Si è conclusa l’edizione 2022 di In-Box con la vittoria di Questa splendida non belligeranza di Marco Ceccotti. Qualche riflessione a margine sui progetti di quest’anno e le modalità di selezione.
L’incontro tra il mestiere dell’operatore o operatrice teatrale e le poetiche delle compagnie è un’occasione sempre più difficile da agevolare, sostenere e concretizzare, non è facile intercettare il manifestarsi di nuove estetiche, accoglierle con sensibilità, ascolto e, soprattutto, economie. Da una parte i teatri, i festival, i circuiti che svolgono una necessaria attività culturale sul territorio faticano a far quadrare i conti, i finanziamenti non sono erogati con equità e molti stabili non intessono un dialogo con le compagnie indipendenti; dall’altra i progetti che – fiaccati dal lungo periodo di gestazione, dalle prove, dalla ricerca di ospitalità, dal tentativo di mantenere saldo l’ensemble che rischia di sfaldarsi – si confondono negli intenti, le idee nascono spesso per “accontentare” bandi tematici, e la proposta di lavori autonomi, anche se ben strutturati e con aderenza al contemporaneo, finisce per disperdersi. Tale ragionamento non è retorica compassionevole, né tantomeno nichilismo, piuttosto è un parere soggettivo e quindi parziale rispetto a un presente che ha bisogno di fare teatro, vuole fare teatro, e lo dimostra anche attraverso la numerosa partecipazione alle call promosse, ma stenta a inserirsi in un sistema, che sistema non è perché frammentato, e a lasciare un segno autoriale.
Nell’attuale condizione produttiva e distributiva, la rete In-Box – ideata da Fabrizio Trisciani e Francesco Perrone – si configura come uno strumento fondamentale sia in quanto radar per intercettare nuovi stimoli provenienti dal teatro emergente che non hanno ancora raggiunto un’adeguata visibilità, che come rete di operatori e operatrici che dà a questi slanci artistici la possibilità di confrontarsi, realmente, con il mondo della circuitazione teatrale. Dopo aver registrato la risposta di ben quattrocento progetti che hanno partecipato al bando, l’edizione 2022 si è conclusa con le serate di In-Box dal Vivo. Durante il festival del teatro emergente italiano, tenutosi a Siena nelle scorse settimane, sono state presentate le dodici compagnie finaliste (di cui sei per In-Box Verde, sezione dedicata al teatro per le nuove generazioni) e di queste sono stati selezionati dai soggetti facenti parte della rete gli spettacoli da inserire nella loro programmazione.
Iniziamo con i premi assegnati dalla giuria speciale composta dagli studenti dell’Università di Siena: due repliche, una ciascuna, sono andate alla compagnia Guinea Pigs con #nuovipoveri e allo spettacolo Inverno di PianoinBilico, che si aggiudica anche la menzione speciale per miglior attore a Pasquale di Filippo e miglior attrice a Silvia Giulia Mendola. Sul podio troviamo invece al terzo posto per numero di repliche, undici guadagnate, il Gruppo RMN con Rimini; al secondo posto con quindici repliche la compagnia KNK Teatro in coproduzione con il Teatro Metastasio con L’Ultima Estate. Falcone e Borsellino 30 anni dopo, mentre il primo classificato è Marco Ceccotti con Questa splendida non belligeranza che registra il record assoluto di date attribuite nella storia del premio, trenta repliche. Non viene purtroppo assegnata nessuna replica a tEATROMEMORIA con Questa lettera sul pagliaccio morto.
Ora, cercando di procedere con un’osservazione che possa essere il più aderente possibile e che non vuole presentarsi come giudicante, ma prova invece a comprendere le scelte fatte dalla rete selezionante i progetti da presentare durante il festival, i cui membri sono gli stessi che poi scelgono quei progetti per inserirli nei propri cartelloni, sorge spontanea una domanda: perché questa sperequazione? Perché passiamo da zero repliche a una e poi a undici, quindici e addirittura trenta? È evidente la sostanziale differenza qualitativa tra i lavori presentati – più autonomi alcuni rispetto alle evidenti fragilità di altri – percepibile anche nel variare dell’ascolto da parte del pubblico in sala e consequenzialmente rappresentata dalla votazione e relativa classifica.
