Quest’anno alla Fortezza di Volterra si è conclusa la parabola di Naturae, nel pieno dei progetti per l’istituzione di un teatro stabile all’interno delle carceri. La Compagnia della Fortezza, diretta da Armando Punzo, si è esibita nel IV e ultimo quadro del percorso: La valle della Permanenza
Volterra è un pugno di pietre e rocce, circondato da lievi declivi distesi lungo l’orizzonte. Un paesaggio verde, dolcemente uniforme, ingenuo come le vedute del primo Rinascimento. La Fortezza medicea si trova al temine di un percorso ripido, la cui salita custodisce una suggestione quasi devozionale. All’arrivo, all’entrata delle carceri, tra i pellegrini c’è chi effettua il computo delle annate: chi viene da trent’anni, chi da dieci, chi adesso è qui per la prima volta. Sguardi nostalgici accarezzano con affetto la facciata, come si trovassero davanti alla fine di qualcosa. In parte è così. Con Naturae – La valle della permanenza, la Compagnia della Fortezza ha consumato la transizione avviata otto anni fa con il ripensamento di Shakespeare e l’approdo a Borges. Ai personaggi umani, troppo umani, del primo, si sono definitivamente sostituiti gli abitanti di una geografia immaginaria, lontana dai confini effettivi della casa circondariale.
Intanto qui, nella corte del carcere, il bagliore del primo pomeriggio è abbacinante. Osservare la scena di Alessandro Marzetti, candida, attraversata da un reticolato geometrico, è una fitta alle orbite: riflettendosi sulle sue pareti bianche, la luce colpisce impietosa i nostri occhi. Siamo dentro la fortezza e dentro un’astrazione, in un modello cartesiano le cui coordinate potrebbero ridurre a sistema l’intero universo. Tuttavia, occupato da solidi primari e gabbie alla Sol Lewitt, lo spazio scenico è l’occasione nella quale si prepara quella imprevedibile, umanissima possibilità che è la rinascita. Unico sollievo per i mortali; a dio, all’assoluto, è negata la facoltà della prima volta. E un fiorire di prime volte sono i drammi che, minimi, progressivamente riempiono lo spazio, articolandosi in simultanee processioni. Gli attori, vere e proprie parvenze, si manifestano davanti agli osservatori per incanto: non dialogano, non proferiscono parola, si trascinano con misurata lentezza da mondi dei quali conservano l’impressione. Giganteggiano statuari, sospesi come l’Orlando di Sanguineti e Ronconi, ma a sua differenza avanzano silenziosi in un labirinto di idee.
Come nella biblioteca di Babele, dove è accolto tutto il narrabile mai concepito, in Naturae i protagonisti, vestiti da Emanuela Dall’aglio, indossano di tutto: corazze elleniche, abiti elisabettiani, kimono pregni della ferma gravità del Noh. Passeggiano in una città calviniana, tempestata dalle esplosioni cromatiche di Pollock – ma la tavolozza, minimale, è stata scelta da Mondrian. Il pigmento invade ogni cosa, abito o volto; come un colorato accidente si oppone alla regolarità del tracciato, trasfigurandolo in visione viva e prismatica. L’azione è un organismo pulsante di dettagli: le musiche di Andreino Salvadori ne sono ossigeno, respiro unitario e diffuso. Qui alcuni uomini in giacca, rossi e bianchi, portano in corteo la testa del coniglio di Carroll. Lì un minotauro avanza circospetto, dopo aver preferito a Cnosso la residenza in una spettacolare utopia. Sono tutti emblemi, metafore di una referenza acquattata nello stupore di chi osserva. Davanti ai nostri occhi è l’eterotropica allegoria di un altrove, un dedalo di corrispondenze, un gioco letterario dove la citazione consente ancora l’esercizio della meraviglia. Del mondo del carcere, i corpi degli interpreti mantengono soltanto quanto sta loro addosso. Rughe, colore della pelle al di là del trucco colato, sudore che stilla in rivoli dalla fronte. Souvenirs epidermici di un’umanità bruciante e persistente.
