Cilentart alla seconda edizione tra vari paesi dell’entroterra del Cilento, con la direzione artistica di Vittorio Stasi e Alfredo Balsamo, si pone già come un’importante antenna di esperienze al sud.
Molto spesso gli spettatori del mondo teatrale partecipano di una contraddizione diffusa, quella che riguarda i festival estivi. Si tratta di una contraddizione in cui si mescolano da un lato la pura definizione e dall’altro l’intero corpo di attività che l’organizzazione del festival immagina ed esplicita poi nei luoghi di appartenenza. La trasformazione produttiva che i festival hanno vissuto negli anni, che li ha portati a sopperire in misura sempre maggiore alla distanza tra le grandi produzioni e quelle indipendenti, ha prodotto il paradosso che la definizione poco corrisponde, ormai, alla realtà: i festival più solidi sono quelli che superano ormai il segmento stagionale in cui sono inseriti (peraltro un segmento sempre più esteso che va dalla primavera all’autunno), che abbandonano l’idea di incarnare un’apparizione sorprendente in un luogo definito e in contrario si radicano all’interno dei territori con attività che attraversano l’intero anno. Dunque questi festival troppo estivi non sono più, ma è proprio d’estate che vivono il loro frammento di maggiore visibilità, portando le radici in superficie, mostrando dunque i frutti di un lavoro che deve, necessariamente, essere il più possibile dilatato, prima e dopo il breve periodo di offerta pubblica. È questo il caso del nascente (alla seconda edizione) Cilentart, espressione di una vitalità densa che affonda nel Cilento segreto dell’entroterra la visione di Vittorio Stasi e Alfredo Balsamo, con il sostegno del Teatro Pubblico Campano.
Il pensiero progettuale riunisce alcune località della zona, piccoli paesi a pochi chilometri l’uno dall’altro (Perito, Salento, Capaccio-Paestum, Prignano, Gioi, Omignano, Moio, Lustra, San Giovanni a Piro), in una ideale mappa che segna un’offerta artistica radiale, perché ognuno presenti appuntamenti che sappiano dialogare con la storia locale o, meglio ancora, con l’architettura del paesaggio. Tuttavia, attorno agli spettacoli (maggiormente di repertorio ma con una scelta oculata e di eccellente qualità, dalle Barzellette di Celestini a Venere e Adone di Latini, passando per la Paloma De Nitto/Marrazzi, Cornelia, Zappalà Danza ecc), la formula si è arricchita di un’idea ulteriore dedicata alla formazione professionale, curata da Michele Mele che ha chiamato in Cilento artisti/formatori come Roberto Latini, Arturo Cirillo, il Gruppo UC Studio, per guidare alcune classi di studio e dunque seminare, ancora, per un tempo ancora da venire, riunendo attori di ogni età in un gruppo che non solo lavora nelle sale messe a disposizione dai vari comuni, ma partecipa attivamente, trascorre insieme il tempo in una dimensione così rara nei più classici contesti urbani.
Perito, il primo dei borghi coinvolti, è forse anche quello dove con più attenzione si è cercato di produrre la vicinanza tra il luogo e l’esperienza dell’arte di cui il festival avrà ancora più bisogno per il futuro; è qui che il Collettivo Lunazione di Martina Di Leva, Eduardo Di Pietro e Cecilia Lupoli ha concepito e realizzato il progetto Cilento Hosting: Road to Perito (inserito nella più ampia progettualità Hosting on the road), una raccolta di materiale avvenuta nel tempo tra le storie dagli abitanti locali, attualmente residenti o che vi abbiano origine, da condensare poi in una forma teatrale diffusa attraverso le cuffie e itinerante per le vie del paese. Questo pensiero artistico riunisce in sé quanto di meglio si possa pensare perché l’arte abiti un luogo sconosciuto, fatto di persone, di storie individuali e collettive, di vita già in corso di svolgimento da molto prima che l’arte se ne occupasse; in questo piccolo viaggio all’interno del borgo antico, seguendo un itinerario tracciato da una donna che precede il gruppo (Di Leva), il silenzio del cammino dialoga con il vocio frusciante nelle cuffie, ogni storia si sussegue e assume una dimensione esemplare, dunque da esperienza locale quanto si ascolta si fa esperienza totale, non solo per evidenziare i legami rispetto ai tanti Perito d’Italia, ma soprattutto per scavare nella profondità di ciascuno dei partecipanti, che ne abbia o meno coscienza. Le voci fanno apparire il paese che non c’è, o non in quel momento, la dimensione poetica è segnata attraverso dei drappi rossi appesi in precisi angoli del cammino che attraversa un paesaggio altrimenti deserto, quel che appare dal legame tra i racconti e il luogo attorno è una sorta di presente eterno, in cui il passato si innesta al tempo che scorre.
Spopolamento, emigrazione. Queste le parole che si nascondono sotto traccia nelle voci degli abitanti. “Il paese è diventato nudo”, dice una donna e rimarca così le case disabitate, i luoghi un tempo vivi e ora non più. Chi partecipa al cammino viene fotografato con curiosità dalle persone del luogo che, lontane dalle cuffie, ignorano si stia parlando di loro; eppure è proprio in questo preciso momento che emerge più forte la responsabilità civile che lega la vita e l’arte nell’esperienza: passiamo in mezzo a donne che parlano piano sull’uscio di casa, di cose forse già dette molte volte, passiamo tra gli uomini fermi al bar che mescolano carte per l’ennesima partita, sono gesti usati e immutabili forse da secoli, mentre le voci nelle cuffie parlano di futuro, di paura, di cuore, di radici, dell’eterno desiderio di ritorno. Solo allora, nella piazza di un altro paese, quando alla fine di First Love di Marco D’Agostin dal cielo largo e soleggiato cade la neve, ci si accorge che l’arte ha la qualità di completare la vita, che può far apparire, nel paese che non c’è, tutto il paese che deve ancora essere.
Simone Nebbia
Cilento – Luglio 2022