A settembre si è tenuta la ventinovesima edizione di Fabbrica Europa. Siamo stati due giorni a Firenze per raccontare i nuovi spazi del Parc, incontrando qui due spettacoli di danza: Panimundo di Pietro Pireddu e Un discreto protagonista di Alessandra Paoletti e Damiano Ottavio Bigi.
A Firenze il nome di Fabbrica Europa era legato a doppio filo a quello della Leopolda (che poi era anche il famoso cantiere della politica renziana), luogo bellissimo e pieno di possibilità per la sperimentazione dal vivo, ma diventato poi fin troppo costoso per la fondazione. Ecco allora la necessità di cambiare passo: da una parte nasce l’idea del festival diffuso e dall’altra la possibilità di rigenerare un luogo della città già esistente. Il comune di Firenze mette a bando una struttura alle porte del Parco delle Cascine con l’intento di trasformare quel quartiere in un polo culturale (lì ha sede anche che il centro per la danza di Virgilio Sieni e il Maggio Musicale nella nuova struttura progettata da Paolo Desideri). Fabbrica Europa nel 2017 vince il bando per la gestione delle ex Scuderie Granducali delle Cascine, nasce così (in collaborazione con lo Studio ++ e Alfea Cinematografica) il Parc, un centro per le arti performative, cuore del festival (con tanto di bistrot) e cabina di regia della fondazione; una riqualificazione in cui rientra anche la gestione dell’infopoint del parco.
Nella struttura di origine settecentesca ci sono gli uffici, ma soprattutto alcune sale prove nuovissime e pronte per ospitare anche performance con spettatori. Mi spiegano che Anne Teresa De Keersmaeker ha scelto una di queste sale, la più grande, nella quale il tappeto bianco per la danza occupa quasi l’intero perimetro, per le proprie audizioni in Italia. Faccio un giro dell’edificio, nell’ufficio della direzione artistica Maurizia Settembri con orgoglio mi lascia sfogliare il progetto con il quale hanno vinto il bando comunale. Inoltre, nei corridoi, un altro simbolo di connessione con la città culturale definisce l’estetica del Parc, le poltrone di platea che appartenevano al Teatro della Pergola prima di un recente rinnovo. Insomma una relazione, tra un soggetto di produzione culturale e artistica del contemporaneo e il territorio, che potrebbe essere esempio, buona pratica da esportare, una delle possibili risposte alla domanda: “cosa possono lasciare le arti performative sui territori?”
In uno degli spazi scenici del Parc troviamo Pietro Pireddu (dietro al banco regia) e le tre danzatrici di Panimundo, pronte ad abitare il perimetro bianco che è da subito segnato dai colori accesi di magliette, pantaloni, pantaloncini e vestiti vari, sono disposti perpendicolarmente alla platea evidenziando la profondità della scena. Il coreografo in questo video registrato durante la residenza al Parc spiega che l’origine del titolo è legata alla campagna sarda dove ha trascorso la sua infanzia, e la malva partoriva piccoli frutti chiamati panimundu (pane del mondo nella traduzione letteraria).
Il lavoro cresce lentamente, Carolina Amoretti, Chiara Casiraghi e Giulia Gilera si muovono su due livelli, quello della solitudine e quello del gruppo nel quale i gesti, le pose e gli schemi coreografici si susseguono contendendosi lo sguardo e l’attenzione dello spettatore. Qualcuno potrebbe sentire la mancanza di scene madri, epifanie in grado di incunearsi nella mente e determinare così un’immagine precisa dello spettacolo e del suo linguaggio, ma qui c’è una sorta di movimento perpetuo fatto di assoli e corali, di pose e corpi in tensione.
Spostandoci fuori dal Parc l’altra esperienza da ricordare di questa visita a Fabbrica Europa è relativa allo spettacolo visto al Teatro Studio di Scandicci dal titolo Un discreto protagonista, di Alessandra Paoletti e Damiano Ottavio Bigi. Siamo a due passi da Firenze, il Teatro Studio (ora intitolato a Mila Pieralli) era la casa del Teatro Studio Krypton di Giancarlo Cauteruccio fin dagli anni Novanta; poi è stato gestito per alcuni anni (fino al 2021) dal Teatro della Toscana con cartelloni non di primo piano.
Nel 2016 la stessa compagnia di Cauteruccio abbandona il teatro perché le promesse dell’ente teatrale nazionale vengono meno (qui Giuliano Compagno racconta il caso con fatti e passione). Ora, a quanto pare, lo spazio rimarrà chiuso almeno per un paio di anni, per un processo di riqualificazione, il comune di Scandicci vuole farne un polo culturale in cui troverà posto anche il Teatro delle Donne, «presto il Teatro Studio Mila Pieralli avrà spazi riorganizzati e più sfruttabili, sarà laboratorio delle nuove tecnologie video e audio 3D», ha affermato l’assessora alla Cultura Claudia Sereni. Si spera in una riapertura con una progettazione artistica rinnovata.
Anche perché il teatro ora è già funzionante e in ottime condizioni e nel caso del lavoro di Paoletti e Bigi ha dimostrato come sempre di poter accogliere il gesto della creazione contemporanea al meglio. Qui ci lasciamo trasportare dall’alchimia poetica di due uomini: in scena la potenza di Damiano Ottavio Bigi e l’eleganza di Lukasz Przytarski. Sono due entità che si attraggono e si contrappongono, potrebbe essere una storia d’amore o di fratellanza, oppure una scomposizione a partire dalla stessa personalità. Gli autori spiegano di aver preso le mosse da studi scientifici: «abbiamo lavorato sul tempo, sul vuoto e il pieno, il denso e il rarefatto; sulla possibile relazione tra due figure attraverso rapporti geometrici e astratti, che ci siamo resi conto governare il macroscopico come il microscopico».
Le linee narrative appaiono sotterraneamente per poi scomparire improvvisamente come ombre; c’è la ricerca di un’eleganza anche visiva, a partire dai costumi, pantaloni scuri e giacche. Di tanto in tanto appare qualche unisono, ma questi due corpi possono anche scomparire davanti a un controluce per riapparire poi uno dietro l’altro. Oppure accennano una lotta per poi cercare un microfono sul pavimento. Bigi e Przytarski danzano con tutto il corpo – con due qualità diverse – dalle dita delle mani alle punte dei piedi, fino alla testa, in un’estasi contagiosa, su musiche che vanno da Vivaldi a Brian Eno.
Andrea Pocosgnich