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Un teatro d’incontro. Tra le vigne liguri con Terreni Creativi

Dall’1 al 7 agosto si è tenuto nell’entroterra di Albenga il festival Terreni Creativi, evento che anima da 13 anni la cittadina ligure e i suoi dintorni. Qui un piccolo affondo sui primi giorni, tra sapori, odori e visioni.

C’è una città al di là del mare, un piccolo borgo della riviera ligure di ponente. Lì, dove il sole si infuoca per togliere l’ultimo respiro di luce, dove l’aria salata avvolge i tiepidi corpi nel delirio sensoriale tra gli agrumi e le erbe della macchia mediterranea, tutto sembra continuare immutabile da tempi remoti. Gli abitanti vivono lì da sempre, il turismo della stagione estiva li risveglia da un letargo che sembra stendersi come un manto velato sui tetti della città. Dal primo piano di un palazzo, che permette l’accesso al centro storico di Albenga, una signora colorita si affaccia, chiama a gran voce i passanti, instaura legami, racconta storie, parla con la figlia di una cara amica, uscita oramai quando il caldo si fa insopportabile. A pochi passi da lì, raggiungibile tramite stretti e ramificati vicoli, Palazzo Oddo diviene il luogo cittadino atto ad ospitare Almeno Nevicasse, laboratorio a cura di Francesca Sarteanesi che costituisce l’appuntamento giornaliero di Terreni Creativi, festival ingauno organizzato e diretto da Kronoteatro – compagnia composta da Maurizio Sguotti, Tommaso Bianchi, Alex Nesti che ripropone insieme ai Maniaci d’amore La fabbrica degli stronzi (di cui avevamo già parlato) – che quest’anno, nella sua tredicesima edizione, ha deciso di prolungare la propria durata ad una settimana. Nel laboratorio, Francesca, attrice e regista, si occupa di accogliere i ragazzi, assume su di sé i loro sentimenti, i loro pensieri e ne dirige gli animi in un’attività che ha lo scopo di sospendere le vite per ricucirne con ago e filo i lembi. La tessitura avviene su dei maglioni, per recuperare la centralità di un’emozione che riesce ad essere trattenuta dal gesto, che si trasforma in parola intima, che fluisce in una storia condivisa.

La condivisione diviene così il mezzo attraverso cui è possibile ri-creare una comunità culturalmente sensibile e aperta al dialogo, una Tribù (dal titolo dato al festival) umana che resiste in un territorio complesso in cui il teatro fatica ad affermarsi, anche in ragione dei (ripetuti) mancati contributi da parte del FUS, che mettono a dura prova la stessa sopravvivenza del festival. All’interno di questa prospettiva di resistenza, la programmazione si mostra, come ogni anno, viva nel proprio carattere multidisciplinare, accompagnando all’attività laboratoriale la presentazione di libri, di opere teatrali, di performance, di musica e di momenti conviviali, vissuti nell’intimità di luoghi che recuperano una relazione perduta con la località di una terra e dei suoi abitanti. In questo dialogo tra geografie naturali e geografie urbane, sono le aziende agricole del posto ad essere incentivate, trasformandosi nello scenario unico e indiscusso del festival.  È infatti tra i filari dei vigneti dell’Azienda Agricola Dell’Erba che seguiamo il tenue chiacchiericcio degli organizzatori – tutti giovanissimi, molti abitanti di Albenga – che si diffonde nel cielo indorato delle ultime luci, mentre gli odori di menta e citronella forniscono la guida olfattiva per il luogo del ritrovo. Giungiamo così nelle fasce terrazzate dai muretti a secco, tappezzate da panche, bancali e catene di luci, dove un pubblico eterogeneo, e per la maggior parte fidelizzato, si raccoglie davanti al palco, allestito per la presentazione del libro Lingua di canedal processo creativo alla messa in scena, di Giuseppe Cutino e Sabrina Petyx, a cura di Filippa Ilardo. Migrazione è il sofferto termine attorno cui ruota la conversazione: una condizione permanente dell’animo, una scelta indotta, un viaggio di sola andata per chi, come i due artisti ennesi, cerca lavoro ed è costretto a lasciare il luogo natìo per le grandi città e diventare così straniero in patria. Migra Antonio, che vorrebbe tanto vedere un giorno il mondo dall’alto. Migra Tano. Migrano Peppe, Agata, Sonià, Maria. Ma se «ogni andare è un tornare e ogni approdo non è mai definitivo» allora, forse, tramite il teatro è possibile innescare un percorso affettivo a ritroso. È quello che fanno Cutino e Petyx, organizzando una residenza teatrale ad Enna per affrontare la problematica fuga di anime sicule, non soltanto focalizzando il proprio lavoro sull’azione dei corpi ma soprattutto sull’importanza della lingua, una phonè che plasma la cadenza ritmica e la musicalità di un suono, simboli di un luogo che ricerca la propria identità nelle voci locali.

