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Abbiamo ancora gusto e senso critico? L’attesa, regia di Michela Cescon

Recensione. L’attesa di Remo Binosi, con Anna Foglietta e Paola Minaccioni. Regia di Michela Cescon. Visto all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Date tournée in calendario anche per il 2022/2023.

Foto Fabio Lovino

Continuo a chiedermi se sappiamo ancora riconoscere uno spettacolo di qualità, se le nostre platee abbiano il buon gusto per capire quando un attore o un’attrice siano in grado di sostenere il ruolo assegnato, quando un testo riesca a parlare al nostro tempo, quando la messinscena sia consona almeno a una grammatica generale minima: se dovessi basarmi sull’accoglienza positiva ricevuta da alcune importanti produzioni dovrei rispondere di no, purtroppo il nostro sistema teatrale riesce spesso a premiare la mediocrità.

Lo spettacolo allestito da Michela Cescon alla Sala Petrassi dell’Auditorium mette, ancora una volta, in evidenza la presenza di un preoccupante sortilegio: la perdita di qualsiasi acume critico di fronte a performance attorali decisamente fuori fuoco. E più in locandina sono popolari i nomi e più ci si sbraccia in applausi. Aiuta un tema che si vende bene (che si può far rientrare nelle pagine culturali dei giornali) e si aprono le porte dei grandi teatri, pubblici e privati… a chi importa se al nostro futuro stiamo consegnando un panorama mediocre. È un sortilegio in cui cadono gli spettatori, le produzioni, le direzioni artistiche e talvolta anche la critica, pure quella più stimata, come nel caso della recensione di Rodolfo di Giammarco uscita all’indomani della prima.

Foto Fabio Lovino

Nel grande palco della Petrassi si alza un muro ad angolo e viene mostrata la stanza della contessina interpretata da Anna Foglietta: dovrà rimanere qui nove mesi, fino al parto. La sua famiglia ha scoperto del frutto del peccato che le cresce in ventre e non vuole dare scandalo prima del matrimonio a cui è stata promessa. Con lei una serva, Paola Minaccioni, anch’essa incinta, tra l’altro dello stesso uomo, Giacomo Casanova. Siamo a Venezia alla metà del Settecento e le due sono costrette a stare insieme fino alla nascita dei bambini. Noi invece dovremo subire per quasi due ore un dialogo che vorrebbe giocare sul rapporto serva-padrona, la prima in dialetto veneto la seconda in un italiano ricercato, stentoreo, a tratti lirico. Il testo di Remo Binosi, del ’91, appare qui come un melodrammone a tinte forti: racconti erotici che generano attrazioni fatali tra le due donne, colpi di scena con tanto di finale tragico e innamoramenti improvvisi. E qui arriviamo al punto: la parodia involontaria del tragico. Anna Foglietta e la sua recitazione parossistica, indemoniata dall”inizio alla fine, anche quando nei passaggi temporali si sveglia, di mattina, e la prima cosa che fa è cominciare a ribollire di un veleno che vorrebbe essere naturale (per la famiglia e il mondo che l’ha chiusa nella sua stanza in attesa del parto) ma che invece è teatralmente innaturale, non verosimile nei suoi spasmi continui che sfiorano involontariamente la comicità. Il pubblico si aggrappa all’ironia – questa sì volontaria – della serva, che fa di tutto per salvare lo spettacolo e il testo di Binosi. Ma anche l’interpretazione di Minaccioni, di cui si apprezza il lavoro sul dialetto veneto, col passare dei minuti stanca, risultando ancora scolastica e senza cambi in grado di affrancarla da una certa monotonia.

Friggo per più di un’ora e mezza, sento qualche risata (grazie alla quale intuisco che non tutto il pubblico è perduto) per l’ennesima esplosione di rabbia inverosimile di Foglietta. Intanto continuo a domandarmi come sia possibile che la regista, Michela Cescon – attrice di lungo corso e talento tra teatro e cinema – abbia accettato una performance di questo livello o quale fosse l’idea che potesse sottendere a un’interpretazione così stereotipata (ma non segnatamente volta a ricercare uno stile volontariamente parodistico): gli slanci emotivi artefatti, il pathos incontrollato e quel cliché da vecchio teatro di maniera, con il quale, più volte, Foglietta gira il volto verso il pubblico con gli occhi sgranati di tensione.

