In vista dell’assemblea cittadina di oggi 27 marzo, che si terrà a Roma alle ore 15 in Piazza Largo Argentina per ribadire l’urgenza di una visione condivisa e democratica delle politiche culturali, abbiamo parlato al telefono con una parte del gruppo che si è occupato dell’organizzazione.
La politica torna ad essere un fatto. E non nelle sedi istituzionali, o cosiddette del potere, torna nelle piazze, nei centri occupati, nelle fabbriche e nelle scuole. Le scorse settimane c’erano scuola e università a ribadire la propria voce contro lo sfruttamento dell’alternanza scuola-lavoro, venerdì 25 la manifestazione ecologista del movimento Fridays for Future ha interessato più di settanta cortei in tutta Italia, unita alla lotta delle lavoratrici e lavoratori della GKN sabato 26, ieri, a Firenze. Dopo l’anestetizzazione della pandemia, i diritti civili e sociali scaldano gli animi di una comunità estesa, eterogenea, trasversale, transfemminista e pacifista e in questi giorni sono molte le piazze in cui viene ribadita l’importanza della sostenibilità delle idee, dei corpi e dei luoghi a cui si legano, dell’ambiente, del lavoro, della scuola e della cultura. All’indomani dello sgombero dello spazio ecologista Berta Caceres e dopo mesi di silenzio rispetto le modalità tramite cui il Teatro di Roma commissariato verrà ripensato nel passaggio da Associazione a Fondazione, la comunità che popola gli spazi teatrali e culturali insieme alla cittadinanza si riunirà oggi in assemblea a Largo Argentina per chiedere pubblicamente «quali tagli ci sono in corso? A quanto ammonta questo debito? Perché ricade sulle spalle delle figure più fragili, sulle figure che già erano le meno tutelate? Cosa accadrà nel passaggio a Fondazione?». Al Teatro India, Teatro di Roma, sono saltati dal mese di aprile in poi gli spettacoli di Fabio Condemi, Sotterraneo e Muta Imago, al Teatro Argentina invece Bros di Romeo Castellucci, sul sito è possibile fare un confronto tra la cartella stampa presentata il 21 dicembre 2021 e il programma attuale. Davanti a una situazione di crisi per la quale il teatro della Capitale possiede un ingente buco di bilancio (di cui si parla ufficiosamente da tempo), saltano parte degli spettacoli, non si conosce ancora il futuro dei Teatri in Comune, se resteranno nella gestione del nazionale o meno, e del Teatro Valle; il Commissario Gianluca Sole, insignito di occuparsi del percorso che porterà alla nascita della Fondazione (abbiamo chiesto un’intervista che, dopo alcune settimane dalla richiesta, ci è stata accordata per dopo Pasqua), dopo essersi confrontato con il Capo di Gabinetto Albino Ruberti e con l’Assessore alla Cultura Miguel Gotor, ha deciso di non concedere una discussione pubblica appellandosi alla non disponibilità degli spazi del teatro perché già impegnati, rilanciando un incontro a porte chiuse con una delegazione del movimento. Ma la comunità non ci sta e si autorganizza, in continuità con lo spirito di rivendicazione che alimentò le giornate di occupazione del Globe Theatre lo scorso anno.
Per questo abbiamo deciso di metterci in dialogo con le esigenze di questa piazza e, attraverso un confronto telefonico, abbiamo parlato con alcuni/e che si sono occupati/e dell’organizzazione dell’assemblea.
