Recensioni. L’iniziativa Dance Reflections by Van Cleef & Arpels torna al Romaeuropa Festival promuovendo la danza contemporanea attraverso un focus in cui si inseriscono le opere Drumming Live di Anne Teresa De Keersmaeker e In C di Sasha Waltz & Guests. Un racconto a due voci.
«Dance has been a significant field for the Maison throughout its history, with examples that include the encounter between Claude Arpels and George Balanchine in the 1960s […]. With the program ‘Dance Reflections by Van Cleef & Arpels’, the Maison aims to support modern and contemporary dance, and encourage new choreography». Queste parole sono di Nicolas Bos, presidente e CEO della casa parigina di alta gioielleria, orologi e profumi Van Cleef & Arpels, a testimonianza di un’attenzione lungimirante che nasceva negli anni Venti ed è proseguita sia nella creazione di oggetti a tema danza (le ballerine di diamanti diventate icona della Maison sono nate nei Quaranta e hanno anche ispirato creazioni coreografiche ad hoc) sia nella promozione di valori legati alla creazione, alla trasmissione e all’educazione delle arti, nel desiderio di supportarne il patrimonio storico e contribuire all’arricchimento dei pubblici attraverso alleanze con partner internazionali. Nell’alveo di Dance Reflections by Van Cleef & Arpels, iniziativa nata nel 2020, Romaeuropa Festival ha presentato due spettacoli, all’interno della cavea dell’Auditorium Parco della Musica “Ennio Morricone”, che manifestano una stratificazione di arti coreutica e musicale contemporanee, repertori storici e nuove possibilità di riflessione: Drumming live di Anne Teresa De Keersmaeker e In C di Sasha Waltz. (A questi due si aggiunge anche Passages, performance in itinere di Noé Soulier presso Villa Medici, in un progetto che esplora la relazione tra corpi e ambienti nei quali agiscono). A margine di questi racconti emergono, da un lato, la possibilità che l’incontro tra arti possa avvenire in una modalità critica e non però per questo squilibrata a favore di una sull’altra e, dall’altro, il pensiero, non dato per scontato, che aziende fortemente consolidate nel mercato, anche non principalmente legate alle arti performative, possano tuttavia favorirne la diffusione e la produzione, in duplice prestigio e mutuo sostegno.
«Tradizionalmente, una bella ragazza» è l’annotazione riportata sul manoscritto originale relativa alla musicista che avrebbe dovuto suonare, ripetutamente, soltanto la nota Do (C secondo la notazione anglosassone). The Pulse, questa pulsazione continua, secondo Terry Riley sarebbe stata affidata dunque a una precisa figura, un riferimento all’interno della partitura. Sasha Waltz, invece, elabora questa costruzione e la adatta alla sua di partitura, coreografica, rendendola collettiva, orizzontale e, come lei stessa la definisce nel programma di sala, «democratica». La nuova produzione della coreografa, dopo Le Sacre, a due anni di distanza viene nuovamente ospitata nella cavea dell’Auditorium Parco della Musica “Ennio Morricone”. Questa volta il confronto è con il brano In C, che dà il titolo allo spettacolo, creato nel 1964 dal compositore statunitense Terry Riley e assurto a opera di riferimento per il minimalismo musicale. La tensione insita in questo genere a rendere più accessibile la musica d’avanguardia degli anni Sessanta è traslata da Waltz in una struttura per la quale le 53 figure musicali sono rappresentate dalle 53 figure coreografiche, ripetute e sovrapposte autonomamente dai danzatori e danzatrici con l’accompagnamento dell’Ensemble Casella del conservatorio “A. Casella” de L’Aquila, sotto la guida del Maestro concertatore Oscar Pizzo.
