritrovare una magia perduta. Ne sono contributo spettacoli che costituiscono il meglio dell’offerta nazionale per le nuove generazioni, programmata da Fabrizio Pallara con intuito da un lato ma anche con disponibilità a conoscere, rischiare, esprimere una linea di concetto ben precisa che sappia far maturare nuove piccole coscienze di spettatori. Tra questi lavori da segnalare un’esperienza divertente e ricchissima come Once upon a time, il museo della fiaba che la scenografa Emanuela Dall’Aglio ha ideato per una delle sale di India, interamente affollata di oggetti tratti dalle maggiori fiabe della tradizione occidentale, archiviati da questa improbabile ma coinvolgente dottoressa che accoglie bambini e adulti per un viaggio, attraverso lo sguardo, di nuovo in un’altra realtà, come nella suggestione di bell hooks. La mela di Biancaneve e quella di Adamo ed Eva cos’hanno in comune? Quanti fagioli sono nati da piante magiche? Potrà un bambino sciogliere la treccia di Raperonzolo che scivola fuori dalla torre? Tante domande, tante esperienze concrete, tante le scelte cui i giovani spettatori sono chiamati, per far diventare le fiabe parte della loro vita.
Da segnalare i progressi del Collettivo BEstand che con Uccelli di passo, sulla falsa riga di Peter Pan, porta nel mondo di adolescenti che scoprono drammaticamente l’avvento della vita adulta, attraverso una acquisizione rituale un po’ bambinesca che, tuttavia, si scontra con la forza dirompente dell’esperienza; il gruppo è ancora ad uno stato di lavorazione non compiuto, l’economia dello spettacolo ha bisogno di riposizionare gli elementi affinché il caos non disperda l’equilibrio e la narrazione prenda forza da una maggiore coerenza, ma non mancano entusiasmo e qualità da portare a un più conciso compimento. Con Un cuore a pedali Ippolito Chiarello si trasferisce invece nel corpo e nelle parole strampalate di un viaggiatore dei sogni, raccoglie dai bambini una sorta di biglietto segreto perché lui sappia, con una specialissima bicicletta, trasportarli in un luogo inesplorato e magico; la regia di Michelangelo Campanale è sapiente ma sceglie di rappresentare unicamente il chiaro dell’allegria e non porvi a contraltare l’oscurità della tristezza, stimola il surreale per comporre, anche qui, una verità che non sia solo degli occhi ma anche dei desideri, assimila Calvino, Rodari, Jules Verne ma pecca talvolta di un caos non sempre funzionale all’obiettivo.
Scoppiati di Giacomo Occhi, diretto da Beatrice Baruffini per Teatro Gioco Vita, è in ultimo un piccolo grande capolavoro di teatro d’oggetti: è la storia di un palloncino che vive in una bancarella di giochini per la festa, ma pian piano la sua vita si fa triste e solitaria, gli altri giochi vengono venduti e lui resta, sempre più sgonfio, sul tavolo del venditore che cerca di confortarlo. Occhi è dietro un tavolo nero orizzontale su cui avviene ogni cosa, la sua presenza molto rapidamente diventa parte della storia, oltre a essere colui che muove gli oggetti si fa oggetto egli stesso, protagonista al pari del palloncino; la luce e la sapienza manuale contribuiscono con la tecnica a creare uno spazio di poesia e incanto che darà al palloncino la possibilità di vivere una storia speciale: arriverà una palloncina con cui andare al mare, al parco, a fare l’amore, grazie a lei verrà alla luce un palloncino minuscolo che però lui dovrà crescere da solo, perché si scoppia, del troppo amore, nella vita dei palloncini. Sarà difficile affrontarla questa fase in cui il dolore è emerso e non si può tornare indietro, ma proprio dall’amore nascerà un rapporto nuovo, perché la vita procede oltre e non si può guardare indietro. Chi scrive, qui ora, se lo ricorda che in quella sala ha pianto via qualche lacrima, chi scrive è stato bambino e ci ritorna con questa cura della minutezza che sembra sussurrare quanto tutto, in fondo, è poca cosa se l’amore ci conforta. E allora, sempre chi scrive, ringrazia i palloncini che scoppiano ogni sera, mettono in scena il loro limite, definiscono il confine entro cui l’essere umano, se lo capisce, può e deve gonfiarsi di tanta vita.
Simone Nebbia
Contemporaneo Futuro, Teatro India / Teatro Torlonia Roma – Ottobre 2022