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Danza Urbana 2022: il corpo si dilata e libera i luoghi

Da mercoledì 7 a domenica 11 settembre a Bologna torna la ventiseiesima edizione di Danza Urbana, la nuova danza d’autore italiana e la scena coreografica internazionale si disseminano negli spazi del capoluogo. Intervista al direttore artistico Massimo Carosi. Contenuto realizzato in mediapartnership.

Foto Ufficio Stampa

Come è stata pensata questa edizione e qual è l’aspetto che la caratterizza rispetto alle altre?

La definirei un’”edizione laboratorio”, in cui convergono progetti artistici che si trovano in una fase di sviluppo, e che abbiamo supportato e sostenuto attraverso varie azioni di cui si occupa l’associazione durante l’anno, mantenendo il focus sullo spazio pubblico e il paesaggio. La parte portante della programmazione vuole dare risalto ai/alle giovani autori/autrici, indagando i loro processi per affiancarli a dei momenti di testimonianza e confronto. A tal proposito, racconteremo Crisol – creative processes, un progetto co-creativo di internazionalizzazione dei processi creativi a cui hanno partecipato Luca Brinchi, Karima 2G e Irene Russolillo finanziato nell’ambito del programma Boarding Pass Plus 2019. Un percorso di ricerca a distanza, perché iniziato nel 2020, che ci ha messo in contatto con le comunità senegalesi. Brinchi ha realizzato un docufilm a testimonianza del progetto il cui esito sarà raccontato nello spettacolo If there is no sun. Nel rispetto delle estetiche relative all’afrofuturismo e alla volontà di decolonizzazione della cultura, è stato avviato anche un dialogo tra gli artisti e la storica dell’arte Viviana Gravano. Avremmo anche degli incontri con i ragazzi e ragazze che hanno vinto il bando Dancescapes. Le proposte in cartellone possiedono formati sperimentali e diversificati: dagli spettacoli itineranti a installazioni partecipative. “Laboratorio” è il filo conduttore di questa edizione perché la maggior parte dei lavori si pongono in rapporto dialogico con il pubblico, come per esempio Vibes#3 di Masako Matsushita oppure la creazione di Elisa Sbaragli che lavora sul terzo paesaggio attraverso non solo l’elemento coreografico ma anche la transmedialità e la musica. La maggior parte di questi progetti si caratterizza per un bassissimo impatto ambientale, molti si svolgono all’aperto, con la luce del giorno e con allestimenti minimi o totalmente inesistenti. NeverStopScrollingBaby di VITAMINA / Ferreri, Sedda, Vanhaverbeke si svolge senza nessun supporto tecnico, solo un corpo immerso nello spazio pubblico.

Foto Pascal Orbe – Masako Matsushita Vibes#3

Qual è l’equilibrio tra il centro e il suo decentramento? Come vengono scelti i luoghi e in base a quale osservazione?

Nella scelta dei luoghi che fanno parte del programma entrano in campo una serie di variabili mai univoche ma articolate per attraversare lo spazio urbano. Innanzitutto vogliamo trovare il miglior luogo che corrisponde alla proposta artistica, a partire dalle necessità dell’autore e autrice, mantenendo sempre presente il rapporto con la città, le istituzioni, e la disseminazione degli eventi. Vige un equilibrio tra luoghi di maggiore concentrazione e flusso, e quelli più marginali e periferici nei quali si trova una minor offerta culturale. L’edizione di quest’anno sarà inaugurata il 7 settembre nel cuore della città di Bologna a Piazza Maggiore e poi proseguirà nella stessa giornata fuori dalle mura della città al DumBO (Distretto urbano multifunzionale di Bologna ndr), un’ex-aerea di scarico merci ora riqualificata. Il giorno dopo ci sposteremo nel quartiere storico della Bolognina in cui è stata da poco inaugurata Piazza Lucio Dalla, all’interno della riqualificazione dell’ex-mercato ortofrutticolo. La terza giornata andremo al Lungo Reno per Bodyscape insieme a Lorenzo Morandini con il suo La Möa, e con Elisa Sbaragli e Sull’irrequietezza del divenire, programmato nell’aerea sottostante i ponti dell’Alta Velocità. Sabato, nella Piazza San Francesco, abbiamo concentrato alcuni eventi inseriti nel flusso della città, quelli già accennato di Masako Matsushita e di VITAMINA, e poi Satiri di Compagnia Virgilio Sieni e il tour metropolitano di Fabrizio Favale con la sua creazione The Rose Alien Tour che raggiungerà luoghi decentrati. L’ultima giornata, la domenica, è stata pensata in relazione con il Parco agricolo di Villa Ghigi che ci immaginiamo frequentato da bambini, per una fruizione in un contesto rurale alle porte della città. Concluderemo poi il tour con lo spettacolo di Luna Cenere a Palazzo D’Accursio.

