HomeArticoliFranco Arminio/Tindaro Granata: creature nell'urgenza, tra luoghi e memorie

Franco Arminio/Tindaro Granata: creature nell’urgenza, tra luoghi e memorie

Recensione. Poetica è l’ultimo lavoro scritto e diretto da Tindaro Granata insieme alla compagnia Proxima Res a partire dal corpus di poesie del paesologo Franco Arminio e presentato in anteprima a Pergine Festival

Foto di Giulia Lenzi

Come è solito nella storia teatrale del nostro paese i festival estivi, quelli più importanti e che si sono imposti all’attenzione nazionale, e internazionale anche, sono nati in provincia. Nei luoghi decentrati, fuori dalla forza centripeta metropolitana, a contatto con lo spazio naturale, in cittadine con pochi abitanti, con il tempo che scorre diversamente, la tranquillità e la prossimità delle relazioni. Sarebbe lunga la lista di quelli che raggiungiamo ogni estate, tramite treni e pullman o direttamente in macchina. E, da sempre, il viaggio per raggiungerli è parte della volontà di trovarvi una fruizione altra da quella ordinaria della stagione teatrale; avere la possibilità di conoscere artisti non “di giro”, di entrare in contatto con tendenze artistiche internazionali e anche godere, se si viene dalla città, di un tenore di vita diverso. Anzi, ci si sposta forse proprio e sopratutto per questa qualità esperienziale.

Foto di Giulia Lenzi

Pergine Spettacolo Aperto nasce nel 1976 proprio come «prima realtà culturale a inventare un palcoscenico estivo in Trentino» precisamente nella provincia autonoma di Trento, nella vasta conca ai piedi del colle Tegazzo e nel fondovalle del torrente Fersina. Il festival nasce dal basso, voluto dagli stessi abitanti del comune, con l’obiettivo di creare un programma di spettacoli che facesse da cornice alla partita di Dama vivente in costume, manifestazione tradizionale allestita nella piazza municipale di Pergine; successivamente, negli anni Ottanta, diventando associazione guidata dal primo direttore del festival Marco Bernardi, si afferma come rassegna multidisciplinare e poi negli anni Novanta come festival-laboratorio. «La formula è semplice e originale allo stesso tempo. Da una parte giovani selezionati tramite audizioni, che si trovano nel momento di passaggio fra il percorso accademico e il mestiere artistico; dall’altra professionisti del mondo dello spettacolo in veste di insegnanti, per una formazione che va oltre l’aspetto puramente tecnico e interessa la consapevolezza della costruzione di uno spettacolo». Nel 2007, Cristina Pietrantonio decide di ripartire nuovamente dal territorio scegliendo di rendere funzionali gli spazi dell’ex ospedale psichiatrico (chiuso soltanto il 29 ottobre 2002) «per rendere viva la memoria di questo luogo e far sì che il passato riemerga e interagisca con il presente […] con la proposta di spettacoli multidisciplinari connessi ai temi della devianza, del disagio, della marginalità e più ampiamente caratterizzati da una creatività dai confini indefinibili». Tramite proprio questo passaggio culturale, e sociale innanzitutto, che il festival si configura ad oggi, con la direzione di Carla Esperanza Tomassini, come un luogo, in provincia, in cui poter conoscere la nuova scena europea e incontrare artisti che proprio a Pergine Festival hanno la possibilità di essere supportati nella creazione e produzione attraverso il Bando Open///Creazione Contemporanea.

Foto di Giulia Lenzi

«Poetica è una mappa “umanografica” dei paesi italiani, un viaggio alla scoperta di luoghi che conservano la memoria della gente che li ha abitati». Così l’ultimo spettacolo della compagnia Proxima Res con la drammaturgia e regia di Tindaro Granata trova nella presentazione in anteprima al Teatro Don Bosco di Pergine l’accoglienza di una cornice festivaliera che rispetta e protegge i luoghi, le storie che li abitano e determinano, tra passato e presente che è presenza ma anche abbandono. La base drammaturgica sulla quale hanno lavorato congiuntamente il regista insieme agli attori e attrici Caterina Carpio, Mariangela Granelli, Emiliano Masala, Francesca Porrini è quella del corpus di poesie di Franco Arminio, alcune delle quali donate dal poeta stesso alla compagnia. Poetica sono le malelingue del paese, la vista del panorama quando si arriva a casa per Natale, il parentame seduto a tavola, l’unico forno che sforna lo stesso pane da sempre, il rito del vespro e il terzo grado del ritorno, le abitudini che si vorrebbero lasciare… Poetica è però anche il trauma, quello dell’abbandono, del lutto, dello scontro, della difficoltà di amare.

