Al LAC Lugano Arte e Cultura si è tenuta la prima edizione del Lugano Dance Project che promuove scambi culturali tra Europa, Canada e Nord America. Con le menti rivolte alle questioni della nostra contemporaneità verso utopie future.
Ritorna continuamente alla memoria l’immagine di Daniela Zaghini concentrata nell’eseguire il primo degli undici assoli di Shadowpieces della coreografa Cindy Van Acker, fluida in movimenti che rimandavano alla calma energia del Tai Chi e in armonia con le composizioni di Ryoji Ikeda, perfettamente combinata all’ondeggiamento dei rami dell’albero alle sue spalle; lì con lei stavamo vivendo uno di quei rari momenti in cui tutto ciò di cui è fatto il mondo è in un perfetto incastro. Poi la mente prende un’altra direzione e guarda le montagne con cui dialoga il muso grigio-verde della sede del LAC di Lugano. E non soltanto quelle che proteggono il lago, ma anche quelle poco distanti da lì. Una in particolare: Monte Verità ad Ascona, sede fisica e morale della comunità che vi si è riunita agli inizi dello scorso secolo, e riferimento tematico della prima edizione del Lugano Dance Project. L’ambiente svizzero, il suo paesaggio, hanno un’energia particolare, in quanto punto di giunzione europeo, si collocano come congiuntura sociale e ideologica: le cose, in una complessità anche contraddittoria, lì avvengono. Tornando alla comunità vegetariana e anarchica di Monte Verità e al perché si sia costituita, si pensi alle risposte all’industrializzazione e ai suoi effetti alla fine dell’Ottocento e inizio Novecento, tra pratiche artistiche, filosofie e teorie psicanalitiche. La ricerca di un benessere, poiché è prerogativa di tutti, ha in sé non poche idiosincrasie. Non è una sorpresa, allora, che in un contesto così fremente abbiano trovato asilo personalità polari come Lev Trockij e la danzatrice Mary Wigman che divenne una solida sostenitrice del nazionalsocialismo. Che lo si accetti o no, è naturale. Quindi, la ricerca del benessere, che si risolse e si risolve soprattutto nelle pratiche comunitarie e fisiche come quelle della danza (con un focus importante sugli studi motori e coreografici di Rudolf Von Laban), e la tensione utopistica che porta con sé sono il motore primo di questo festival. In quest’ordine consequenziale di pensiero che è partito dalla cima dei monti trova un suo spazio fondamentale il tema della cura su cui è necessario però aprire una questione, accettando sempre la vitalità delle contraddizioni che impregnano quell’aria. Per quanto l’intervento di sole artiste sia quasi un evento nel panorama culturale, si è affacciato per un attimo il rischio che questa scelta, operata dal Direttore Artistico Carmelo Rifici e il Direttore Generale Michel Gagnon, fosse il risultato della troppo comune sovrapposizione della cura alla figura femminile. «Tutto il programma è stato scelto, […], affinché corpi e voci femminili possano ricordarci, ancora oggi, che utopia, cura dell’alto e respiro restano, in un mondo che sembra essere ripiombato nella follia, gli unici antidoti alla ferocia», afferma Rifici. Il rischio dov’è? Che la cura diventi un surrogato della maternità, e quindi prerogativa (quasi una responsabilità) nella sensibilità della donna. Confonde questa concessione in virtù del genere. L’utopia, sperando che non resti tale troppo a lungo, è negli equilibri.
Di gran valore invece è l’autonomia dello sguardo femminile che ha cura sì, ma di raccontare quello che può essere il femminile in relazione al mondo. Nel già citato Shadowpieces, Van Acker elabora gli assoli partendo proprio dalla comprensione dei bisogni delle sue danzatrici, uno dei quali è quello di scegliere tra una selezione di brani quello più utile a stimolare il singolo processo creativo. Ogni momento è peculiare, non sono contemplate immagini reiterate e tanto meno una sintassi unica del movimento: gli assoli sono effettivamente riconducibili ad attimi privati concessi allo sguardo di terzi. Degli undici assoli che hanno avuto gestazione dal 2019 al 2021 ne vengono portati in scena solo quattro e nel seguente ordine: VI, Fete en blanc con Sonia Garcia; I, Melancolie de l’espace con Daniela Zaghini; V, Les Ephémères con Stèphanie Bayle; IX, Verso con Anna Massoni. Le esibizioni sono al Cantiere Navale e al Lido di Lugano. Se nel caso specifico il coinvolgimento degli “spazi non convenzionali” non ha un vero impatto sulla composizione urbana, comunque comunica con le suggestioni del corpo e della mente dello spettatore, che percepisce il piacere di attendere e far parte della creazione.