Ma la phonè, nonostante il suo potere veritativo, può anche trasformarsi in una calzante maschera. Nella messa in scena di Medea per strada, di cui Gianpiero Alighiero Borgia firma la regia, anche Elena Cotugno è una straniera e lo si capisce da una particolare altisonanza della voce, da un uso improprio della lingua. Ride sguaiata, seduta su una sedia, e dialoga con un pubblico che modula assieme a lei la performance: qualcuno è chiamato a girarle una sigaretta, qualcun altro a rispondere alle sue impellenti domande. Di lei avvertiamo con immediatezza l’esigenza narrativa: la sua condizione di «spatriata», che l’ha portata dalla Romania in Italia, è preludio alla tragedia che si compirà. Essere Medea è il suo destino, racchiuso in quel furgone che le ha permesso di scappare, ora veicolo simbolico di chi è costretto a scendere a patti per vivere nel limbo, tra la salvezza e la condanna. Nella rappresentazione ad Albenga, però, al furgone che permetteva di agire l’opera in movimento (qui una recensione del 2017), per strada, si sostituisce uno spazio di accoglienza come il Centro Giovani, in Piazza Corridoni, fortemente connotato grazie alla propria polifunzionalità. 

Di migrazioni e maschere, vissute tuttavia in una dimensione più corporea, implicando il concetto di identità sessuale e di genere, parla Sarà solo la fine del mondo di Liv Ferracchiati, libro presentato da Graziano Graziani nel terrazzo di Ortofrutticola, spazio che offre la visione di un paesaggio il cui orizzonte è modulato dal verde dorato delle colline liguri. Qui è la storia di Guglielmo Leon a colpirci, giovane personaggio che nell’ abitare il proprio corpo sviluppa un sentimento di esule, di straniero. Il mancato riconoscimento identitario collide, per poi trovare un proprio superamento, con la scoperta del desiderio e la necessità di ritrovare nell’arte un luogo intimo, personale, dove poter essere finalmente sé stessi. È in quest’ottica che Terreni Creativi dimostra di voler lavorare, conducendo in parallelo sia una riscoperta del territorio e delle attività autoctone, sia un’indagine introspettiva in chi non appartiene a nessun luogo, a nessun corpo, a nessuna età, e che nella condizione di “migrante” può instaurare dei legami e creare una comunità. 

Un’esigenza che sembrano avvertire, seppur con diverse sfumature, la drammaturgia di Petyx e la regia di Cutino (che dirige anche L’ammazzatore) in Soda Caustica o del punto di vista. L’inizio è l’imprevisto. Stefania Blandeburgo è sul palco, non riesce a recitare e abbandona la scena; ora il pubblico rimane sgomento e l’atmosfera si vela di stizzita incomprensione. La farsa procede tramite il proprio smascheramento, Stefania litiga con il regista, si spoglia degli abiti attoriali e rimane in tuta, come metafora del mettersi a nudo. Da qui procede un’invettiva retroflessa di una donna rimasta sola con sé stessa, sconosciuta in un mondo in cui non si riconosce, in una performance con alte punte di sarcasmo, un fondo di amarezza e qualche lunga nota solipsistica. Diverso ma complementare è l’ambiente in cui veniamo proiettati con la performance Vocazione all’asimmetria, interpretata dal duo di artisti Francesca Foscarini e Andrea Costanzo Martini. Nella sala che suddivide a metà il pubblico per creare uno spazio focale, vengono esplorate le dinamiche dell’incontro con l’altro da sé attraverso l’utilizzo minimo della voce, del suono, della luce e dei corpi. Entrambi i performer partono da un assolo, definito nelle immagini dal disegno luci di Luca Serafini; ogni figura delimita il suo spazio nella ripetizione di gesti che alternano a scatti improvvisi movimenti più lenti, morbidi, di ri-conoscimento. Poi, nella danza Francesca cammina, corre, ci scruta, Andrea ora la segue ora la guida, ne assume il ritmo per posarsi su una delle due sedie lasciate libere in mezzo al pubblico e instaurare un legame visivo con chi è seduto accanto. Capiamo che non è più solo il volto (come enunciato dal filosofo Levinàs) a configurarsi come condizione di accesso al mistero dell’altro, ma lo sono anche il corpo e la tensione del movimento che spinge verso l’alterità, la memoria dei luoghi e l’immaginazione che creano un rimando con le alture circostanti su di un azzurro sfondo estivo, tra il sapore condiviso dei prodotti della terra e l’odore fruttato dei vigneti, lì dove l’incontro umano diviene sempre possibile.

