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Gentleman Anne. Revisioni di genere

Alla sala Fassbinder del Teatro Elfo Puccini, Elena Russo Arman ha portato in scena Gentleman Anne di Magdalena Barile, per una rivisitazione non solo del femminile ma dei codici narrativi tout court in una prospettiva non binaria.

Foto Laila Pozzo

Quando ci si propone di ricostruire il passato in virtù di una lettura che contribuisca a mettere in discussione e comprendere il presente emerge sempre lo stesso dilemma amletico: si tratta di tradire o tramandare? Non è una novità che la storia che abbiamo sempre studiato sia il monologo di una prospettiva dominante, quella borghese, conservatrice, maschilista. Eppure, esistono altre storie che non sono mai state raccontate perché non hanno trovato la libertà di una voce. Già negli anni Venti del secolo scorso Virginia Woolf aveva denunciato in un saggio una realtà che confinava le donne ad un domestico e perenne silenzio; impossibilitate a riconoscere la propria arte, le sorelle Brontë, Aphra Behn, Mary Ann Evans, Mary Shelley, Jane Austen, erano tutte scrittrici costrette a vivere nell’ombra dell’anonimato o sotto uno pseudonimo maschile per poter essere pubblicate e successivamente lette. Donne che hanno dovuto rinunciare alla propria identità per poter trovare voce all’interno di un libro. Una realtà degradante, questa, in cui a venir meno era la dignità di una donna che non si sentiva (e non era a tutti gli effetti) riconosciuta al pari di un uomo.

Questa discrepanza tra maschile e femminile, si sa, è una questione ereditata da generazioni e generazioni, forse troppo attente a rimarcare una viscerale differenza più che un’umana uguaglianza. E proprio per questo, il testo scritto da Magdalena Barile, Gentleman Anne e altre pièce femministe (edito da VandA edizioni), presentato dalla regia di Elena Russo Arman in anteprima nazionale all’edizione 2021 del festival Lecite/Visioni e ora portato sul palco del Teatro Elfo Puccini, vuole andare molto oltre la sola questione di emancipazione femminile per mettere in gioco quella dirompente del genere inteso in un orizzonte più ampio, quello della comunità LGBTQ+.

E se le sorelle Brontë fossero state lesbiche, Jane Austen un travestito e Lord Byron una trans? Sono domande che provengono dalla parlantina eccentrica di una giovane ragazza (Maria Caggianelli Villani), impegnata a scrivere una tesina di letteratura inglese. Salopette blu e  caschetto biondo, si rivolge alla sua insegnante rinunciando ad ogni senso del pudore. Parole schiette contraddistinguono la sua personalità frizzante e scandiscono un dialogo che oggi ci porta a guardare la storia della letteratura a ritroso, facendoci accorgere che ci sono delle dimenticanze e delle narrazioni non inclusive, e dalle quali derivano delle lacune. Si tratta di una pratica di smontaggio e riassemblaggio che rivediamo nei quadri-cornice del ricco scenario costruito dalla regista Elena Russo Arman. La tela di Tiziano “Diana e Callisto” della metà del Cinquecento viene infatti riproposta in maniera frammentaria, poiché scomposta e ricostruita per dare spazio a significati che pongono uno sguardo inedito sulla sessualità, anche nel mito. Un riferimento per nulla casuale, che invece sembra apparire come una dichiarazione di intenti della stessa regista.

Foto Laila Pozzo

«Se la rivoluzione che ancora ci aspettiamo dall’arte e dalla letteratura arriverà dalla sessualità o piuttosto se ci si debba liberare delle identità sessuali per fare la rivoluzione è ancora una questione eccitante del tutto aperta». E allora, il punto di partenza è quello di decostruire, pur sempre nel rispetto del tempo e della storia, per disvelare realtà taciute che riescano a tenersi lontane dal rischio della sovrainterpretazione. È così che la scena di un salotto tipicamente borghese diventa il luogo di due narrazioni, una presente e una passata, che si rincorrono e intrecciano, in un continuo gioco di rimandi. Al centro della scena due poltrone ricoperte di un telo azzurro pastello, poi mobili di legno con candelabri, tazzine da tè in stile inglese, un baule e libri, libri. Libri, tanti libri prima sparsi ovunque e poi meticolosamente riposti, quasi a volerli conservare o proteggere dall’irruenza di una ragazza che vuole rimettere in discussione la storia.

Foto Laila Pozzo

Al dialogo malizioso tra professoressa e alunna, e ai loro rapporti di potere, si alterna e corrisponde l’amore saffico di Anne Lister e Anne Walker, nobildonne dell’Ottocento inglese e protagoniste del primo matrimonio lesbico nella storia. La prima una donna spregiudicata, amante dell’amore e libera da ogni imposizione o condizionamento sociale. Un personaggio ammaliante che solo recentemente è stato riscoperto dalla critica (per esempio nella serie tv BBC-HBO del 2019, Gentleman Jack-Nessuna mi ha mai detto no) così come i suoi libri, diari segreti in cui annotava scrupolosamente i rapporti sessuali più scabrosi e gli investimenti pecuniari privi di alcuna morale. La seconda, invece, è una giovane frivola dal viso di porcellana, che si perde a fissare con meraviglia il pulviscolo nel vuoto di una stanza. Caratteri contrastanti, eppure capaci di essere un esempio nell’Ottocento (e oggi ancora) del coraggio di andare controcorrente, in una società che mostrava di procedere in un’unica direzione.

Foto Laila Pozzo

Il rumore reiterato di un temporale e lo scroscio della pioggia colmano il senso di un luogo che si costruisce come scenario della tradizione letteraria inglese. Fuori, la brughiera di cui ci sembra di avvertire ancora l’odore bagnato e una presenza/assenza misterica, rievocata talvolta dalle parole della memoria. E poi il silenzio di segreti nascosti, di tradimenti, di verità che con forza prorompente cercano di riemergere da un passato insidioso.
In un’opera tutta al femminile, dal testo, alla regia alle attrici, vengono innescati degli interrogativi che si nutrono della malizia e del teso gioco di sguardi e seduzioni abilmente innescato dalle due attrici, per poi farsi strada preponderantemente nella mente dello spettatore. E quello che rimane impresso a fine spettacolo è la dimensione di una curiosa e necessaria possibilità, quella che ci permette di allargare le maglie della storia tradizionale per dar luce a figure che «sono di grande ispirazione, per riempire gli spazi ‘non allineati’, quelli lasciati vuoti dal racconto monodimensionale del patriarcato», ci dice la regista. È la fiamma che nelle mani di Anne Walker, sul palco, è destinata a spegnersi; è la stessa che usciti dalla sala, ora, avvertiamo anche dentro di noi.

“Sprangate le vostre biblioteche, se volete; ma non potete mettere alcun cancello, alcuna catena, alcun lucchetto alla libertà del mio pensiero” (Virginia Woolf)

marzo 2022, Teatro Elfo Puccini, Milano

Andrea Gardenghi

di Magdalena Barile
regia Elena Russo Arman
con Elena Russo Arman e Maria Caggianelli Villani
luci Matteo Crespi
scene Elena Russo Arman, costumi Elena Rossi
musiche Alessandra Novaga
produzione Teatro dell’Elfo

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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