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Peachum di Paravidino. Siamo ancora in grado di perdonarli?

Recensione. Peachum di Fausto Paravidino con Rocco Papaleo, dall’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht. Visto alla Sala Shakespeare del Teatro Elfo Puccini. Una rilettura che ci rivela un mondo ancora soggiogato dai giochi di potere e dal denaro.

Foto Luca Guadagnico

Tutto comincia col suono di una chitarra elettrica. Poi, il palco si dilata nella musica, si popola di personaggi, si riempie di parole. Inizia il prologo e gli attori svelano già le profonde ragioni che sottendono al macchinoso agire dell’essere umano: i motore di quel mondo riprodotto a teatro (e non troppo distante dal nostro) è l’amore, sono i soldi, è l’amore per i soldi. E Peachum, protagonista che dà il nome allo spettacolo stesso, è proprio questo, un uomo che non sa amare ma solo contare.

Alla sala Shakespeare del Teatro Elfo Puccini approda così lo spettacolo di Fausto Paravidino (prodotto da Bolzano e Torino), come tappa di una tournée partita a novembre e conclusasi a fine febbraio a Novara, ventiquattro tappe in quattro mesi. Si tratta di uno sforzo considerevole che vuole rileggere con vitale urgenza la celebre Opera da tre soldi di Bertolt Brecht. Accompagnata dalle musiche di Kurt Weill; il testo del drammaturgo tedesco riscosse subito successo negli anni Venti e venne ripresa da più registi nel corso del Novecento, nella volontà di scardinare i valori di riferimento di una società fortemente capitalistica.

Foto Luca Guadagnico

Ad essere messa alla berlina attraverso la poetica dello straniamento era la società borghese della Londra Vittoriana, che veniva spogliata della sua ipocrisia, divenendo oggetto dell’analisi delle logiche che stavano alla base di una radicata e dilagante corruzione. D’altra parte, anche Brecht aveva dei riferimenti letterari, tra cui la commedia satirica (o ballad opera) Beggar’s Opera di John Gay. Paravidino si ispira a questa lunga e consolidata tradizione teatrale, mettendo in luce un materiale fertile, in grado di essere riattivato nel tempo in una chiave tipicamente contemporanea. «Quando lo Stabile di Bolzano mi ha chiesto di scrivere un testo su Peachum, il re dei mendicanti dell’Opera da Tre Soldi di Brecht – spiega il regista – mi sono chiesto come e se le dinamiche descritte da Brecht fossero in qualche modo cambiate oggi». In realtà, «Peachum è una figura del nostro tempo più ancora che del tempo di Brecht».

All’interno del fatiscente sistema capitalistico, le cui fila vengono abilmente orchestrate in scena da Jonathan Geremia Peachum (Rocco Papaleo), i legami affettivi, all’apparenza solidi e perfetti, si spogliano della loro autenticità perché regolati da individualistici interessi economici. Osserviamo, così, la monotona routine di un uomo d’affari tanto rispettabile nell’aspetto quanto meschino nell’anima. Accecato dal potere e dalle manie di possesso, si serve di un gruppo di venditori ambulanti (mascherati da Stefano Ciammitti) per il contrabbando di borse di marca, che vende sia nella sua boutique di lusso sia nelle strade della periferia. Nulla sembra toccarlo a meno che non intacchi il suo business.

Foto Luca Guadagnico

Ed è qui che entra in gioco Mickey (lo stesso Paravidino), capo di una banda di naziskin che usa la violenza per avere il rispetto nei bassifondi.  Non c’è da stupirsi se poi Polly (Romina Colbasso), la figlia ingenua di Peachum, s’innamora del giovane delinquente, una figura antitetica al padre che disprezza, perché da troppo tempo ha confuso l’amore con la contabilità. Il mondo di ordine e di routine di una famiglia borghese si scontra, quindi, con il disordine di una città e la forza propulsiva di una ragazza che, abituata all’indifferenza e all’apatia di una madre sciatta e superficiale, ora ricerca il caos dei sentimenti veri, non più soggiogati dalla logica del denaro e della mercificazione.

A muovere l’intreccio della storia è un omicidio in una città che brucia. Brucia perché tutti vogliono controllarla ma nessuno sa realmente proteggerla. E qui si muovono le peripezie dei numerosi personaggi: quelle di un sindaco colluso, di una coppia innamorata, di un padre che sente minacciato il proprio potere e di un uomo che deve fare i conti col proprio destino.

Non c’è differenza tra criminali e persone rispettabili, sembra dirci Paravidino; il limite tra vittime e colpevoli svanisce in un’opera che rende tutti uguali, perché corrotti all’interno dei giochi di potere. Lo sfondo (nelle scene di Laura Benzi) è quello di una metropoli, una Gotham City dei fumetti, che si costruisce con accurati pannelli calati dall’alto in un fluido alternarsi, in grado di cucire insieme i vari quadri: lì vediamo un pestaggio in un vicolo nascosto, un incontro d’amore al bancone di un bar, le liti familiari nel soggiorno di casa, le confessioni sul tetto di un palazzo. In questo mondo di finzione non c’è più spazio per la fiducia o l’amicizia: domina invece il meccanismo del ricatto, dei compromessi e della corruzione. Perché ogni cosa ha un prezzo.

Nel dramma teatrale sembra già scritta, quindi, la storia dei vinti e dei vincitori. Emergono così delle questioni ancora tremendamente attuali, da quelle economiche, a quelle politiche e sociali: rivediamo un’epoca di rivendicazioni civili, di omofobia, xenofobia, razzismo, emarginazione. Un mondo irriverente e cinico che riesce a trovare il suo più autentico riflesso soltanto all’interno della sala di un teatro, con un cast che riesce magistralmente ad interpretare dei caratteri tanto ambigui quanto complessi.

Foto Luca GUadagnini

La pièce teatrale prodotta dal Teatro Stabile di Bolzano e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale si nutre anche della consolidata collaborazione con il direttore d’orchestra Enrico Melozzi, le cui musiche rock fanno da sfondo al dramma borghese di cui siamo tutti artefici e spettatori, colpevoli e vittime. Lo spettacolo di Paravidino si costruisce così attraverso una pungente ironia di incastri e contrasti, che oppongono la meschinità alla genuinità, la violenza all’amore, il cinismo alla speranza. All’interno di questa società intrisa di falsità ed inganni, senza eroi ed antagonisti, il teatro si appresta quindi a diventare un perfetto “meta-luogo” dove l’apparenza conta più della realtà effettuale. Condotti all’interno della complessità dell’animo umano, alla fine siamo chiamati dagli stessi personaggi a scegliere: siamo ancora in grado di perdonarli?

Andrea Gardenghi

Febbraio 2022, Teatro Elfo Puccini, Milano

PEACHUM
di Fausto Paravidino
regia Fausto Paravidino
scene Laura Benzi
costumi Sandra Cardini
con Rocco Papaleo, Fausto Paravidino
e con in (o.a.) Federico Brugnone, Romina Colbasso, Marianna Folli, Iris Fusetti, Daniele Natali
maschere Stefano Ciammitti
musiche Enrico Melozzi
luci Gerardo Buzzanca
video Opificio Ciclope
produzione Teatro Stabile di Bolzano  / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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