Recensione dello spettacolo di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, al debutto assoluto con Hybris al Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Per chi abbia frequentato studi classici, il peccato di hybris figura nelle conoscenze della Grecia antica come un atto di insubordinazione che gli uomini compiono rispetto agli Dei, per dirla meglio, si tratta di una deificazione di sé stesso che l’essere umano compie perché animato dalla percezione muscolare della propria potenza, di ciò che sa e può fare, dunque si sopravvaluta e divinizza il proprio operato. In quella dimensione politeista la relazione tra l’uomo e la divinità era già concepita dunque secondo uno schema umanocentrico, che vedeva gli dei riuniti in una sorta di famiglia allargata i cui legami interni definivano gli eventi mondani; non muta, la concezione, con l’avvento del monoteismo, soltanto si raffina attraverso un’idea di Dio immanente, quindi forse si radicalizza la relazione uomo-Dio e più ancora quella hybris si manifesta come dissidio interiore, tradimento dell’atto di coscienza, identità stessa del peccato. E tuttavia, in una modernità che ha forse ridotto ai minimi storici la presenza di Dio nella vita dell’essere umano, chi è oggi Dio se non l’Io? Dall’umanizzazione del divino il passaggio finale è la definitiva divinizzazione dell’umano, quindi l’amplificazione del peccato di hybris al massimo livello, fino a raggiungere il paradosso in cui è proprio l’essere umano, nel rapporto con gli altri, a peccare di superbia verso sé stesso. Mormorando questi pensieri si esce dalla sala del Festival dei Due Mondi di Spoleto in cui Flavia Mastrella e Antonio Rezza hanno presentato, in prima assoluta, il nuovo lavoro dall’omonimo titolo: Hybris.
Come sempre, fin dagli inizi della compagnia premiata con il Leone d’Oro 2018 alla carriera dalla Biennale di Venezia, Antonio Rezza abita la scena che Flavia Mastrella concepisce, fatta un tempo di soli tessuti, poi pian piano arricchita dalla sperimentazione di altri materiali come spunto espressivo e habitat dell’attore (e, dunque, della sua parola “mai scritta”, come suggerisce ogni volta il credito dei loro lavori). Da qualche anno, tuttavia, la rifrazione monodirezionale tra attore-performer e ambiente si è fatta plurale, grazie alla “immissione” di altre figure sul palco, attori – o, forse, presenze, spesso mute: dalle più storiche come Ivan Bellavista o Manolo Muoio, fino a più recenti inserimenti come in questo caso Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli e la partecipazione di Maria Grazia Sughi – ognuno dei quali è una ricorrenza di occasioni, da quella amicale a quella familiare, ossia un allargamento delle opportunità di relazione, una proliferazione non di punti di vista dello spettatore ma di bersagli che l’invettiva dell’attore può colpire. Dunque, se prima lo spettatore partecipava al “non” testo di Rezza affiancandolo, sentendosene coinvolto per comune intelligenza, ora lo spettatore è privato di qualunque illusoria consolazione e si vede rappresentato, colpito, rivelato nelle sue più inconfessate manie borghesi.
A fornire il contesto all’esplosività dell’attore è il luogo che per definizione fa da soglia, da limite tra dentro e fuori, tra privato e pubblico: la casa e, con essa, la porta che segna la distanza, la separazione tra sé e gli altri; ma se – come ipotizza Massimo Marino nel programma di sala – noi fossimo gli altri degli altri? Ecco su cosa si fonda la riflessione di Mastrella e Rezza, questa relatività scomposta, in continuo movimento, sbandiera quanto sia ormai inconcepibile fornire una centralità all’individuo, l’illusione dell’essere collettivo del Novecento, della massa, ha oggi amplificato la riduzione all’uno, la costruzione di un confine sempre più stretto attorno al proprio ombelico. E dunque ciò che è plurale, il senso di comunità, si inabissa irrimediabilmente nella retorica ed è lì che la brutalità provocatoria di RezzaMastrella imprime la propria maggiore forza, smembrando le resistenze dello spettatore con un ritmo impazzito, sia sul piano della bulimia di immagini che sul piano linguistico, fin quasi al grammelot.
La porta, fisicamente presente come unico elemento scenico semovente sull’intero palco, è un telaio che sposta continuamente il proprio asse, si apre verso l’interno o verso l’esterno innescando reazioni ripetute o sorprendenti, è accoglienza non desiderata, desiderio di accoglienza negata, varco per entrare o per uscire, limite concreto di spazi immaginari. La meccanica relazionale più indagata è, ovviamente, il nucleo familiare, quella baraonda di rapporti imposti da una confidenza indesiderata, una “mattanza” di presentazioni impazzite di parenti, incastri incestuosi di familiarità coatta, a cui tuttavia nessuno può sottrarsi ma solo cedervi per tributo a quella divinità sovradimensionata che ha nome di comunità.
Brillante e provocatorio, fin quasi allo sfinimento, Antonio Rezza – forse in questo caso con un ricorso eccessivo alla reiterazione del dispositivo espressivo e con variazioni non sempre fulminanti – sul palco sferza attraverso una crudeltà dissacrante verso la famiglia o, più a largo raggio, verso i meccanismi convenzionali; per farlo usa come sempre la dimensione dell’assurdo, il delirio umoristico animato da un meccanismo filosofico, stremando con accelerazioni efferate sé stesso e la percezione degli spettatori che da un lato godono nel sentirsi all’altezza del gioco psicologico, dall’altro perdono inesorabilmente la partita per stordimento. Uno spettacolo di RezzaMastrella richiede, anche questa volta, un grande atto di presenza intellettuale, vogliono uno spettatore reattivo, non competente ma capace di abbandonarsi al fastidio del doversi riconoscere in quelle presenze manipolate dalla convenzione, dall’abuso della consuetudine, da questa divinità, speculare e bifronte, dell’individuo che combatte sé stesso.
Simone Nebbia
Visto al Festival dei due Mondi di Spoleto – Luglio 2022
Prossime date in calendario tournée
Milano Teatro Elfo Puccini 15-27 novembre 22
Roma 20 dicembre – 22 gennaio 2022, Teatro Vascello
HỲBRIS
di Flavia Mastrella Antonio Rezza
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli
e con la partecipazione straordinaria di Maria Grazia Sughi
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Daria Grispino
organizzazione generale Marta Gagliardi Stefania Saltarelli
macchinista Andrea Zanarini
una produzione RezzaMastrella, La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro di Sardegna