Questa recensione fa parte di Cordelia, settembre 2022
Il Prometeo di Lorenzo Covello, visto allo Spazio Tre navate nell’ambito del Mercurio Festival, è un uomo comune, sottoposto a un comune ciclo di successo e disfatta. Prometeo si offre come un grumo di luci e ombre, di acqua e fuoco, armonizzato con eleganza essenziale dalla scena di Jess Guagliardi. Il protagonista appare gradualmente, nudo, proiettando una sagoma scura sullo schermo alle sue spalle. Una fase di statica gestazione, al cui termine esplode il parto, improvviso come il buio in sala. Quando le luci si riaccendono, Prometeo è in posizione ancora fetale, aggrappato a una sedia che oscilla come fosse immersa nel liquido amniotico. Sempre più il protagonista si spinge in alto, si costringe a un equilibrio da funambolo, sostenuto da una muscolarità sicura e flessibile. Sembra una creatura di Chagall, ma senza la consolazione della fiaba. Un suono di corde pizzicate (di Stefano Grasso) ne accompagna le evoluzioni, interrotte dall’accensione di una miccia. Prometeo ha ottenuto il fuoco, e ora è fuoco lui stesso. Gli arti crepitano come fiamme, emergono vitali dalle tenebre, isolate dalla luce di Gabriele Gugliara. Il ritmo delle percussioni incalza, fino a quando il piccolo titano non scopre una figura estranea e imponente: la sua ombra – o il padre? Riconoscendosi, riconosce l’inutilità del proprio slancio, torna al grembo liquido che lo ha generato. Una successione di continue cadute increspa la superficie dell’acqua e della sua proiezione: nella pulsione di morte, il tentativo di splendere, infine, si estingue. (Tiziana Bonsignore)
Visto allo Spazio Tre Navate, Mercurio Festival, Palermo – Crediti: di e con Lorenzo Covello, scene di Jesse Guagliardi, musiche di Stefano Grasso, luci di Gabriele Gugliara. Foto di Nayeli Salas
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