Questo lettera sul pagliaccio morto, privato in questa circostanza della presenza dell’attrice Paola Senatore che insieme a Chiara dello Iacovo è una delle due presenze sceniche sulle quali si regge tutta la drammaturgia originale di Davide Pascarella, si perde in un racconto denso di rimandi, che contiene a sua volta una sorta di “sottoracconto”, in cui la voce della macchinista si unisce a quella del clown investito Zebbo. E la calibratura tra i due punti di vista non trova un suo centro, sembra di ascoltare un flusso indistinto di parole proferito sempre dallo stesso personaggio quando è proprio il riflesso di due vite, di due narrazioni, che dovrebbe specchiarsi l’una nell’altra attraverso la padronanza attorale che lo stesso testo richiede. Rimarchevole, al contrario, l’interpretazione di Pasquale di Filippo e Silvia Giulia Mendola nello spettacolo Inverno che viene premiata dalla giuria degli studenti dell’Università. È proprio la tempra attorale dei due a salvare la regia di Michele Di Mauro (attore il cui talento è stato in questa sede più volte rimarcato) del testo di Jon Fosse, la cui componente enigmatica e irrisolta dell’incontro tra l’uomo e la donna del testo originale si confonde ulteriormente in una messinscena che è un vicolo cieco, ridondante, e che non aggiunge nulla, se non allontanare ulteriormente lo spettatore. #nuovipoveri potrebbe cercare meno legittimazione nel pubblico ed essere maggiormente convinto della propria ideazione e regia perché lo strumento scelto dell’indagine conoscitiva rivolta alla community della compagnia e i relativi risultati, compongono un osservatorio determinante sul presente e sui bisogni delle persone dettati dalle “nuove povertà”. Anche l’interpretazione di Marco De Francesca e Letizia Bravi così calorosa, affabile e onesta funziona, se non fosse inserita però in momenti drammaturgici che scaturiscono nello sfogo e non riescono a porsi con quella distanza, necessaria, tra il racconto personale e l’analisi sociale, la quale dovrebbe essere più sensibile e rigorosa nell’affrontare alcune tematiche, soprattutto quelle relative alla maternità. Rimini è una cartolina malinconica ma feroce, è l’arancione bruciato di un’estate afosa senza riparo. Giocoso per la qualità degli e delle interpreti, caleidoscopico per la drammaturgia in grado di tenere insieme più registri che vanno dal teatro narrazione, alla rivista, all’interazione con il video; questo spettacolo del Gruppo RMN per la regia di Mario Scandale ispirato all’omonimo romanzo di Pier Vittorio Tondelli, è il frutto di interviste condotte a più di 50 persone tra albergatori, negozianti, gestori di stabilimenti balneari, cittadini, turisti e persone passate da Rimini tra il 2018 e il 2021. “Sul pezzo”, e costruito con pertinenza sia drammaturgica che registica perché supportato da una prova attorale convincente per sobrietà di Simone Luglio e Giovanni Santangelo, è invece L’Ultima Estate. Falcone e Borsellino 30 anni dopo di KNK Teatro che, senza cadere nella retorica nella quale scivolano simili operazioni di memoria, riesce sia ad essere aderente alla vicenda storica che alla narrazione proposta dalla regia di Chiara Callegari. Con dovizia di particolari oculatamente scelti, emerge tutta la portata storica, di rottura e di responsabilità civile del Maxiprocesso e quanto questo rappresenti una svolta politica unica nella lotta contro la Mafia.
Pur volendo considerare le differenze tra i progetti visionati in video nella fase preliminare della selezione, che inevitabilmente differiscono una volta che arrivano sulla scena e incontrano la sala, pur volendo ammettere che non tutti gli operatori e operatrici possiedono le stesse predilezioni estetiche, pur volendo comprendere che ogni soggetto sceglie gli spettacoli a seconda delle proprie esigenze di direzione, finanziarie, di cartellone e in relazione al territorio; pur volendo considerare quindi legittime tutte queste varianti, sarebbe stato opportuno tuttavia procedere con maggiore omogeneità nella scelta, senza un simile e consistente disequilibrio, magari non basandosi esclusivamente sui video che rischiano di essere fuorvianti. Poteva essere utile un ulteriore confronto tra i membri nella valutazione di ogni singolo lavoro e di come questo sarebbe arrivato alle serate del festival, facendo insomma una ricognizione in anticipo per conoscere “chi prende cosa”.
E questo assunto deriva anche da un’osservazione complessiva delle recenti edizioni di In-Box nelle quali, per la quarta volta e nelle ultime sei vince il più alto numero di repliche uno spettacolo di un artista/compagnia proveniente da Roma. Da un punto di vista ravvicinato, soprattutto rispetto al caso di Marco Ceccotti, come redazione ne abbiamo seguito a lungo i lavori, più o meno riusciti, abbiamo seguito il passaggio produttivo dal Nuovo Cinema Palazzo al Teatro di Roma, alle incursioni digitali e televisive. La vittoria a In-Box del suo progetto, e quella di altri provenienti da Roma nel corso degli anni, è la dimostrazione di come, nonostante la crisi del TdR, la chiusura del Teatro Eliseo, la persistente minaccia della chiusura degli spazi occupati e dei centri che svolgono azioni di attivazione sociale, permanga la tenacia a offrire alla Capitale una proposta culturale, politica e di qualità sostenuta dagli spazi indipendenti, dalla fedeltà del rispettivo pubblico che quegli spazi fidelizzano e dai progetti trasversali di residenza. Non si tratta di fortuna ma di un lungo, strutturale, caparbio lavoro di cura portato avanti dalle strutture “piccole” ma grandi per operato e dedizione, fatto anche di “no”, di attese, di rinunce, di cambiamenti e fallimenti.
Tutto ciò, che può apparire dunque come una riflessione prettamente locale, vuole invece estendersi a livello nazionale per ciascuna piccola o grande compagnia e ciascun artista, i quali dovrebbero essere sempre messi nelle condizioni di poter presentare al meglio, o anche di non presentare affatto e quindi essere rifiutati all’inizio, i propri progetti, senza finire inevitabilmente in delle mere logiche premiali che possono sì celebrare ma anche essere esclusive e penalizzanti.
Lucia Medri