Sonia Garcia e Anna Massoni prendono posto su una chiatta, esposte agli occhi del pubblico in piedi su pontili e pedane; entrambe trovano misura nell’esprimersi in movimenti che hanno un forte impianto narrativo. Garcia racconta di ricordi e sogni col sostegno di una gestualità primaria ed evidente che si evolve nelle sequenze di veri e propri periodi, mentre Massoni va a una forma più sintetica della narrazione muovendosi tra pause e punteggiature, lì dove l’articolazione del gesto si formalizza nella stasi della posa per poi riprendere in una logica di consequenzialità. Zaghini e Bayle al Lido, su un prato ben curato, predominanti rispetto ai seduti davanti a loro, diventano concetto: la prima si estende e distende alla ricerca di spazio tra il suolo e l’aria, la seconda, sulle note di No Birds di Fred Frith, di spalle e concedendo di tanto in tanto la riga del profilo fino a svelarsi del tutto, si fa musica nel restituire un’assoluta sovrapposizione tra il guizzo e la partitura.
I lavori di Annie Hanauer e Lea Moro scavano invece a diverse profondità, quando il rapporto col proprio corpo non si limita più a essere una pulsione e diventa propulsione verso la contemplazione e comprensione dell’altro. Al Teatro Foce, Hanauer porta A space for all our tomorrows; con lei sono presenti i danzatori e coreografi Laila White e Giuseppe Comuniello e la cantante Deborah Lennie. Al centro del palco, Lennie canta di un mondo perfetto, luminoso e pulito, dove non esistono distinzioni di genere e ogni corpo è libero di mostrare la propria forma, e alle sue spalle avanza la massa compatta di tre corpi uniti; poco alla volta i fari illuminano con vigore le singole componenti della massa. Tre corpi rivoluzionari. Dal 2017 Annie Hanauer sostiene laboratori di danza inclusiva in cui il corpo è concepito come performante in quanto in movimento, e non perché educato esclusivamente dalla tecnica. La luce dei fari si riflette sulle componenti metalliche della protesi di Hanauer e sulle stampelle di White. Ognuno dei danzatori prende per sé la ribalta mentre la loro voce registrata li racconta; nonostante si restituisca una condizione scenica caotica perché più incentrata al singolo momento espressivo che a un senso di armonia, viene dimostrato che ogni movimento è il massimo a cui i loro corpi possano tendere, almeno fino a quel momento. La volontà del moto è un’affermazione di presenza. La voce di Comuniello spiega la cecità come l’immersione in acqua. White si solleva sugli splendidi muscoli delle braccia potenziate dalla sua condizione; Hanauer ruota il suo braccio. Quando l’unicità si esaurisce, diventa naturale ricompattarsi in un unico organismo che si sostiene da sé.
