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Sanare ustioni. Teatro ed ecologia a Stromboli.

Anche quest’anno a Stromboli si è tenuta la Festa di Teatro Ecologico. In corrispondenza del centenario della nascita di Margherita Hack e dell’Ulisse di Joyce, il titolo dell’ottava edizione è stato “Corpi Celesti”. Tra la fine di giugno e l’inizio di luglio, varie performance disseminate tra uliveti e terrazze hanno indagato il fragile rapporto tra uomo e universo.

Foto di Selena Franceschi

«No, non si è mai vista una cosa simile». Stromboli sbuffa appena, annoiato: dal porto, la carne del vulcano appare scarificata su tutto il versante occidentale. Sparuti ciuffi di verde si raggrumano in rade coltri, immerse nel nero grafite; per il resto, il corpo della montagna è ustionato dal rogo dello scorso maggio, forse colposo. Se così fosse, l’uomo avrebbe distrutto un ecosistema pure esposto da millenni all’azione di fuoco e lapilli, di un’aria che in estate brucia, come un incendio rarefatto, la pelle.

Adesso è la pelle di Stromboli a necessitare attenzioni. Le “attività di cura dell’isola” iniziano intorno alle nove del mattino, sotto i primi raggi di un sole impietoso. Quasi ogni giorno, tra gli ultimi momenti di giugno e i primi di luglio, lo staff della Festa di Teatro Ecologico si impegna in una minuziosa raccolta dei rifiuti disseminati lungo la spiaggia di Scari, coinvolgendo associazioni locali e cittadinanza. Come gli altri e le altre artiste e organizzatrici, anche Maria Vittoria Argenti e Maurizio Rippa stringono tra i guanti in lattice il lembo di un sacco colmo di plastica e lattine: «Nei lidi dove ci sono i chioschi qualcuno si occupa della pulizia, ma oltre gli stabilimenti balneari…». Oltre gli stabilimenti balneari la terra non è proprietà privata: ciò vale a dire, secondo una mentalità troppo diffusa da queste parti, che è terra di nessuno. Che nessuno – o quasi nessuno, a quanto pare – ne è responsabile.

Foto di Selena Franceschi

Di notte, la spiaggia di Scari è pronta ad accogliere qualcosa. Nel nero del cielo, della sabbia lavica e del mare si cammina a lungo, prima di giungere all’arrivo: alcuni lumi che, alle pendici di un’altura, delineano lo spazio scenico di Duet for JJ. Maurizio Capone entra nel cerchio luminoso stropicciando una coperta isotermica: mentre gli spicchi della coltre scintillano rumorosi, il canto di Capone racconta un non-tempo arcaico ma sospeso, attraversato da perenni e tacite migrazioni. La ripetitività della melodia e l’uso di strumenti musicali rudimentali (pietre, oggetti rinvenuti sulla spiaggia) rimandano alla circolarità di un rito spoglio. Come una sacerdotessa che in parte rifiuta la propria investitura, Cristina Donadio, vestita di luci, concede una voce ai dubbi di Joyce sul vuoto chiamato universo: questo intanto si apre in alto, tra le stelle e il buio in cui l’isola scompare dopo il tramonto. Il testo, di Raffaele di Florio, scinde le pagine “astronomiche” dell’Ulisse di Joyce in due anime. All’italiano spetta l’indagine, l’esposizione del fatto astronomico. Nel napoletano Donadio infonde lo sgomento rinnovato dalla contemplazione dell’assoluto, esorcizzato in una preghiera stanca – rivolta a quale dio? In una sorta di giaculatoria, l’interprete ripete con ostinazione lo stesso verso; mentre cammina sulla sabbia, il flusso di coscienza diviene parola condivisa. Se la voce, piena e ruvida, è sicura delle suggestioni che è in grado di suscitare, il passo, a volte, è inevitabilmente incerto. Sulla rena si vacilla, fragili e precari.

Foto di Selena Franceschi

La povertà dell’apparato scenografico di Duet for JJ risponde all’idea di ecosostenibilità promossa della Festa. Private di luci elettriche e di ogni ingombrante apparato, le performance dialogano senza filtri con l’ambiente circostante, immerse nel suo mutevole aspetto. In questa rimozione dell’eccesso, che forse denuncia la cifra di tanto abituale superfluo, viene risparmiato tuttavia il nucleo essenziale: il rito. In esso, il mito recupera uno spazio cultuale imprevisto e decisivo. Tra l’uliveto della contrada Piscità e la chiesa di San Bartolo, anche Laura Mazzi è una sacerdotessa dell’universo, accompagnata dal coro di adepti del Fabrica Ensemble Quartet. I Fenomeni di Arato di Soli, nella limpida traduzione di Francesca Caprioli, sono qui privi della loro cortigiana ampollosità per distendersi, nella voce e nel gesto dell’interprete, piani e brillanti. Le musiche originali e gli arrangiamenti di Gianluca Misiti sembrano racchiudere le sonorità di uno spirito religioso universale. Ne risulta una vera e propria liturgia, animata dall’evidenza dell’esposizione cosmologica. La parola descrive universi, delinea planetari immaginifici nei quali i corpi celesti (questo il titolo dell’ottava edizione della Festa) si muovono vitali, come fossero umani, nella mente di chi ascolta. Intorno è la natura, specchio tangibile di un ordine superiore.

Foto di Selena Franceschi

Nello sguardo di Mazzi è la sicura meraviglia di fronte all’assoluto, che talvolta cede il passo a brevi attimi di sconforto. Tutto un gioco è invece la Piccola Cosmogonia Portatile di Queneau interpretata da Gemma Hanson Carbone, accompagnata dal canto e dalla chitarra di Raffaella Misiti e Annalisa Baldi. Un pastiche ben architettato, sospeso tra Borges e futurismo, è questo poemetto che il fisico Ettore Perozzi commenta sul momento, contrappuntando con la scienza lo stupito entusiasmo dell’attrice e delle sue braccia lanciate al cielo. Disturbante l’elogio della tecnologia che ancora nel 1950 l’autore si sentiva di avanzare. Ma fortunatamente, osserva Carbone durante un incontro collettivo al bar Ingrid, di una cosa la Cosmogonia è ben consapevole: l’uomo è l’unico essere capace di curare l’altro, e in questo nessuna macchina potrà mai sostituirlo. Nel suo piccolo, nemmeno troppo piccolo universo, la Festa di Teatro Ecologico mostra la possibile via di un nuovo umanesimo della tutela: una dimensione nella quale la parola responsabilità possa intendersi non più come colpa, ma come, appunto, consapevole cura. Intanto sulla terrazza del bar Ingrid, dove ogni mattina si organizzano Chiacchiere sugli spettacoli visti il giorno prima, il caldo è opprimente, ma il panorama distende lo sguardo e l’anima su un mare placido, indifferente al male che gli viene perpetrato.

Tiziana Bonsignore

Viste a Stromboli – giugno 2022

DUET FOR JJ. A j.j. PER I 100 ANNI DEL SUO ULISSE
Di Raffaele di Florio
Con Cristina Donadio e Maurizio Capone

FENOMENI, IL POEMA DI ARATO OVVERO DE-SIDERA E DIS-ASTRA
Con Laura Mazzi e il Fabrica Ensemble Quartet
Musiche originali di Gianluca Misiti
A cura di Francesca Caprioli

PICCOLA COSMOGONIA PORTATILE
Con Gemma Hanson Carbone, Raffaella Misiti (voce), Annalisa Baldi (chitarra), e Ettore Perozzi (commento)

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