Veronica Cruciani, regista: Io sono molto preoccupata e le voci che girano attorno a questo grave deficit economico non aiutano. E parlo di “voci” perché, nonostante la nostra volontà di dialogo che abbiamo cercato di portare avanti con l’istituzione in queste settimane, non abbiamo ottenuto nessuna comunicazione ufficiale e non c’è partecipazione attiva da parte del Commissario Sole. Il buco di bilancio però si manifesta eccome, attraverso produzioni, collaborazioni, repliche che saltano. Navighiamo a vista in una situazione che grava sulla nostra pelle di categoria già provata da due anni di pandemia e che ora soffre di questa politica di tagli: ricordiamolo, la scelta di sacrificare alcuni progetti al posto di altri è sempre una scelta politica. In questo percorso da Associazione a Fondazione non c’è dunque partecipazione democratica, né informazione, né confronto. E ciò avviene in una città in cui il contemporaneo, mi riferisco a teatro e danza, è continuamente sotto attacco: gli spazi chiudono o sono minacciati di chiusura. Cosa accadrà al Teatro India, si andrà avanti o si resterà fermi? Se penso a molte e molti dei miei colleghi, Lisa Ferlazzo Natoli, Deflorian/Tagliarini, Lucia Calamaro, Mssimiliano Civica, penso a loro come a degli esuli. Come lo sono io, del resto. La Febbre, il mio ultimo spettacolo andato in scena al Teatro India, è stato passato ad ERT come nuovo produttore, voglio dare un futuro ai miei progetti per i quali ho lavorato e al momento al TdR mi hanno detto che non è possibile. Ma senza progetti artistici, come va avanti il teatro, di cosa si nutre? Perché noi artisti e lavoratori non siamo considerati delle risorse per questa città? La situazione è grave al punto che questa crisi non riguarda più soltanto la città di Roma ma coinvolge anche la dimensione nazionale, molti teatri non hanno più intenzione di coprodurre o finanziare progetti con il TdR.
Sylvia De Fanti, Collettivo Angelo Mai: Come Angelo Mai, centro di produzione indipendente, siamo in un crocevia di questioni amministrativo culturali che riguardano la delibera 26 e che ci pongono in connessione con tanti altri spazi, coi quali condividiamo lo stesso problema e che l’amministrazione non è riuscita a risolvere. Facciamo parte di un sistema culturale allo sfascio totale e questa deriva affonda le sue radici in molti anni addietro, non è di oggi. Lavoro e università sono soggetti a una continua dismissione e a continue privatizzazioni mascherate in pubblico. Il pubblico viene gestito come se fosse privato, con atteggiamenti familistici e senza alcuna meritocrazia. Oggi il mio intervento si focalizzerà sul modo in cui decidiamo di riaprire il discorso pubblico sul pubblico e su questa scellerata gestione portata avanti da anni. Cosa stiamo creando per le future generazioni? Noi, spazi indipendenti non siamo marginali anzi, ma centrali, siamo una costellazione di luoghi che non solo devono continuare a vivere e produrre ma devono essere resi capaci di creare una trasmissione.
Leonardo Delogu, artista per il collettivo DOM: Il 27 marzo è anche la Giornata mondiale del teatro, è paradossale che questa formalità istituzionale si scontri poi con l’attualità di una situaizone di estrema difficoltà. Per quanto ci riguarda, noi eravamo artisti residenti presso il Teatro India, Teatro di Roma, nel progetto Oceano Indiano e ora non lo siamo più. Il passaggio è avvenuto in maniera del tutto non ufficiale senza sapere quale sarebbe stato poi il nostro ruolo. Dal punto di vista pratico, non abbiamo più ricevuto la newsletter nella quale eravamo inseriti, nessuna mail che ci avvisasse, abbiamo ancora le nostre cose in magazzino da recuperare. Abbiamo preferito non prendere impegni per le nuove produzioni del 2022, non ne avevamo voglia, il percorso è stato difficile e faticoso anche quando la situazione della direzione era più stabile. Continueremo questo progetto chiamato Wild Facts a cavallo tra la danza e la filosofia, la cui prima edizione si tenne al Teatro India, ma abbiamo deciso di portarlo altrove, in strada. Non abbiamo voluto interloquire con il TdR per una produzione nel 2022 a causa di un’ingente insolvenza sulla produzione del ‘21 che ci ha messo in grande difficoltà economica, abbiamo pagato con netto ritardo i nostri collaboratori e non abbiamo pagato noi stessi. Se questi problemi di liquidità fossero stati esplicitati sarebbe stato diverso, sia a livello di orientamento che di organizzazione riguardo le tempistiche tramite cui capire quando avere i soldi, mentre non c’è mai stato dialogo. Alla mancanza di risposta abbiamo chiesto a un avvocato di intervenire ed eravamo pronti a inviare una lettera d’ingiunzione, se non fosse che, al momento dell’avvertimento, l’amministrazione ha finalmente risposto garantendo la liquidazione e versandola nel giro di qualche settimana.