Andrea Gardenghi

Foto di Luca Del Pia

 

Visto ad Albenga (SV) – agosto 2022

ideazione KRONOTEATRO direzione artistica e organizzativa Maurizio Sguotti organizzazione e relazioni esterne Tommaso Bianco organizzazione, logistica, tecnica e amministrazione Alex Nesti immagine di copertina e grafica Nicolò Puppo interventi scenografici Francesca Marsella ufficio stampa nazionale e cura Elena Lamberti documentazione fotografica Luca Del Pia logistica ospitalitá Lorenzo Romano responsabile social Filippo Tampieri squadra tecnica Amerigo Anfossi, Federico Merula, Luigi Smiraglia, Maria Virzì consulenza musicale Rock‘n’Roll robots e Riviera Gang Crew STAFF Francesca Giuliano, Viola Lo Gioco, Elena Buffa, Alberto Costa, Fabio Ricciardi, Fausto Fioriti, Giacomo Linguito, Emanuela Borra, Piercarlo Eandi, Edoardo Nesti, Valeria Callegaro, Simona Zuffo, Alessio Giuliano, Eleonora Grossi, Alice Rasetto, Alessandro Conserva, Andrea Conserva, Eleonora Ghezzi, Lorenzo Buschiazzo, Bubacarr Bah, Chiara Giallombardo, Eleonora Gallo, Sivia Miceli.

SODA CAUSTICA o del punto di vista. Crediti: testo Sabrina Petyx, con Stefania Blandeburgo, regia Giuseppe Cutino, assistente Francesca Picciurro, produzione Compagnia dell’Arpa in collaborazione con M’Arte

MEDEA per strada. Crediti: da Euripide, con Elena Cotugno, parole di Fabrizio Sinisi e Elena Cotugno, ideazione e regia Gianpiero Alighiero Borgia, prodotto da Teatro dei Borgia in coproduzione con CTB – Centro Teatrale Bresciano e Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia

VOCAZIONE ALL’ASIMMETRIA. Crediti: progetto e coreografia Francesca Foscarini, creato e interpretato da Francesca Foscarini e Andrea Costanzo Martini, disegno luci Luca Serafini, cura della tecnica Maria Virzì, musiche originali Andrea Cera, accompagnamento alla ricerca Chiara Bortoli

L’AMMAZZATORE. Crediti: di Rosario Palazzolo, regia Giuseppe Cutino, con Salvatore Nocera e Rosario Palazzolo, scena e costumi Daniela Cernigliaro, disegno luci Petra Trombini, aiuto regia Simona Sciarabba, una produzione AMA Factory in collaborazione con Teatrino Controverso, T22 e M’Arte Movimenti d’Arte

LA FABBRICA DEGLI STRONZI. Crediti: drammaturgia Maniaci d’Amore, con Tommaso Bianco, Francesco d’Amore, Luciana Maniaci e Maurizio Sguotti, regia Kronoteatro e Maniaci d’Amore, scene e costumi Francesca Marsella, disegno luci e responsabile tecnico Alex Nesti, produzione Kronoteatro, coproduzione Teatro Nazionale di Genova con il sostegno di PimOff Milano

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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