Foto Ufficio Stampa – Pablo Girolami Manbushona

Dopo questi due anni, i corpi stanno gradualmente recuperando il proprio spazio e tornano a percepirsi come parte di un insieme, fuori dall’intimità della casa. Sono cambiati secondo te i luoghi nella loro capacità di accogliere le persone o sono ancora più limitanti?

Parlerei di un cambiamento della percezione dei luoghi da parte delle persone. La possibilità di fruire i luoghi come possibilità è tornata alla situazione precedente alla pandemia, è cambiata tuttavia la modalità con la quale si vivono. La dimensione dello spazio pubblico è però eccessivamente normata e prescrittiva: la quantità di controlli e permessi non ha eguali rispetto all’accoglienza nei posti deputati all’attività di spettacolo dal vivo. Ancora oggi le persone hanno timore degli assembramenti, nonostante tutti e tutte vogliamo ritrovare la normalità di abitare gli spazi. Dobbiamo ricalibrare l’offerta culturale nei contesti outdoors, il pubblico li predilige e la ricerca sia nazionale che quella dei miei colleghi e colleghe all’estero sta andando totalmente in questa direzione.

Foto Ufficio Stampa – Archivio Danza Urbana

Gli eventi sono a ingresso libero. In questi anni in che modo vi siete interrogati riguardo la gratuità degli spettacoli?

Da sempre offriamo una forma di arte pubblica, imporre un biglietto in uno spazio pubblico, libero e di transito, significa trasformarlo in uno spazio privato che snatura il contesto. Solo nel 2020 abbiamo dovuto contingentare gli spazi e quindi mettere gli ingressi a pagamento con una tariffa di soli tre euro, il cui ricavato totale è andato poi a contribuire alla riforestazione della città di Bologna. La logica della gratuità non è un disvalore ma è difficile educare in tal senso, infatti, sin dai primi anni del 2000, siamo stati costretti a rispondere alle critiche delle amministrazioni pubbliche. Chi non si è mai avvicinato al concetto di danza contemporanea può farlo attraverso occasioni come questa, che possono stimolare curiosità e conoscenza. Noi lavoriamo sul luogo offrendo un’esperienza perché ci interessa porci in relazione a un contesto dato e reale per inserircisi e in caso modificarlo. A livello ministeriale, in Italia la danza urbana non è riconosciuta perché vige l’obbligo di non superare il 10% degli spettacoli gratuiti, clausola del tutto incomprensibile all’estero. Ciò accade perché il Ministero ha adottato, solo per la danza, un algoritmo basato su dati quantitativi e indicizzati che devono essere certificati dalla SIAE per individuare il flusso degli spettatori e il riempimento sala. Gli eventi gratuiti, per la SIAE, non hanno pubblico perché non possono quantificarlo. In passato feci anche la proposta accolta da ANCI e ultimamente presentata da Federvivo, di prendere l’articolo dedicato allo spettacolo teatrale e alla musica – il quale prevede la gratuità al 100% per il teatro di strada e di figura – e inserirlo nel settore danza. Proposta però che non è stata ancora consentita.

