Recensione. Dopo il debutto a Colpi di scena di Forlì lo scorso inverno, a Narni Città Teatro 2022 ecco Il Nero di Occhisulmondo, lettura dell’Otello shakespeariano diretta da Massimiliano Burini in cui rintracciare le tematiche dell’odio, della paura legate agli attacchi terroristici avvenuti in Europa.
Accade, non di rado, agli artisti di teatro quella forma di alterità attraverso la quale si osserva il mondo circostante, gli accadimenti del proprio contesto sociale a largo o stretto raggio, e vi si scorge dentro con limpidezza l’ossatura di un classico assorbito sotto pelle, le parole di un grande autore del passato che d’improvviso tornano attuali, come filtro per non solo osservare, ma capire il presente. E il teatro, qualunque uso se ne faccia, resta la forma d’arte che più di tutte è in grado di offrire questa pluralità di lettura, per il semplice fatto che, per sua natura, accade qui, ora, ma si porta in grembo idee, pensieri, gesti e partiture di molti altri mondi di là da questo. E deve aver avuto un’apparizione simile Massimiliano Burini – assieme a Giusy De Santis e Matteo Fiorucci che hanno fornito opera di dramaturg – quando, tra le ricerche e le testimonianze raccolte attorno agli attentati terroristici avvenuti in Europa negli ultimi anni, ha scorto i segni dell’Otello di Shakespeare, così da firmare per Occhisulmondo questo secondo capitolo della trilogia shakespeariana, Il Nero, in scena per Narni Città Teatro 2022 al Teatro Manini.
Dal basso verso l’alto s’innalza un enorme rettangolo verticale che raggiunge uno spazio invisibile fuori dalla scena, si perde dunque, là dove l’occhio non può arrivare; la superficie è dipinta di un nero graffiato e si impone su una scena invece spoglia di ulteriori elementi. Fin dall’inizio le voci off pervadono lo spazio, voci di paura, che tentano di razionalizzare ciò che l’emotività ha inevitabilmente confuso: i riferimenti all’odio, la paura di ciò che è straniero, diverso, pone subito in chiaro l’intenzione con cui si scaverà in quel nero del titolo. È in quel momento che le presenze sinistre degli attori prendono via via il palco, a partire da un’ombra che solca la scena trasversalmente, ha delle scarpe enormi e lentamente taglia a metà lo spazio; la tensione si fa palpabile, solo allora le parole dell’Otello iniziano a delineare i personaggi, la vicenda inizia a farsi nota, ma è ben chiaro che non sarà una chiave di lettura classica quella che si va sviluppando.
La regia di Burini è volta infatti a far apparire gli stimoli emersi dalla raccolta testimoniale, la ricerca del senso di quanto accaduto, in un meccanismo rodato come il testo shakespeariano. Per farlo si avvale di una scena essenziale e anche ognuno degli attori – Daniele Aureli, Amedeo Carlo Capitanelli, Chiara Mancini, Raffaele Ottolenghi, Matteo Svolacchia, Giulia Zeetti – è dotato di una maschera (realizzate da Mariella Carbone), per evitare che si aggiunga intensità emotiva allo sviluppo della drammaturgia, quindi per rendere essenziale anche la recitazione fino al grado zero, eliminare i volti, le espressioni, ma paradossalmente proprio riproducendo le maschere da foto degli attori in stato di quiete; in questo modo la fisionomia è riconoscibile ma allo stesso tempo produce la sensazione di estraneità, proprio come sono percepite prive di identità, eppure ricche di una identità ineliminabile, le vittime degli attentati.
Questa intenzione sembra la più fedele per esprimere l’intuizione in cui nasce lo spettacolo ma, allo stesso tempo, ne è anche il limite: in seno alla necessità di ambivalenza occorre un grande coraggio nel porre in risalto le tematiche trasversali scelte per leggere l’Otello, un arricchimento nella ricerca di aderenza sentimentale con la vicenda altra che si cerca di rintracciarvi dentro; in contrario, proprio perché l’Otello è una vicenda già di per sé densa di passioni accecanti, rischia di sovrastare la pur nobile scelta di vedervi quel seme di odio su più larga scala, come se l’Otello, con tutte le sue intermittenze intrecciate – dal fazzoletto di Desdemona all’invidia di Jago, dal potere in cui si sgretola il regno alla gelosia del Moro – fosse troppo grande e ingabbiasse altri spunti. È in questo limite, in questa difficile organicità rispetto all’assorbimento in una unità drammaturgica efficace, anche il valore dello spettacolo ed è lì che avrà la propria luce se saprà rischiare maggiormente nell’esporre quelle testimonianze oltre l’Otello e, con esse, trascinarlo fuori senza cercare di imporle all’interno di una storia dai meccanismi troppo radicati per dare spazio ad altro.
Simone Nebbia
Teatro Manini, Narni Città Teatro – Giugno 2022
IL NERO
da Otello di William Shakespeare
traduzione e adattamento drammaturgico Massimiliano Burini e Giuseppe Albert Montalto
dramaturg Giusy De Santis e Matteo Fiorucci
con Daniele Aureli, Amedeo Carlo Capitanelli, Chiara Mancini, Raffaele Ottolenghi, Matteo Svolacchia, Giulia Zeetti
maschere Mariella Carbone
scena e costumi Francesco Skizzo Marchetti
disegno luci Gianni Staropoli
sartoria Daniela Temperini
producer Elena Marinelli
regia Massimiliano Burini
Produzione Caracò, Occhisulmondo, Centro di produzione FontemaggioreCon il sostegno di Istituto Italiano di Cultura di Parigi, Theatre de la Ville Parigi Festival Chantier d’Europe, La Corte Ospitale – Rubiera, Teatro delle Briciole – Parma, C.U.R.A. Centro Umbro di Residenze Artistiche, Trebisonda, Centrodanza, Corsia Of, The Foundation of the Positive Changes (Polonia) e del programma europeo Erasmus+