Recensione. Euripides Laskaridis in prima italiana porta al Teatro della Pergola di Firenze il suo ultimo provocatorio lavoro: Elenit.
Elenit è un materiale da costruzione, quello che in Italia si chiamava Eternit. E qui, da noi, evoca immediatamente l’amianto che rappresentò un grosso scandalo edilizio (e causa di decessi e malattie); a tal proposito dunque, se usato invece come materiale sensibile per un lavoro artistico, l’evocazione passa a indicare un messaggio, una intenzione civile. Ma non è questa l’idea di Euripides Laskaridis che torna in Italia per portare l’omonimo spettacolo, Elenit, sul palco del Teatro della Pergola di Firenze, anche coproduttore assieme al Théâtre de la Ville e molti altri partner europei: l’artista greco si è misurato con il materiale non per le conseguenze del suo utilizzo, ma come un termine capace di richiamare diverse associazioni mentali secondo il diverso uso che se ne fa, quindi è un vocabolo di servizio alla volontà di affrontare l’evoluzione del linguaggio, la frammentarietà dell’esistenza cui la realtà non corrisponde mai del tutto, l’infinita possibilità dell’arte che ne interpreta il turbamento.
È un palco altamente simbolico quello di Laskaridis, che dissemina di elementi significanti l’intero spazio scenico firmato da Loukas Bakas: una pala eolica quasi totemica su un lato della scena, gli abiti degli attori che si caricano di una abbondante, saettante immaginazione ed erompono nella vicenda come miccia esplosiva. Le luci di Eliza Alexandropoulou, mai nette, hanno spesso una consistenza nebulosa, spezzano la scena, vengono da direzioni molteplici e non la assecondano, ma la addensano secondo uno schema di forme che va dal cono alla dicotomia orizzontale/verticale; allo stesso tempo fuggono e si avvicinano, creano e tolgono spazio, espongono geometrie che svaniscono senza lasciare poi traccia. I costumi degli attori (di Angelos Mentis) offrono una forte connotazione ai personaggi, a cominciare dalla dama sette-ottocentesca indossata dallo stesso Laskaridis che, grazie al trucco cereo e alle protesi che producono una fisicità ipertrofica, si trasporta in un’altra dimensione, quella che tende al mostruoso, al non conforme.
Vi si innesta una narrazione che non è tale, perché procede per apparizioni a prima vista disarticolate, ma nella quale entra in dialogo l’opposizione sensibile di elementi: al grande si oppone il piccolo, all’armonia acustica fa da contrasto l’intersezione di strappi ululanti o la violenza tumultuosa della techno, sostenuta dalle luci stroboscopiche dirette verso la platea (il progetto sonoro è di Giorgos Poulios); la danza cerca coerenza al suono ma ne è infine corrotta, mentre la sonorità propria della voce, un grammelot fonetico che emerge da reazioni onomatopeiche, impedisce di acquisire senso lineare, sequenziale, lasciando ancora che sia il caos a dominare l’intenzione, come proprio appare l’universo secondo Laskaridis. La natura frammentaria della grafia rende lo spettacolo speculare alla percezione della realtà che l’artista dichiara nelle sue note, in cui la logica drammaturgica concede allo stupore delle immagini da osservare però come in uno specchio deformato, secondo una intenzione grottesca, metafora dell’esistenza; dichiara Laskaridis: “Io guardo me stesso, ma contemporaneamente prendo le distanze e riesco a vedere la mia tristezza e malinconia. Soltanto allora rido di ciò che sono e penso: mi rendo conto che i problemi che mi intristiscono sono in realtà di piccola entità”.
Seguendo dunque l’antischema dello stupore continuo, Laskaridis tenta l’impossibile di mantenere questa tensione all’apparire lungo l’intero spettacolo, investendo così tanto nel contrasto da farne poi, per converso, uno spettacolo corale, il cui continuo artificio dissonante sviluppa un’armonia polifonica; nel complesso, tuttavia, lo spettacolo non cambia mai di stato, dissemina così tanti elementi da stancare la percezione fino a che lo spettatore vi si nega, spossato. La continuità della reiterazione si inceppa e le immagini – potenti, molte, come l’apparizione dissacrante di Stephen Hawking – perdono il loro fascino, la ricerca della sensazionalità riesce solo in parte a sostenere la privazione della logica drammaturgica – e sarebbe il meno, se l’intenzione è quella di estremizzare la performance – ma più ancora sembra mancare una profondità realmente provocatoria, il cui rischio continuamente minacciato resta dunque un accenno, la cui crudeltà che sarebbe il complemento del buffonesco, della stravaganza, si attenua in una ripetizione prevedibile. Ciò che ne resta è pertanto il gioco e poco altro, mentre la forza dirompente che disorienta per effetto del vortice caotico in cui si manifesta, a lungo andare, se non inserita in una visione prospettica, svanisce con il suono, con la luce, lasciando infine che sia sempre la realtà a vincere, unica a rappresentare sé stessa.
Simone Nebbia
Teatro della Pergola, Firenze – Marzo 2022
// the things we know we knew are now behind
ideato e diretto da Euripides Laskaridis
con Eirini Boudali, Nikos Dragonas, Chrysanthi Fytiza/Amalia Kosma, Euripides Laskaridis, Dimitris Matsoukas, Efthymios Moschopoulos, Giorgos Poulios, Foivos Symeonidis, Michalis Valasoglou, Fay Xhuma
costumi Angelos Mentis
musica originale e sound design Giorgos Poulios
scene Loukas Bakas
luci Eliza Alexandropoulou
consulenza drammaturgica Alexandros Mistriotis
associate movement director Nikos Dragonas
un progetto di Euripides Laskaridis // OSMOSIS
produzione Onassis Stegi (Athens – GR)
con il supporto di Fondation d’entreprise Hermès nell’ambito di New Setting Program
in coproduzione con Théâtre de la Ville (Paris – FR), Teatro della Pergola (Firenze – IT), Pôle européen de création – Ministère de la Culture / Biennale de la danse de Lyon 2020 (FR), Teatro Municipaldo Porto (PT), Festival TransAmériques (Montreal – CA), Les Halles de Schaerbeek (Brussels – BE), Teatre Lliure (Barcelona – ES), Malraux – Scène Nationale Chambéry Savoie (FR), Théâtre de Liège (BE), Julidans (Amsterdam – NL), Bonlieu Scène Nationale Annecy (FR) in collaborazione con ICI—Centre Chorégraphique National Montpellier – Occitanie (FR)
in associazione con EdM Productions, Rial & Eshelman