Foto di Giulia Lenzi

Come raccontato in un’intervista precedente, durante il processo creativo la compagnia ha costruito «cinque quadri i quali singolarmente sono dedicati all’abbandono che ognuno/a di noi ha vissuto e che è rimasto impresso nella memoria. In questi, sono state racchiuse tutte le poesie di Arminio che hanno a che fare con i temi trattati da ciascun quadro. Così si è delineata questa geografia umana». Il palco, illuminato da una luce arancione e calda, è occupato rispettivamente da cinque stendini di legno, correlativi oggettivi della presenza umana, oggetto casalingo che per ciascuna persona/personaggio ricopre una funzione diversa relativa al ricordo: «qui l’evento più straordinario capitato negli ultimi anni è una molletta caduta da un balcone». Gli stendini e le sedie sono dispositivi che sollecitano la narrazione, ognuno di questi è infatti maneggiato affinché possa essere inserito in un racconto e tempo preciso: lo stendino diventa tavola del cenone di Natale in cui Tindaro Granata, inveendo contro la famiglia, dichiara di non voler rimanere lì a tagliare la legna, a coltivare i campi; è anche altare su cui la zia di Francesca Porrini prega relegata a una vita che forse avrebbe voluto diversa ma che poi, alla fine, è andata bene così; lo stendino è il balcone dal quale si affacciano le sorelle zitelle amiche della famiglia di Mariangela Granelli, quelle che hanno vestito con cappotti eleganti la loro solitudine; oppure diventa il letto sul quale è poggiata la valigia con la quale la nonna di Caterina Carpio se ne è andata tenendo per mano il figlio perché stanca di stare al fianco di un uomo che non voleva; e alla fine torna ad essere “solo” uno stendino sul quale Emiliano Masala appende ad asciugare le foto stampate in camera oscura dal padre, troppo fragile per amare.

Foto di Giulia Lenzi

«Siamo creature nell’urgenza». La persona è il personaggio attraverso il o la quale sceglie di raccontare la sua storia di perdita, che rischia di andare perduta, e quindi attraverso un’azione di memoria intima che si fa collettiva la restituisce al presente. Gli attori e le attrici incarnano i personaggi dei propri racconti e nel realismo di uno spaccato di vita tanto privato quanto comune riescono con onesta qualità a collocare le singole tematiche sul piano dell’universalità. Scritture diverse accompagnate da altrettante diverse interpretazioni, ognuna particolare e specifica, non uniformata e in grado tuttavia di comporre un’unica narrazione corale. I personaggi diventano paesaggi per i quali la parola poetica di Arminio incontra quella drammaturgica unendosi in equilibrio, senza che l’una sovrasti l’altra, anzi, creando una sintesi che possiede talmente una sua precipua autonomia tale da essere auspicabile di pubblicazione, tanto sono fusi insieme, con solerzia, i due linguaggi.

La paesologia, che contraddistingue la cifra stilistica del paesologo Arminio come “cura” verso i paesi a rischio di spopolamento, è anche un atteggiamento, la postura intellettuale e morale di coloro i/le quali si prefiggono la salvaguardia dei luoghi di memoria, siano essi spazi fisici o spazi del ricordo. «Vorrei quindi che Poetica raccontasse questo mondo di prima perché ora siamo proiettati in avanti ma non sappiamo da dove partiamo» affermava Tindaro Granata durante il nostro confronto. E nel finale, nell’ombra proiettata sulla parete dello stendino coi fazzoletti stesi e mossi dal vento, concepiamo la poesia come soffio di futuro, concreto e tangibile movimento di proiezione e tensione, l’invito a non lasciare andare a «non limitarti a galleggiare, scendi verso il fondo anche a rischio di annegare».

Lucia Medri

POETICA

Poesia di Franco Arminio
Testi e regia di Tindaro Granata
Elaborazione drammaturgica Proxima Res
Con Caterina Carpio, Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Emiliano Masala, Francesca Porrini
Scene e costumi Margherita Baldoni
Disegno Luci Stefano Cane
Assistente alla regia Federica Dominoni
Produzione Proxima Res

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

BIG X. A Bari la decolonizzazione del contemporaneo

Tra il 31 ottobre e il 30 novembre scorsi la città di Bari ha ospitato in vari spazi gli eventi in cartellone al Bari...

 | Cordelia | dicembre 2024