Il giornalista, scrittore e drammaturgo veronese, Remo Binosi, influenzato dalla lettura delle memorie di Casanova aveva scritto questa storia (che divenne nel 2000 anche un film con la regia di Giorgio Treves) con un personaggio in più, quello della nutrice e poi aveva adattato la stesura per l’allestimento del ’94 ad opera del Teatro Due di Parma per l’interpretazione di Maddalena Crippa ed Elisabetta Pozzi e la regia di Cristina Pezzoli. A Binosi interessava anche il senso di costrizione della vicenda, non solo il tema della maternità e della resistenza femminile. E quella messinscena tra l’altro viveva di un escamotage suggestivo: lo scambio dei ruoli tra le due attrici. L’idea di Pezzoli era quella di privare l’interprete del «pieno controllo del personaggio».

Foto Fabio Lovino

E ci vorrebbe un tratto preciso, severo, per disegnare teatralmente questa vicenda, per farci percepire proprio il tempo in cui si attende, e per far esplodere la tragedia finale nel silenzio; arrivando così alla lucida e folle scelta: quale figlio dovrà morire? Qui invece la tragedia arriva all’improvviso con un colpo di scena ad effetto (tutt’altro che credibile); ma ciò che manca è proprio il controllo minimo: il pathos, il lirismo farlocco, le urla, i pianti corrodono anche certi affondi potenti del testo, come la riflessione sul desiderio femminile e sulla libertà di sentirsi donna ma non madre (non amo mio figlio afferma la contessina) che potrebbero essere ancora oggi tabù sui quali lavorare.

La platea però ride, soprattutto alle battute più facili e applaude forte le sue dive, come solo i veri fan sanno fare. D’altronde, a chi interessano talento e qualità quando si può avere il tutto esaurito?

Andrea Pocosgnich

Marzo 2022, Auditorium Parco della Musica, Roma

Leggi anche: Nella recitazione sta il nodo da sciogliere

Prossime date, repliche in tournée

08/11/2022 – 13/11/2022 | Milano (MI) | Carcano
17/11/2022 | Viterbo (VT) | dell’Unione
19/11/2022 – 20/11/2022 | Civitavecchia (RM) | Traiano Comunale
22/11/2022 – 24/11/2022 | Rimini (RN) | Amintore Galli
26/11/2022 – 27/11/2022 | Arezzo (AR) | Petrarca
03/02/2023 – 05/02/2023 | Mestre (VE) | Toniolo
14/02/2023 – 19/02/2023 | Verona (VR) | Nuovo
07/03/2023 – 08/03/2023 | Piacenza (PC) | Municipale
10/03/2023 – 12/03/2023 | Pordenone (PN) | Comunale Giuseppe Verdi
17/03/2023 – 19/03/2023 | Massa (MS) | Guglielmi Comunale
21/03/2023 | Correggio (RE) | Asioli
23/03/2023 | Fidenza (PR) | G. Magnani Comunale
25/03/2023 – 26/03/2023 | Bologna (BO) | Arena del Sole – Sala Leo de Berardinis
28/03/2023 – 30/03/2023 | Thiene (VI) | Comunale
04/04/2023 – 05/04/2023 | La Spezia (SP) | Civico

L’attesa

di Remo Binosi
con (in o.a.) Anna Foglietta, Paola Minaccioni
regia Michela Cescon
scene Dario Gessati
costumi Giovanna Buzzi
disegno luci Pasquale Mari
suono Piergiorgio De Luca
assistente alla regia Elvira Berarducci
produzione Teatro di Dioniso, Teatro Stabile del Veneto
in collaborazione con Fondazione Musica Per Roma, Teatro Stabile di Bolzano
ATCL Circuito Multidisciplinare del Lazio per Spazio Rossellini Polo Culturale Multidisciplinare della Regione Lazio
produzione esecutiva Teatro di Dioniso

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

8 COMMENTS

  1. Nel mio piccolo ne ho scritto anche io su FB e salverei la meraviglia di molti davanti a un testo e un’attrice. A mti a testro interessa soprattutto il testo, e questo esce fuori bene, una meraviglia appunto, pur in un allestimento in cui funziona solo la Minaccioni, concordo (e questa è la seconda meraviglia della serata, non me lo aspettavo proprio, avevo dei pregiudizi neri suoi confronti). Uscito di sala ho comprato il testo, e completerò a breve la lettura e l’analisi. Certo, le platee hanno un gusto non sempre in linea con il critico, ma questo vale pure quando i due gusti si allineano e tutti innalzano peana (come per il “pop”: francamente a me il romanzo, storico o no proposto in terza persona e con il cotè grottesco ha un po’ rotto le balle). La Cescon non è Strehler ma nemmeno Boldi….