Foto Paolo Cortesi – Fabrizio Favale The Rose Alien Tour

Che rapporto sussiste tra i giorni del festival e il lavoro svolto durante l’anno di ricognizione e scouting?

Abbiamo attive una serie di progettualità esterne al festival che ci permettono di avere un osservatorio sulla scena emergente italiana e estera, una mappatura costante e sempre aggiornata. Abbiamo anche fatto attenzione a non creare un ghetto dedicato esclusivamente ad artisti meno conosciuti ma farli entrare in dialogo con quelli più affermati. Il pubblico non partecipa alla rassegna soltanto perché riconosce il nome in cartellone ma perché sa di poter trovare un’offerta innovativa proveniente anche dall’estero. Il lavoro di scouting può articolarsi grazie al network di cui facciamo parte che va dalla rete Anticorpi, che abbiamo fondato; siamo poi all’interno di Anticorpi XL di cui siamo anche coordinatori per quanto riguarda la formazione con il progetto di accompagnamento Dancescapes dedicato rispettivamente alla ricerca coreografica, alla mobilità internazionale, all’alta formazione e alle attività divulgative e teoriche. Coordiniamo la rete Habitat che mette gratuitamente a disposizione degli artisti del territorio dei luoghi di creazione e produzione. Siamo presenti in alcune reti internazionali come quella del progetto di cui abbiamo già parlato, Crisol; collaboriamo con la spagnola Red Acieloabierto e con altre realtà come Mas Danza che ci permettono di avere una panoramica sulla danza intorno al mondo come quella a Taiwan, Singapore e Burkina Faso. O anche piattaforme online che ci mettono in contatto con la scena araba.

Foto Joshua Vanhaverbeke – VITAMINA, NeverStopScrollingBaby

Cosa garantiscono le vostre borse studio di mobilità?

Stiamo replicando e implementando il modello sperimentato lo scorso anno, nell’edizione 2021. Abbiamo assegnato due borse di ricerca coreografica tramite bando per il quale una commissione internazionale ha selezionato le due proposte di Elisa Sbaragli e Lorenzo Morandini. A loro abbiamo offerto una residenza artistica in Italia e un’altra all’estero: la prima a Bologna, alla Sementerie Artistiche di Crevalcore, la seconda a Saragoza. A queste si aggiunge una borsa di studio per entrambi del valore di 3800 euro e delle ore di sharing e mentoring con Annalisa Metta, Leonardo Delogu e Emanuele Regi. Le borse di mobilità internazionale sono andate a sostenere anche il lavoro Manbushona di Pablo Girolami e Oltrepassare di Silvia Dezulian e Filippo Porro.

Foto Giuseppe Follacchio – Luca Brinchi, Karima 2G, Irene Russolillo, If there is no sun

Parliamo di formazione e sostegno produttivo: in Italia sono aspetti consequenziali o ancora ambiti autonomi e paralleli? Cosa servirebbe ancora per dare solidità alla ricerca coreografica?

Ahimé, non c’è ancora rispondenza tra formazione e produzione in Italia. Danza Urbana si inserisce in un contesto che necessita di strumenti e conoscenze che la formazione in ambito coreografico attualmente non fornisce. Per questo attraverso Dancescapes facciamo un’azione specifica di costruzione della consapevolezza e di arricchimento di conoscenze. Come e perché si prende parte a un progetto partecipativo? Cosa vuol dire site-specific? Coinvolgiamo architetti, urbanisti paesaggisti per fornire degli approfondimenti trasversali e per la realizzazione di opere complesse che si inscrivano nel paesaggio, considerandone i mutamenti e la fruizione di chi li attraversa. I/Le nuovi/e autori e autrici dovrebbero essere permanentemente in formazione e occorrerebbe che le competenze convergano poi nella produzione di un segno. Parole chiave come processo, partecipativo, territorio, co-creazione trovino allora una propria valenza qualitativa che si inserisca nel dibattito urbanistico e attorno all’architettura.

Redazione

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