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Gli Uccelli, minaccia di un presente distopico

Al Teatro India di Roma la prima nazionale de Gli Uccelli, dal racconto di Daphne du Maurier, nuovo lavoro della compagnia Lacasadargilla. Lo spettacolo ha debuttato durante la rassegna IF / Invasioni dal Futuro_New Era*2022, progetto multidisciplinare dedicato alla fantascienza vincitore dell’Avviso Pubblico Estate Romana 2020-2021-2022. Recensione.

Foto Sveva Bellucci

Cosa siamo se non animali dotati del senso della fine? Piantati per terra, colmi dei nostri bisogni, impegnati a impegnarci per allontanare l’epilogo. Mai come oggi il sentimento della fine pesa sui nostri giorni, consapevoli come ormai siamo di partecipare alla sua accelerazione. Allora partiamo, partiamo per altri lidi, per altri mondi, verso nuovi universi; con quella stessa capacità di sentire la fine, sentiamo l’altrove, l’ulteriore. È l’immaginazione a fornirci la possibilità, tutta verbale, di un finale sovvertito, di un domani. Su questi territori di possibilità da sondare, la compagnia lacasadargilla edifica, dal 2014,  IF/Invasioni dal futuro. La nona edizione si colora di una targa che auspica una nuova era, proprio mentre i segnali di una disgregazione imminente si fanno più intensi nell’agosto rovente romano. All’interno di una programmazione che spazia tra i linguaggi del futuro e la grammatica di un passato da rileggere, ha debuttato in prima nazionale Gli uccelli, spettacolo sci-fi.

Foto Sveva Bellucci

Una dolce calma apparente, quella che prelude al disastro, quella che sorregge l’attesa dell’inatteso. Le corde elettriche di una chitarra la disegnano, dai bordi di una scena su cui lentamente approda uno stormo di attori e attrici. Uccelli umani, piumati portatori di una minaccia imprevedibile e inevitabile, con la calma perfida degli animali, con lo sguardo cinico degli umani. Uccelli d’ogni specie, concentrati tutti in quel cielo, decisi a non dare tregua alla razza che non conosce volo, che con la ragione s’illude di domare la forza irrazionale della natura. Il racconto che ispirò l’omonimo classico cinematografico di Alfred Hitchcock è qui disseminato nelle parole di tre uccelli senzienti: Fortunato Leccese, Tania Garribba e Camilla Semino Favro, placidamente sintonici, le voci impastate a finire il pensiero dell’altro, sono coscienza collettiva dello stormo che guarda con pietà e divertimento l’affannoso sforzo degli umani di reagire, organizzare un riparo, ma soprattutto capire. Il più inutile dei tentativi.

Il lavoro di adattamento di Roberto Scarpetti sul racconto di Daphne du Maurier traduce la letteratura in partitura teatrale nella forma del melologo: arpionata ad un leggio che non limita ma inspessisce la densità della drammaturgia, l’interpretazione degli attori e delle attrici si concentra nello spazio ristretto dello sguardo e nelle coloriture della vocalità, in piccoli gesti che riverberano la speculare fissità dei due avversari. La serafica perfidia degli uccelli da un lato, l’inerme, tenero sconcerto delle vittime umane dall’altro. Mentre l’orizzonte annuncia un inverno nero, Nat (Lorenzo Frediani, i tratti severi e gli occhi pieni che oltrepassano il leggio) e sua moglie Beth (Anna Mallamaci, voce e presenza limpida) guardano in su da terra, atterriti, assistono all’ascesa dell’inquietudine, nella vigile attesa incredula. La minaccia che già poteva respirarsi nel soffio inusuale del vento si fa man mano più concreta e vicina, a dispetto di chi non vuol curarsene, come il vicino Jim Trigg, il primo a minimizzare, il primo a soccombere: Stefano Scialanga gioca sulle proprie corde vocali il cliché spavaldo del negazionista senza tempo, fino a diventare l’eco dell’etere che annuncia un silenzio governativo devastante.

Foto Sveva Bellucci

Sul fondo, i contorni in video proiezione di un grigio alato completano quell’aria rarefatta e irrequieta già evocata dagli interventi dal vivo di Fabio Perciballi (chitarra elettrica) e Alessandro Ferroni (elettronica). Sono questi suoni a connettere le cupe atmosfere distopiche degli anni Cinquanta (sulle quali pesava il freddo dell’atomica latente) con un passato non ancora concluso, quello pandemico, e il presente in cui viviamo, assediati dalle minacce di una precarietà ecologica, economica e sociale sempre più ingombrante. Senza superflui ammiccamenti, la cura registica di Lisa Ferlazzo Natoli e di Alessandro Ferroni lascia emergere dalle trame del racconto fantascientifico l’inquietudine di una perfetta simmetria col presente: il sogno distopico è interrotto dai colpi tonanti e sordi del nostro tempo, che bussa alla porta per chiederci il conto.

Sabrina Fasanella

Teatro India, Roma – Agosto 2022
GLI UCCELLI

dal racconto di Daphne Du Maurier
adattamento Roberto Scarpetti
a cura di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni
con Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Stefano Scialanga, Camilla Semino Favro
drammaturgia musicale Alessandro Ferroni, Fabio Perciballi
brani di Erik Satie con Alessandro Ferroni elettronica Fabio Perciballi chitarra elettrica
disegno video Maddalena Parise
costumi Camilla Carè
luci Omar Scala
aiuto regia Caterina Dazzi, Flavio Murialdi
tecnico del suono Pasquale Citera
tecnico video Tiago Branchini

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