Recensione. Dal 10 giugno riparte il Campania Teatro Festival, la sesta edizione sotto la direzione artistica di Ruggero Cappuccio. Il coreografo svizzero Martin Zimmermann debutta in Italia col suo Danse Macabre. Al Teatro Mercadante di Napoli la Morte fa ridere.
Nel Tardo Medioevo, prevalentemente in nord Europa, iniziarono a comparire sui muri degli ospedali e delle chiese dei curiosi balli tra i vivi e i morti; se anche Dio era mancato all’appello della grande Apocalisse, bisognava sempre pensare che, pure se meno scenografica, la morte sarebbe arrivata per tutti. Non importa cosa si faccia. In ogni corpo vivente, composizione e decomposizione sono legati da un principio di reciprocità: per cui non esistiamo e poi moriamo, ma esistiamo nella misura in cui moriamo. Un sollievo, davvero. Non che tutto manchi di senso, no; è solo che non c’è molto da capire. Da questo esatto punto, da questa consapevolezza di cui ormai ho perso la sua radice, se arrendevole o rabbiosa, mi permetto, io, di aprire un inciso sul festival che ha accolto lo spettacolo a cui tra poco vi lascerò. Dal momento che so che c’è pochissimo da capire, ho imparato a pretendere cosa e da chi. Non pretendo più che il Presidente di Regione Vincenzo De Luca, il 27 aprile in piena conferenza stampa di presentazione al festival, non si porga con la solita tracotanza presentando indebitamente un progetto culturale con queste parole: «Non c’è, sinceramente, nessuna regione d’Italia che abbia oggi un’offerta culturale anche lontanamente paragonabile a quella della Campania» come se la cultura, pure quella, fosse terreno di dissidio; non pretendo più che per un festival definito “green” non si sprechino chili e chili di ottima carta (in particolare per la guida Il Sogno Reale- I Borbone di Napoli. Mi si permetta, con fare giacobino, di consigliare la Guida Rossa). Non pretendo più che in una Regione come la mia, in una città come la mia, dove il divario culturale e sociale è spaventosamente esteso (quello sì come ai tempi del sogno borbonico), ci sia una giusta e oculata e sensibile distribuzione della proposta culturale. Chi può, chi ha la possibilità di cogliere l’occasione, chi è messo nelle condizioni di cogliere l’occasione (per essere chiari: non basta che il biglietto costi quanto due caffè), va al Teatro Mercadante per godere di Martin Zimmermann. Non pretendo più che il pubblico del Campania Teatro Festival vada oltre l’oretta di godimento in poltroncina. Tornando a noi: Martin Zimmermann, davanti alla meschina fragilità dell’esistenza, compone la sua Danse Macabre e ride. E fa bene. Il coreografo saltimbanco svizzero si mette a capo del suo bislacco corteo; fa il morto e dalla bocca non gli usciranno altro che schiocchi di lingua, e qualche urlo più simile a una tonta risata. In effetti, non verranno affatto pronunciate parole se non qualche delirante sciocchezza. Poiché non c’è nulla da capire, forse riesco a farvelo vedere.
In una discarica, tra cartacce e sacchi della spazzatura che sfuggono, la Morte russa sotto uno scatolone: pare un gigantesco ratto con gli incisivi pronunciati, un lercio Michael Jackson in Thriller e un ridicolo Conte Orlok di Murnau. Alle sue spalle, su un cumulo, da una lorda casupola oscillante emergono i dannati. Dimitri Jourde è uno scoordinato vecchio beone con una pancia enorme, Tarek Halaby veste i panni di un’aspirante e inappropriata reginetta di bellezza; poi c’è lei, Methinee Wongkratoon: la creatura più curiosa e intrigante che si possa immaginare. Ognuno di loro cerca un modo per stare al mondo (che l’instabile equilibrio acrobatico sia quello giusto?), e il corteo inizia a muoversi in un caotico circo carnevalesco.
La scena unica si compone di singoli riquadri autonomi coincidenti nel tempo; la testa dello spettatore fa dei lunghi giri e, mentre l’attenzione si fissa su un’immagine, qualcosa attrae la periferia degli occhi, provocando uno scatto repentino del capo nella sua direzione. Da lontano, la visione nel buio sarebbe quella di tante teste che rimbalzano da destra a sinistra, alternando in modo scomposto, e senza alcuna soluzione di continuità, il silenzio attonito e lo scoppio di risa a bocca spalancata. La fissità di alcune immagini è di un surrealismo spinto. Halaby e Wongkratoon, le due energie femminili insieme coincidenti e dissimili, si dispongono uniti a comporre un’inquietante figura: il primo, con sulle spalle un pellicciotto marrone sintetico dal pelo lungo, siede a testa bassa; intanto lei siede a cavalcioni sullo schienale della sedia, aggrappata con le gambe aperte e piegate strette intorno alle spalle dell’altro. Respirano all’unisono, con le teste piegate in avanti e i lunghi capelli di entrambi a intrecciarsi; dietro di loro, la Morte li stringe.
