Al Teatro La Fenice di Venezia ha debuttato, in esclusiva italiana il balletto Marie/Antoinette di Thierry Malandain per Ballet Biarritz: per lo storico teatro italiano la programmazione della danza è già finita, ma il post-pandemia dovrebbe insegnare di più.
«L’estensione di questa capitale immensa e le turbolenze dalle quali ella è attualmente agitata, non ci permettevano di frequentarci quando avrei desiderato»: così scriveva Carlo Goldoni all’abate Manenti, il 20 maggio del 1791 a Parigi. È la violenza della storia: al sentimento dello spazio che opprime e al disordine degli uomini nuovi (la Bastiglia fu presa nel 1789), Goldoni può solo anteporre la nostalgia per una società della conversazione, del dialogo e dell’incontro che stava morendo. Non era miopia (anche se già cieco da un occhio: «La parte meno sana della mia macchina logorata sono i miei occhi»), ma consapevolezza di un cambiamento epocale in atto, del quale non sapeva più leggere i caratteri di sangue con cui si stava scrivendo la nuova Storia. Il brusio di queste turbolenze, sfocate e in lontananza, aprono e chiudono il balletto di Thierry Mandalain che ha debuttato in esclusiva italiana come secondo e ultimo (sic!) titolo della stagione di balletto del Teatro La Fenice di Venezia.
E questo brusio inquieto che apre e chiude lo spettacolo è l’idea più bella. Per il resto, si tratta di una coreografia narrativa nel genere biografico (su figure proverbiali amate poi odiate: ascesa e caduta del divo o potente di turno; ma davvero ci possono in qualche modo, in danza, oggi, attrarre motivi simili?). Genere peraltro scivolosissimo perché l’aneddoto che lo distingue difficilmente risulta efficace nei gesti, e finisce per risultare soltanto un generico monito di cui può sfuggire la necessità. Marie/Antoinette su musiche fin troppo ben scelte di Haydn e Gluck, concentra il suo plot sulla figura di Marie-Antoinette, bella frivola e impicciona regina di Francia, quando decide di trasferirsi a Versailles per sopperire alla solitudine e alla noia di un matrimonio deludente e tormentato. Questo suo mettersi fuori dalla Storia si concluderà con il ghigliottinamento nel 1789.
In scena, tutt’attorno un cielo sospeso di nuvole alla Tiepolo, ritmato da alte cornici color pastello, anch’esse senza inquietudini né dismisura (che pure sarebbero alle porte); un’altra grande cornice è mossa orizzontalmente dai danzatori (quindi di volta in volta tavolo, letto, recinto…), in un affanno compassato e monotono. Proprio come la coreografia di Malandain, incorniciata solo di ‘contorni’ perché incapace di contenuto. Le parti più fastidiose, e francamente volgari, sono quelle della seduzione e dell’eros: rotolate a terra al limite del ridicolo, amplessi didascalici (che nemmeno fra modiste…) e gattonate improbabili sotto sottane di dame poco poco perplesse, ma anche zero performative. Felice intermezzo, invece, è la (meta)rappresentazione a corte del Persée di Quinault e Lully: qui l’eroe decapita Medusa come profezia della Storia, ed è un vero peccato non poter ritrovare nel programma di sala indicati i nomi dei felicissimi interpreti di questa metascena.
Il problema più serio di questo lavoro è però la totale mancanza di vocabolario di movimento con cui far parlare la storia che qui si concentra. Dei corpi, solo i costumi (ripensati da Jorge Gallardo) sembrano davvero all’altezza di una idea performativa capace di eloquenza, mentre le musiche sovrastano di gran lunga in ricchezza dinamica le ristrette idee coreografiche. Anche la chiusura dello spettacolo, con l’avvento in scena di figure vestite di nero e il pugno in aria (sic!) che spazzano via il cielo di idillio della corte, è un modo un poco anestetico per fraintendere la violenza della Storia. Un invito senz’altro da non raccogliere.
Dopo la pandemia, c’è tutto un nuovo patto che deve essere siglato tra la scena e la platea: il pubblico deve tornare a sentire e a vivere lo spettacolo come una esperienza generativa. Di socialità, di cultura del corpo, di accesso agli affetti. Occorrono direttori, curatori e consulenti coraggiosi, con un minimo di opportunismo e un massimo di visione: non tanto per intercettare fondi (la dittatura dei bandi), o non solo per la conta dei turisti in città da sequestrare (la dittatura dei numeri).
Ma per quel tipo di radicamento sul territorio e intergenerazionale che deve essere nuovamente ristabilito, ripristinato, ricostruito. Difficile pretendere di chiudere nei teatri quei giovani che dalla reclusione domestica per pandemia si sono appena liberati. Occorre pensare e presentare loro esperienze di libertà e di trasformazione, che avvalorino il luogo performativo come uno spazio aperto di critica e di abbandono al sapere dei cuori, e alle trasformazioni del mondo. Il teatro e la scena possono scrivere questa nuova storia. E farla finita con l’utile cinismo neoliberale di chi alla fine conosce il prezzo di tutto, e il valore di niente.
Stefano Tomassini
Febbraio 2022, Venezia, Teatro La Fenice
Marie Antoinette | Malandain Ballet Biarritz (Coreografia Thierry Malandain)
Antoinette Claire Lonchampt
Louis XVI Mickaël Conte
L’Impératrice Marie-Thérèse Irma Hoffren
Louis XV Frederik Deberdt
La comtesse du Barry Patricia Velazquez
Le comte de Mercy-Argenteau Guillaume Lillo
Axel von Fersen Raphael Canet
Joseph II Jeshua Costa
Malandain Ballet Biarritz
Alejandro Sánchez Bretones, Alessia Peschiulli, Allegra Vianello, Claire Lonchampt, Clémence Chevillotte, Frederik Deberdt, Giuditta Banchetti, Guillaume Lillo, Hugo Layer, Irma Hoffren, Ismael Turel Yagüe, Jeshua Costa, Julen Rodriguez Flores, Julie Bruneau, Laurine Viel, Loan Frantz, Marta Alonso, Mickaël Conte, Noé Ballot, Patricia Velázquez, Raphaël Canet, Yui Uwaha