Recensione. le rane dio Aristofane visto al Teatro Fontana di Milano, con la regia di Marco Cacciola con Giorgia Favoti, Matteo Ippolito, Lucia Limonta, Claudia Marsicano, Francesco Rina. Tornerà in scena a maggio 2022.
Si può attingere all’essenza del tragico attraverso l’esperienza del comico? Secondo il regista Marco Cacciola, l’operazione non solo è legittima, ma è attuabile “decostruendo” una commedia come le Rane di Aristofane. Si tratta di un testo che non smette di affascinare per la sua idea centrale: la discesa di Dioniso nell’Ade finalizzata a resuscitare un grande poeta defunto, Eschilo o Euripide, in modo che questi salvi sia l’umanità dalle minacce della guerra civile ed estera, sia il teatro dal pericolo di estinzione e marginalità. La visione aristofanea è sintetizzata nel v. 1419. Il dio dice che il criterio decisivo per scegliere il poeta vincente è trovare chi possa salvare la città e conservare il suo teatro – chi unisce la figura del miglior politico e del miglior artista.
Per far emergere il tragico in Aristofane, Cacciola ha allestito una rappresentazione della commedia per molti versi spiazzante e che coinvolge numerosi compagni di viaggio. Ci sono anzitutto ben tre centri di produzione (Elsinor, Teatro di Bari, Solares Fondazione delle Arti). Vengono coinvolte poi le studiose Maddalena Giovannelli e Martina Treu, autrici di una nuova traduzione delle Rane con un’ampia introduzione e note di commento (pubblicata in M. Treu, A lezione di regia teatrale. Quaderno n. 2, Ledizioni, Milano 2021, pp. 11-139). Pensata appositamente per essere usata sulla scena, essa cerca di restituire la comicità dell’originale, ad esempio adattando i riferimenti antichi ad alcuni analoghi familiari contemporanei. Troviamo, infine ma non per ultimo, il coinvolgimento dei cittadini, i quali durante ogni replica restaurano il coro delle Rane e, per estensione, recuperano il ruolo di partecipanti attivi ai temi politici rappresentati dalla commedia.
In che modo Cacciola riesce a far emergere il tragico, decostruendo il testo di Aristofane? Una prima operazione consiste nel mostrare che le Rane non possono essere più rappresentate così come sono. La commedia si interrompe infatti al v. 813, subito prima che cominci l’agone per la scelta di Eschilo o Euripide quale “miglior” poeta/politico. Gli attori che interpretano Dioniso (Claudia Marsicano) e il servo Xantia (Matteo Ippolito) decidono di smettere di recitare, si accasciano a terra e non si rialzano dietro sprone della terza attrice (Lucia Limonta) a riprendere lo spettacolo. Il gesto segnala in positivo la volontà di abbandonare la logica della competizione tra artisti. “Che significa migliore?”, si chiede Xantia/Ippolito, senza credere alla validità di premi e gerarchie. In negativo, la rinuncia implica però anche la sfiducia che possa esistere un grande individuo capace di salvare la comunità. Ben prima della brusca interruzione, inoltre, si intravedeva un altro sinistro segnale di scetticismo sull’attuabilità della commedia originale. Nei punti in cui si sarebbero dovuti i canti del coro di uomini giusti e seri, soprattutto quelli degli iniziati al culto di Eleusi che elogiano il potere della commedia di far insieme ridere e ragionare su cose serie (vv. 354-370), si lascia invece cadere il totale silenzio. Tali omissioni dipendono a loro volta dalla sfiducia della capacità del teatro di intervenire direttamente sull’attualità e sui problemi del nostro tempo.
Rinuncia e silenzio sono dunque due primi portati tragici della Rane. Altri emergono dalle scene che Cacciola usa in sostituzione dell’agone tra Eschilo ed Euripide. Da un lato, c’è il denudamento di Dioniso e di Xanthia nella pianura dello Stige dell’Ade, accompagnato dall’atto dei membri del coro di pitturare l’uno di bianco e l’altro di nero, mentre sullo sfondo vengono proiettati i nomi di numerosi/e uomini e donne morte durante la prima ondata di Coronavirus. Il valore simbolico e tragico di questa azione scenica è indubbio. Non c’è un’Ade in cui si discende per trovare la poesia: il regno dei vivi stesso è un inferno, come pandemie e altri mali dimostrano con nitidezza. Dall’altro lato, nel vuoto lasciato dall’agone tra Eschilo/Euripide, troviamo le danze di Dioniso, della sua ombra (= Xanthia pitturato di nero) e degli iniziati che, nella prima parte della rappresentazione di Cacciola, erano rimasti in silenzio. Ciò costituisce il risvolto vitalistico della visione tragica del vivere in un inferno. Solo abbandonando la maschera comica, ossia l’ingenua illusione della commedia che il male sia facilmente estirpabile, diventa possibile sentire la voce del dio Dioniso e dei suoi iniziati, in altre parole riscoprire la poesia bella benché amara della vita.
Tale agnizione consente a sua volta di riscoprire, secondo Cacciola, il poeta che potrebbe realmente contribuire alla rinascita del teatro e della città. Questi coincide con i cittadini stessi: nei membri del coro che sanno bene che cosa significa vivere nell’inferno e, dunque, quali sono i mali da evitare e dove siano le piccole sacche di “non-inferno” che occorre tutelare. Sul piano scenico, il pensiero si traduce nell’atto stavolta di vestire un uomo o una donna del coro, mentre in parallelo uno schermo proietta le parole di Dioniso che decreta di aver trovato il poeta che andava cercando nell’Ade, per portare qualche conforto tra i vivi.
Cacciola intende allora il tragico come espressione sì di dolore e sfiducia verso i grandi individui, ma anche come sinonimo di intensità e di responsabilità. L’essere umano non può più trovare forza nelle ombre del passato, o in un dio e in un drammaturgo particolare, ma deve trovare da sé il suo futuro, la sua città, il suo teatro, il suo meglio. La commedia delle Rane – spogliata dei suoi lazzi e motti di spirito – si rivela così essere una tragedia politica che invita a dare voce a ciò che è buono in mezzo al male, a evitare che le danze degli iniziati restino ancora a lungo in un triste silenzio.
Enrico Piergiacomi
Gennaio 2022, Teatro Fontana di Milano
Repliche, date tournée in calendario
19-22 maggio 2022, Teatro Fontana, Milano
LE RANE
da Aristofane
progetto e regia Marco Cacciola
con (in o.a.) Giorgia Favoti, Matteo Ippolito, Lucia Limonta, Claudia Marsicano, Francesco Rina
e un coro di cittadini ogni giorno diverso
traduzione Maddalena Giovannelli, Martina Treu
dramaturg Lorenzo Ponte
scene Federico Biancalani
costumi Elisa Zammarchi
direzione tecnica Rossano Siragusano
musiche e suono Marco Mantovani
assistente alla regia Gabriele Anzaldi
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale / Teatri di Bari /Solares Fondazione delle Arti