Con Another Breath, Lea Moro lavora sulla coreografia che parte dalla connessione del singolo con sé stesso. Moro ha accumulato progetti (come The End of the Alphabet, Solo for Lea, FUN!) in cui il centro creativo è il suo corpo con le sue memorie, le vulnerabilità e le potenzialità, che entrando in rapporto con lo sguardo del pubblico tende a un universale o a qualcosa che quantomeno sia facilmente comprensibile. I sei danzatori, compresa lei, sul palco della Sala Teatro del LAC, separato dalla platea da un tendone nero, si preparano a unirsi. Da prima esercitano delle pressioni sulle punte delle dita, camminando per lo spazio e iniziando a esercitare la respirazione. Dalle individuali palpazioni del torace e le vibrazioni diaframmatiche si passa al contatto: il corpo vicino viene frizionato, compresso, accarezzato, battuto e accompagnato; le narici e le bocche si spalancano. Tra loro viene spontaneo sorridersi. I fiati si alzano e ogni moto ha la propria intensità e velocità di respirazione; anche il canto è una sperimentazione utile che però ha un effetto straniante tra quelle fonìe prive di parole. Il respiro ha una meccanica collettiva e le vibrazioni del coro riempiono l’aria, mentre i corpi seguono le dinamiche di un enorme diaframma invisibile per cui si compenetrano e si rilasciano. Poiché «Il respiro è un’impronta sul nostro modo di essere al mondo», come dirà Moro all’incontro col pubblico, maneggiano sagome trasparenti da sovrapporre al corpo o funzionali ad accogliere la condensa dei loro fiati per poi lasciarli in terra, carichi della loro presenza e della loro connessione.
Valentina V. Mancini
Sala Teatro LAC; Cantiere Navale Società Navogazione/Lido di Lugano; Teatro Foce, Lugano – Maggio 2022
Shadowpieces VI – Fête en blanc
Coreografia Cindy Van Acker in stretta collaborazione con la danzatrice
interpretazione Sonia Garcia
Musica Eliane Radigue – Opus 17/ Etude, scelta da Sonia Garcia
Shadowpieces I – Mélancolie de l’espace
Coreografia Cindy Van Acker in stretta collaborazione con il danzatore
interpretazione Daniela Zaghini
Musica Ryoji Ikeda, album Opus, Prototypes I, II, III et IV, scelta da Daniela Zaghini
Shadowpieces V – Les Ephémères
Coreografia Cindy Van Acker in stretta collaborazione con la danzatrice
interpretazione Stéphanie Bayle
Musica Fred Frith – No Birds, scelta da Stéphanie Bayle
Shadowpieces IX – Verso
Coreografia Cindy Van Acker in stretta collaborazione con la danzatrice
interpretazione Anna Massoni
Musica Arnold Schoenberg – Drei Klavierstücke, Opus 11, scelta da Anna Massoni
A SPACE FOR ALL OUR TOMORROWS
Coreografia e ideazione Annie Hanauer
Assistente coreografa Susanna Recchia
Dramaturg Silja Gruner
Interpreti Annie Hanauer, Laila White, Giuseppe Comuniello
Musica dal vivo Deborah Lennie
Composizione musiche Deborah Lennie Patrice Grente
Costumi Valentina Golfieri
Disegno luci Marzio Picchetti
Audiodescrizione Camilla Guarino
Tecnico luci Nicolò Baggio
Tecnico del suono Pietro Maspero
Produzione LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Danzabile
In coproduzione con IntegrART – un progetto di rete del Percento culturale Migros
una coproduzione nell’ambito del fondo programmatori di Reso – Rete Danza Svizzera,
sostenuto da Pro Helvetia – Fondazione svizzera per la cultura
con il sostegno di DECS Repubblica e Cantone Ticino – Fondo Swisslos
Fondazione Lugano per il Polo Culturale Manitou Fund Spazio PLIM – creazioni Landis & Gyr Stiftung
In collaborazione con Franklin University
ANOTHER BREATH
Coreografia e ideazione Lea Moro
Co-coreografia e interpretazione Ana Laura Lozza, Kiana Rezvani, Lea Moro, Malika Lamwersiek, Samuel Draper, Sharón Mercado Nogales
Suono Andrés Bucci aka Futurelegend
Composizione canzoni Andreas Bonkowski, Jana Sotzko
Costumi Nina Krainer
Assistente costumi Molly McDonnell
Luci Martin Beeretz
Spazio Lea Moro, Nina Krainer
Collaborazione coreografica Kiana Rezvani
Produzione, organizzazione Hélène Philippot
Collaborazione produzione Mirjam Sadjak
Testi canzoni Harriet von Froreich (I’ll eat your breath) Guilherme Marcondes (Are we all suffocating?) Team collaboration (Beyond breath)
Produzione LAC Lugano Arte e Cultura Lea Moro