Permanenza è resistere alla rimozione del concreto, splendere attraverso la fenditura del reale. Intraprendere un viaggio che avviene nell’Uomo, nelle parti più recondite, più inesplorate, più lontane. Permanenza è esistenza in transito, attraversamento di labirinti il cui centro è nel sé e nella sua rigenerazione. Una prima persona fuori campo fornisce una didascalia, una chiave di lettura ai gesti della presenze che accarezzano la scena: ma è soprattutto Armando Punzo a regolare, come un direttore d’orchestra, i movimenti del concerto. La sua iniziativa suscita moti, istruisce riti battesimali e funerari, coordina la danza dei personaggi. Crea nuove realtà, districa trame, disegna un quadro che nessuno potrebbe disegnare allo stesso modo, mentre sorride della beata eternità dell’essere, della letizia circolare di Siddharta. Incarna una figura poetica, nel senso di poietica: l’individuo che ricrea l’universo con le macerie salvate dalla propria immaginazione. Sul rapporto che distingue e unisce estetica ed etica – rapporto spesso difficilissimo – Punzo cerca di mantenere un equilibrio funambolico: la sua è un’operazione estetica, e in questa vuole porre lo statuto etico, il posto dell’uomo. Nella Permanenza si svolge la ricerca di un ideale artistico assoluto, della bellezza che salverà il mondo, della bellezza che deve essere raggiunta a qualsiasi costo. Una fuga nel bello, dove la persona possa appartenere a un più ampio orizzonte culturale.
Un’immagine di indescrivibile effetto è quella che colpisce l’occhio dello spettatore. Indescrivibile perché sfuggente: inondata da un bagno di luce, essa si nega con ostinazione alla vista dei presenti. Nel nitore la visione si riduce talvolta a sagoma scura, appena percepibile al di là dell’eclissi delle palpebre socchiuse, in quel punto in cui l’ombra si ricongiunge col sole. Qualcuno ha detto che la bellezza è rimozione del difficile: eppure qui è così doloroso contemplarla. C’è solo questo spazio, c’è solo questo tempo, spazio delle infinite possibilità. Oltre il limite imposto, oltre la coercizione, l’uomo possiede la facoltà di rappresentare e rappresentarsi un molteplice immaginifico, perdendosi nella forza evocativa dei suoi simboli ma accettando di ridursi a simbolo egli stesso. In questa Valle, il mantenimento della libertà è uno squarcio favoloso, un affresco rovente, una rapsodia onirica che ricuce l’immaginario collettivo mentre un ferita brucia silenziosa sotto il sole. Non rimane cenere, ma un’immagine, appunto; forse malinconica e un po’ decadente, eppure ornata di tutta l’esemplarità dell’eterno.
Tiziana Bonsignore
Visto a Volterra – luglio 2022
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NATURAE la valle della permanenza
direzione artistica Armando Punzo
cura e direzione organizzativa Cinzia De Felice
regia e drammaturgia Armando Punzo
musiche originali e sound design Andreino Salvadori
scene Alessandro Marzetti
costumi Emanuela Dall’aglio
movimenti Pascale Piscina
aiuto regia Laura Cleri
assistente alla regia Alice Toccacieli
aiuto scenografo Yuri Punzo
collaborazione alle scenografie Luca Dal Pozzo, Marian Iosif Petru, Domenico Prospero, Luisa Raimondi
assistenti ai costumi Tarek Omezzine, Romeo Bogdan Erdei, Pasquale Concas, Marta Panciera, Francesca Mandalà, Sara Fazio, Irene D’alò, Serena Dibiase
collaborazione drammaturgica Alice Toccacieli, Francesca Tisano, Fabio Valentino, Paul Cocian
collaborazione artistica Elisa Betti, Rossella Menna, Elena Turchi
in scena Abd Al Monssif Abd Arahma, Ciro Afeltra, Arduini Alessandro, Saverio Barbera, Nicola Maria Giuseppe Bella, Francesco Bellinghieri, Amaell Ben Nour, Nikholas Ssis Braz Berardi, Paolo Brucci, Valentin Bucur, Angelo Busacca, Francesco Cavallaro, Daniel Chukwuka, Paul Andrei Cocian, Pasquale Concas, Giovanni Cubito, Cuka Ismet, Lucio Di Iorio, Fabrizio Dipasquale, Armando Di Puoti, Romeo Bogdan Erdei, Fallica Salvatore, Salvatore Farina, Giovanni Fontana, Federico Furlan, Salvatore Giordano, Francesco Guardo, Rezeg Hamadi, Antonio Iazzetta, Naser Kermeni, Nik Kodra, Urim Laci, Patrik Lacomare, Antonio Lanzano, Li Jin Jie, Giuseppe Licata, Alessandro Lorena, Vito Maenza, Emanuele Matarazzo, Luca Matarazzo, Amin Montassir, Antonio Nastro, Arjon Nezhai, Tarek Omezzine, Marian Iosif Petru, Fernando Poruthotage, Fabio Prete, Domenico Prospero, Massimiliano Quartarone, Arian Quku,Elio Rotnodale, Marco Ruggieri, Ivan Savic, Saimir Serjani, Marian Jan Stamate, Salvatore Stendardo, Timon Tarantino, Dritan Ternova, Fabio Valentino, Alessandro Ventriglia, Stefano Vezzani Zou Zhi Peng.Elisa Betti, Francesca Tisano, Isabella Brogi, Armando Punzo, Andreino Salvadori
direzione organizzativa Cinzia De Felice