Non c’è distinzione tantomeno tra l’ensemble dell’orchestra e quello dei danzatori e danzatrici: come preludio alle prime frasi, da quando il contrabbassista inizia con l’accordo di Do maggiore, una massa camminante composta da danzatori e musicisti occupa lo spazio scenico in silenzio. “Spazialismo coreografico” lo definiremmo perché anche durante tutta la partitura le occasioni di sconfinamento dei corpi all’interno dell’orchestra saranno una costante: inserimenti, prolungamenti, passaggi tra gli strumenti. Ed è un godimento per lo sguardo, una contemplazione visiva di colori – per il cromatismo illuminotecnico (Olaf Danilsen) e dei costumi (Jasmin Lepore) – uditiva di suoni, e empatica rispetto al movimento, per la quale osservando quei gesti, e focalizzandoci su alcuni piuttosto che altri, incameriamo quelle azioni e saremmo in grado di compierle anche noi. La bellezza formale, calligrafica, è sintesi di un pattern in cui l’aleatorietà della composizione procede parallelamente alla regola, un esercizio condivisibile e agibile da chiunque – nato durante il lockdown attraverso dei tutorial che permettono inoltre di ovviare al problema della mobilità internazionale in caso di nuove crisi internazionali – al punto che si è creata una grande comunità attorno, fatta anche di bambini e non professionisti. Stare insieme in libertà è possibile solo tramite l’ascolto, unica regola richiesta da Sasha Waltz e metafora della resistenza delle persone al contesto storico attuale: «La pièce può funzionare solo se ogni singolo elemento è in ascolto dell’altro, se davvero si collabora insieme. E questo aspetto mi è sembrato importantissimo durante il Covid in cui ci chiedevamo quale fosse l’equilibrio tra libertà individuale e responsabilità nei confronti degli altri, della società».
È una danza gioiosa quella di Drumming live, in cui sembrano dispiegarsi le stagioni e le diverse anime di una comunità multiforme che a stimoli simili reagisce diversamente, come singoli, come gruppo ristretto oppure tutti insieme. L’iconica coreografia di Anne Teresa De Keersmaeker, datata 1998, nasce sull’omonima composizione minimalista di Steve Reich, musicata dal vivo dall’ensemble di musica contemporanea Ictus, storico partner della compagnia con cui ha collaborato a 15 produzioni e condivide degli stessi spazi a Bruxelles. Tamburi, xilofoni a diverse ottave, flauti e voci compongono (grazie alla maestria di 12 musicisti e due cantanti) non un tappeto ma un districarsi di vie acustiche armoniche in crescendo. Queste segnano il passo dei tredici danzatori e danzatrici, guidati verso un’autonomia del movimento dei corpi, che a partire dalla ritmica in canone sempre più densa, costruiscono passaggi calligrafici in rincorsa e ripresa, modulando continuamente a partire da geometrie essenziali.
I primi suoni tellurici introducono uno stato quasi ipnotico mentre una danzatrice inizia la prima solitaria danza di gambe e braccia estese, forze direttrici verso l’esterno, aperture articolari e ampie corse in tondo. Lo slancio che precede il salto – quando poi viene raggiunta da uno, due, molti altri – esalta la vitalità del gesto, non assumendo mai un chiaro o univoco significato ma manifestandone le potenzialità significanti, che vivono in un caotico ma strutturato disordine, senza un obbligo formale che incaselli i corpi in disegni equilibrati, equidistanti, artefatti. I corpi si accordano poi al lento mutare dei suoni, e i moduli semplici che riprendono poche note sorreggono la reiterazione maggiormente variegata dei passi, ne sfruttano il leggero sfasamento di tonalità scivolando morbidamente nelle variazioni, gli staccati e le continue ripetizioni anche vocaliche (dove la voce è strumento al pari degli altri) suggeriscono la qualità d’azione netta, decisa ma fluida, senza imporre una volta per tutte un’unica via interpretativa. A guardare questa comunità che crea legami, che si accorda, che si allontana ma poi trova nuovamente punti di incontri, abbracci e separazioni mai tragiche, sembra quasi emergere un suggerimento non più solo artistico, ma civico, di coesistenza e di differenziazione.
Lucia Medri, Viviana Raciti