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Venere e Adone. Latini e Giuva, poesia teatrale e vita

Recensioni. Una pagina interamente dedicata al mito di Venere e Adone attraverso due spettacoli visti recentemente a Roma, quello di Roberto Latini al Teatro Vascello e quello di Danilo Giuva prodotto dalla Compagnia Licia Lanera al Teatro Quarticciolo; due modi totalmente diversi per dialogare teatralmente con le parole di Ovidio e con il poema shakespeariano.

Venere e Adone di Roberto Latini. Foto Paolo Cortesi

VENERE E ADONE (Siamo della stessa mancanza di cui son fatti i sogni)

di e con Roberto Latini
musica e suono Gianluca Misiti 
luce Max Mugnai
costume Gianluca Sbicca
scena Marco Rossi
produzione Compagnia Lombardi Tiezzi

Non vola più Amore, tanto che delle ali è rimasto solo il segno. L’attore sta in piedi di fronte alla sua voce e porta addosso un’armatura dalla forma alata, progettata sin dalla costruzione per ancorare il peso a terra e non per toglierlo. Quel che si vede dunque è Amore, il bambinetto scapestrato, che in realtà è ben più maturo di come vogliono raffigurarlo. A tal punto che ha in sé tutti i pensieri del mondo e si presenta come figura d’apertura dello spettacolo Venere e Adone di Roberto Latini, ischeletrito dal suo essere stato di tutti l’unica “morte-in-vita che possiamo sperimentare”. 

Latini ha diviso la sua rappresentazione in quadri, dopo primo, “Amore”, si susseguono “Cinghiale” – “Adone” – “Venere” e “Chiunque”. Dichiaratamente ispirata all’omonimo poema shakespeariano, questa rappresentazione ne reinterpreta il dato comico, si tiene (come consueto per l’artista romano) sulla sperimentazione sonora, non solo fonica ma soprattutto verbale, in grado di fornire, grazie al lavoro di Gianluca Misiti, un leitmotiv musicale che aiuta ogni quadro a essere percepito come un momento tanto indagato nelle vite di ognuno, quanto sofferto: “Lascia ch’io pianga” diceva Händel e dice Latini in apertura, negli intermezzi, in forma di coro e pure in chiusura.

Venere e Adone non sono due amanti condannati, separati dall’alternarsi delle stagioni come li condanna il mito, perché ora non sono mito. Stavolta i due si fanno persone infinite, calate sulla terra, lì dove Adone amava cacciare e qui dove non è capace di piangere se parla d’amore, e registra videolettere che legge sul gobbo che si è preparato, facendo ridere il pubblico. Ma perché il pubblico ride? C’è chi probabilmente ha imparato a fare ironia di se stesso, chi sa di vivere l’epoca della rappresentazione senza volontà e ne è terrorizzato, e altri ancora perché, inconsapevolmente malvagi, non potevano aspettarsi che la smania di Amore potesse anche divertire.

Così si arriva a “Chiunque”, l’ultimo atto. Il quadro che viene dopo gli altri quattro che hanno un nome e parlano ognuno a modo proprio del diverso disincanto di fronte al sentimento. Chiunque è l’atto aggiunto, non sembra conclusivo, spinge a una considerazione finora mai sorta: qual è la forma di amare/amore a cui siamo arrivati e quale quella a cui vogliamo spingerci? 

Francesca Pierri

Visto a Roma, Teatro Vascello, maggio 2022

Foto Clarissa Lapolla

VENERE/ADONE
da William Shakespeare
di e con Danilo Giuva

Ci sono artisti del teatro che arrivano al mestiere partendo da posizioni laterali, d’altronde spesso si è detto quanto il palcoscenico e le sue pratiche siano in grado di attrarre, di dare il coraggio per cambiare vita; Meldolesi e Taviani parlando del brulicare teatrale europeo del primo Ottocento evidenziavano come il teatro potesse essere anche un “luogo per accogliere transfughi”, per chi sfiduciato dai fallimenti delle rivoluzioni avesse bisogno di costruirsi un mondo a misura. Nel concreto effimero del teatro i cuori inquieti trovano questa possibilità e una comunità con la quale erigere se non un nuovo mondo almeno spazi di libertà. Anche Danilo Giuva, foggiano, classe ‘78, è stato un transfugo, fuggito da un lavoro che lo rendeva benestante, ma infelice, con una laurea da chimico in tasca scelse la via del teatro rispondendo a un innamoramento cominciato nell’infanzia e concretizzatosi poi nello studio attraverso un percorso laboratoriale. Dopo l’incontro con Licia Lanera, Giuva ha cominciato anche a crearsi una via autoriale, prima con Mamma, in cui era uno splendido interprete di Annibale Ruccello e ora con Venere/Adone di cui cura il testo e la messinscena.

Qui, soprattutto nei primi minuti, non sembra esserci la volontà di costruire una pièce di rappresentazione, anzi la forma è quella del talk, potrebbe sembrare una divertente lezione sul Venere e Adone di Shakespeare: l’attore incalza il pubblico, chiede chi abbia mai letto il testo. Alla sua sinistra una riproduzione del dipinto di Venere e Adone, la celebre composizione cinquecentesca di Tiziano (esistente in più versioni); il giovane e bellissimo Adone tenta di fuggire dall’abbraccio di Venere per correre verso una passione più forte, quella della caccia. Siamo di fronte dunque all’amore impossibile, non ricambiato, quello alimentato da un bacio dato con altri scopi o per pura voluttà. Il poema venne scritto, come Il Ratto di Lucrezia, nel 1593, proprio l’anno in cui i teatri elisabettiani dovettero rimanere chiusi a causa della peste. Giuva, che questo spettacolo lo aveva pensato prima del blocco causato dalla pandemia per il pubblico dei giovani, alterna il commento del mito alla recitazione al microfono del testo shakespeariano. Un approccio delicato, senza barocchismi o ricerche vocali estreme, eppure efficace.

Foto Clarissa Lapolla

Siamo al Quarticciolo – lo spettacolo è inserito nella rassegna Lo capisce anche unə bambinə – con il suo modo di fare Giuva crea da subito un’atmosfera di relazione e allegria: quasi sfacciatamente si prende gioco del mito e di Shakespeare, “Guglielmo”, ma proprio quando la parodia e l’irrisione sembrano prendersi la scena qualcos’altro lentamente inizia ad affiorare. Siamo nell’adolescenza dell’attore: come ci siamo finiti? Le scuole superiori e un amore non corrisposto: quel ragazzo, l’oggetto dell’amore ostinato, è Adone, già fidanzato con una ragazza, amica del nostro protagonista. Classica e dolorosa triangolazione adolescenziale fatta di speranze disattese, giornate intere passate a leggere i segni possibili, lo scontro con le convenzioni sociali, il campeggio in tre, solo per stare con lui. Passano quattro anni e poi un bacio, è il bacio di Adone a Venere svenuta. Non è semplicemente la vita che fa da specchio all’arte (o il contrario), è una storia in cui a un certo punto Venere deve scegliere e Danilo sceglie di non nascondersi, di non accettare la richiesta di Adone: fuggire e ricominciare un’altra vita, lontano da quella società e dall’imbarazzo di un amore tra giovani uomini.

Dicevamo di come questo lavoro sia nato proprio per un pubblico di nuove generazioni, si spera allora di vederlo replicare anche nelle scuole: che possa fare da specchio a giovani vite, a cuori inquieti, schiacciati dal pensiero che “di amore non godranno mai più”.

Andrea Pocosgnich 

Maggio 2022, Roma, Teatro Biblioteca Quarticciolo

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