Recensione. Alexo di Claudio Morici, con una vena comica estremamente affilata, indaga il rapporto tra essere umano e automa. Al Teatro India di Roma.
Poniamo il caso di sentirci soli, la maggior parte del tempo la passiamo in casa perché siamo spaventati dal fuori, oppure la passiamo fuori con l’illusione di poter incontrare qualcuno, insomma poniamo il caso che l’unica soluzione che ci venga in mente per parlare con qualcuno sia acquistare un assistente vocale; ma non abbiamo soldi, pertanto abbassiamo le nostre pretese e prendiamo un’imitazione, in tutto e per tutto identico a quello vero, al negozio cinese sotto casa alla periferia di Roma. Beh, quasi, identico. Perché Alexo rispetto alla blasonata collega femminile è un po’ particolare, non è così preciso, parla solo in dialetto, si innervosisce per le richieste inutili, per le scelte avventate, insomma Alexo magari come assistente vocale non è proprio il massimo, sembra più un amico, sembra più lo specchio di una vita eterodiretta che è la nostra, in questa società che ci chiede di compilare un percorso già tracciato su una mappa, e lo chiama viaggio. È un po’ con questa intenzione e questa cura che Claudio Morici ha messo su il suo ultimo divertente monologo, Alexo, in scena al Teatro India di Roma, nato durante il lockdown, quando la solitudine era imperante o, forse, ne avevamo più esplicita coscienza.
Alexo è il suo alter ego, lo è sia nei contenuti che nella forma: Morici duplica la propria voce – come è ormai cifra dell’artista romano – per interpretare la voce della macchina al suo fianco, ossia della propria coscienza, una sorta di grillo parlante a cui sta a cuore la vita dell’umano che gli è capitato in sorte. E così, dalle scelte in amore, nel lavoro, nella relazione con gli amici, Alexo inizia a dare consigli oppure, con l’andare del loro rapporto, si mette a fare di testa sua, innescato dal protagonista che si accorge di quanto in fondo le scelte di Alexo siano migliori delle proprie, e così delega anche le scelte sensibili, quelle che dovrebbe fare un umano, a patto che di muoversi a partire dalla sensibilità sia ancora capace. Alexo cerca di indirizzare la vita dell’umano paradossalmente nella direzione opposta, ossia cerca di liberarlo dalla schiavitù di dover chiedere tutto, tutto ciò che non serve, a un assistente vocale; assimila allora tutti i difetti di Claudio, il protagonista, tramite il proprio algoritmo li ammorbidisce e crea una persona virtuale che dialoga con gli altri, specificamente con una donna di nome Loredana con la quale Claudio tenta di avere (o non avere) una relazione; eppure, Alexo, così tentando di meccanizzare le scelte dell’uomo, che da solo è inetto e fa unicamente danni, finisce con l’umanizzare le proprie stesse scelte, iniziare a provare quelle emozioni che l’uomo non prova più, un po’ come accadeva nel sempre moderno e delicato Her (2013), film di Spike Jonze sulla relazione – anche sentimentale – tra uomo e tecnologia.
Che effetto ha la tecnologia sulla nostra vita? È questo il tema che Morici, godendo anche della freschezza del frammento che compone una drammaturgia fatta di gag o piccole cellule, tratta con un espediente narrativo efficace – la duplicità del proprio personaggio, fino all’estrema conseguenza dell’inversione di ruolo, ma anche con una vena umoristica davvero affilata, accettando il gioco di “pensare” (è il caso di dirlo) come un assistente vocale. La specularità e la conseguente inversione esprimono con chiarezza che il confine tra l’essere umani e l’essere automi è lieve, entrambi sono guidati ormai dal medesimo algoritmo che indirizza le scelte, per entrambi la conseguenza drammatica è un deserto esistenziale, una condizione di estrema solitudine che meccanizza gli affetti e pone un profondo allarme sul futuro della nostra sfera relazionale.
Simone Nebbia
Teatro India, Roma – Settembre 2022
ALEXO
di e con Claudio Morici
produzione teatro Metastasio