  2. Bisognerebbe essere di mestiere quando si scrive,considerando si ha una decisa influenza sul lettore. Si è mediocri soprattutto quando si critica presuntuosamente, ritenendo di essere depositari di saperi e concezioni universali. E si rispetta il lavoro, di chiunque, proprio perché tale. Che non significa apporre parole come pacche sulle spalle, ma registrare e riportare con garbo e obiettività. Mi chiedo a chi si rivolge il “critico”, se non a se stesso quando semina verità presunte incontrovertibili e comprensibili esclusivamente a sé e ai suoi amichetti di merenda. Il giornalismo è un mestiere popolare, di traduzione, di trasmissione, non una masturbazione a cui si deve applaudire per performance…
    La critica dovrebbe essere arte di dissezione delle.strutture sceniche, i.meccanismi, cogliere riferimenti.artistici non identificabili per standard codificati. Altrimenti è esame, nel senso di valutazione con parametri. L’arte, l’espressione artistica, non si giudica per decaloghi. Impariamo l’umiltà…e il mestiere.
    E poi, quanta credibilità ha la penna di chi si fa pagare per pubblicizzare? A sto giro non si alza niente?
    Impariamo l’onestà…

    • Spartaco, immagino che lei si chiami proprio così… sarebbe stato bello metterci la faccia proprio come ho fatto io firmando l’articolo.

      Facciamo finta che questo mancato coraggio non screditi già il suo commento, tutto focalizzato nello spiegarci come deve essere il mestiere del critico secondo lei.

      Mi permetta appunto di fare il mio mestiere, come faccio ormai da anni, tutti i giorni, e dire due parole sulla sua fugace riflessione. Non rispondo neanche sulla banale accusa finale (facciamo finta che le sia scappata), altrimenti dovrei dirle che vuole provocare e basta. Però sarebbe interessante che lei, stavolta con il nome vero se possibile, ci spiegasse nello specifico dove la mia recensione non funziona; questo vorrebbe dire entrare nello specifico dei temi, dello spettacolo più che lanciare accuse generiche.

      Quando vuole possiamo parlarne.

      Grazie di aver letto.

  3. Ho visto questa sera lo spettacolo a Modena,. mi ritrovo nella sua recensione tranne per quanto riguarda l’interpretazione della Minaccioni, che ho trovato misurata nel muoversi con disinvoltura tra leggerezza e dramma. Sono rimasta piacevolmente sorpresa..Saluti

  4. Recensione gonfia di pregiudizi, figlia della presunta superiorità intellettuale di cui forse voleva essere attore o regista
    e ora si limita a scriverne

    • Ricordiamo sempre che per aprire un dibattito e dire la propria bisognerebbe spiegare perché non si è d’accordo: non basta tirar fuori le solite banalità e dire che il critico “voleva fare il regista…” (che davvero è un argomento un po’ imbarazzante ormai), è richiesta invece una certa capacità di analisi che smonti le tesi sostenute attraverso il lungo articolo (e non in tre righe). Saluti e grazie di aver letto.

  5. Visto questa sera a teatro, usciti un filo straniti e insoddisfatti. Torno e cerco recensioni, vorrei sapere se ancora ho senso critico o non capisco più nulla e dovrei solo applaudire.
    Ecco, Paolo, ora mi sento piu capita e trovo la sua recensione molto azzeccata. Mi spiace per i 2 commenti critici, paiono di parte, ma a dire il vero più di tutto mi spiace non mi sia granché piaciuto lo spettacolo, avrei davvero preferito uscire soddisfatta e conquistata da attrici e regista.
    A me è parso tutto troppo, o poco, forse anche. Troppa la Foglietta, purtroppo, in genere mi piace anche, che peccato. Qui è troppa, troppa, fin retorica con tutta quell’enfasi. A sprizzare pathos continuamente si rischia che quando davvero ci dovrebbe essere, il pathos, non lo si noti più, ogni parola così carica, dall’inizio alla fine. Troppo, l’ho già detto.
    Più realistica la Minaccioni, il veneto, le movenze, il capo chino, il tono.
    Le premesse c’erano, la possibile narrazione di una vicenda taciuta ma frequente, di gravidanze nascoste, di donne e classi sociali. Poi mi son persa e chiedo, visto che non conosco il testo originale di Binosi: tutto ciò che ho visto messo in scena è nel libro o ci sono aggiunte registiche? Sono davvero curiosa di saperlo perché nell’evolversi della storia ho trovato tutto molto paradossale, in scena ho visto movimenti e sentito parole inutili e ridondanti, non la narrazione di un affetto crescente e di un rapporto profondo (come leggo dalla scheda del libro), semmai una macchietta di esso con movenze inutilmente evocate e “ti amo” usciti dal nulla e totalmente decontestualizzati.
    Era l’occasione per trattare un tema, a me pare si sia persa. È il testo originale? È la regia? Grazie se leggerà e avrà indicazioni utili.

  6. Ho scritto Andrea o ora leggo Paolo… o il mio telefono si beffa di me o son fusa, sarà l’ora, mi perdoni il nome confuso.

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