Ma ecco Jourde che disturba la visione (senza che il trio si scomponga) e, dal lato opposto, prende a gridare frustrato nel tentativo ridicolo di pulire il pavimento della discarica; scalcia un cumulo di cartacce, una scarpa gli si sfila e lo scellerato si sfascia in un continuo di capriole per infilarla. Attaccano delle percussioni con echi metallici a dare il ritmo e l’intermittenza delle luci distorce i corpi. La festa è interminabile e lo sfogo è estenuante: la reginetta, dopo aver trovato il tempo di partorire ben due volte, ancheggia avanti e dietro ballando come un’indemoniata; la sua muta compagna la segue smoderata in danze mostruose sforzandosi di diventare bella; il vecchiaccio non fa altro che cercare un modo di sedersi su una sedia che proprio non vuole stare ferma.
La Morte si diverte. Nella testa resta l’immagine di Wongkratoon con indosso una larga felpa; la gamba destra nuda è fissa e dritta, le braccia aperte e tese escono dalle maniche; il piede sinistro sbuca, insieme ai capelli nerissimi e lucidi, dal cappuccio che si allunga sopra la testa che scompare del tutto. Sono sicura che riuscisse ugualmente a vederci. Poi eccolo l’ultimo atto di follia della danza macabra: dalla sommità del cumulo, che si è aperto per mostrarne le viscere, si accende la sagoma al neon di un terribile volto sorridente. La musica è assordante, la danza è il meritato delirio di poveri disperati. Disperati loro, disperati noi. Beh, pazienza.
Valentina V. Mancini
Teatro Mercadante, Napoli- Maggio 2022
DANSE MACABRE
IDEAZIONE, REGIA E COREOGRAFIA MARTIN ZIMMERMANN
CREATO CON E INTERPRETATO DA TAREK HALABY, DIMITRIJOURDE, METHINEE WONGTRAKOON, MARTIN ZIMMERMANN
CREAZIONE MUSICALE COLIN VALLON
DRAMMATURGIA SABINE GEISTLICH
STAGE DESIGN SIMEON MEIER, MARTIN ZIMMERMANN
COLLABORAZIONE ARTISTICA ROMAIN GUION
DEVELOPMENT STAGE E COORDINAMENTO TECNICO INGO GROHER
COSTRUZIONE SCENOGRAFIE MAISON DE LA CULTURE DE BOURGES (NICOLAS BÉNARD, LUCAS BUSSY, JULES CHAVIGNY, JEAN-CHRISTOPHE DAVID, LUC RENARD, JOAO DE SOUSA, ERIC VINCENT), ANDY HOHL
COSTUMI SUSANNE BONER, MARTIN ZIMMERMANN
LIGHT DESIGN SARAH BÜCHEL
SOUND DESIGN ANDY NERESHEIMER
MACCHINISTA DI SCENA THIERRY KALTENRIEDER
REALIZZAZIONE COSTUMI SUSANNE BONER
PITTURA MICHÈLE REBETEZ-MARTIN
CREATION STAGE MANAGER ROGER STUDER
DIREZIONE LUCI SARAH BÜCHEL, JAN OLIESLAGERS
DIREZIONE SUONO FRANK BOURGOIN, ANDY NERESHEIMER
STAGE MANAGER ROGER STUDER
FOTO NELLY RODRIGUEZ, BASIL STÜCHELI
PRODUZIONE MZ ATELIER
COPRODUZIONE FUND OF RESO – DANCE NETWORK SWITZERLAND, CON IL SOSTEGNO DI PRO HELVETIA, SWISS ARTS COUNCIL, KASERNE BASEL, KURTHEATER BADEN, LE VOLCAN, SCÈNE NATIONALE DU HAVRE, LES THÉÂTRES DE LAVILLE DE LUXEMBOURG, L’ODYSSÉE — PÉRIGUEUX, MAISON DE LA CULTURE DE BOURGES / SCÈNE NATIONALE, OPÉRA DIJON, THEATER-UND MUSIKGESELLSCHAFT ZUG, THÉÂTRE DE CAROUGE, ZÜRCHER THEATER SPEKTAKEL
CON IL SOSTEGNO DI BVC STIFTUNG, ELISABETH WEBERSTIFTUNG, ERNST GÖHNER STIFTUNG, FACHAUSSCHUSSTANZ & THEATER BS / BL, STIFTUNG CORYMBOWITH SPECIAL
SI RINGRAZIANO LEONIE-SOPHIE KÜNDIG, DANIELKÜNDIG, SCHAUSPIELHAUS