David Ghollasi dell’assemblea Autorganizzati Spettacolo Roma (Asr) e RISP (Rete intersindacale dei lavoratori dello spettacolo): Ho la qualifica di elettricista di palcoscenico all’interno del Teatro del Lido di Ostia, uno degli spazi che il Teatro di Roma gestisce direttamente o indirettamente dal 2017. La mia situazione, come quella di altre precarie e precari del teatro, è quella di andare incontro a una trasformazione, da Associazione a Fondazione, che a tutti gli effetti, è a oggi avvolta nell’oscurità sia per quanto riguarda le vicende lavorative di ognuno e ognuna di noi che per le politiche culturali. Al momento non sappiamo quale sarà la natura di questa nuova Fondazione, quali i luoghi che vi faranno parte, i tagli occupazionali e il passaggio è attualmente privo di trasparenza e democratizzazione delle scelte. Sono due gli ordini di problemi per i quali l’assemblea rappresenta un momento di unione: il primo riguarda la contingenza relativa agli artisti programmati in cartellone che si sono visti saltare le repliche nonostante fosse chiesto loro di presenziare in conferenza stampa. Tali tagli per il TdR sono dovuti a un previsionale di spesa eccessivamente alto e in perdita, per il quale sono stati riprogrammati alcuni spettacoli tra dicembre e fine stagione. Il secondo ordine di problemi riguarda a livello più generale quale sarà il futuro del teatro e il meccanismo produttivo che contraddistinguerà la direzione, che ricade sugli stagionali, e da cui derivano degli abusi d’ufficio rispetto contratti di scrittura legati a determinate produzioni. Ci sono poi i tecnici precari, i lavoratori a prestazione per il botteghino, le maschere che si occupano dell’accoglienza, e anche i lavoratori precari in ufficio. È evidente quindi che siano stati fatti degli errori da parte della direzione nel pensare il calendario eventi da ottobre a giugno. A una maggiore produzione bisogna immaginare una maggiore tutela di diritti e di salari, ed è deprimente che la nuova giunta appena insediata non voglia dialogare pubblicamente sulle future prospettive culturali con le comunità che vi sono legate. A questo si aggiunga inoltre la paura di un’involuzione nella scelta dei programmi, che non riguarda solo Roma ma tutto il Paese e che punta a spettacoli mainstream. A due anni dalla pandemia ci uniamo anche alle manifestazioni in diverse città di questi giorni: facciamo parte dello stesso tessuto comunitario che prova a difendersi e a contrattaccare per uscire fuori dalla logica del profitto che livella e schiaccia.
Lisa Ferlazzo Natoli, regista nella compagnia casadargilla: Non vorrei che questa nostra mobilitazione arrivi alle istituzioni, per disabitudine all’ascolto o per nostra mancanza di chiarezza, come una lamentatio. Non ci stiamo lamentando, non stiamo questuando, al contrario vogliamo essere implicati perché siamo preoccupati di quanto questo dono di persone, artisti, comunità, progetti, luoghi possa andare perduto. Se si perde, non esiste più la città. Il buco è reale, è un dato evidente e ci sono anche coloro che stanno facendo il possibile per salvare il salvabile ma non viene reso trasparente, alla luce dei problemi di governance che vanno avanti da anni e che sono stati aggravati anche dalla pandemia. Il buco di bilancio non tiene conto inoltre del debito accumulato dal Teatro di Roma nei confronti degli altri teatri sparsi sul territorio nazionale in materia di coproduzioni: se le istituzioni lasciano cedere il TdR, cede tutta la rete nazionale. I teatro della capitale non parla alla città, non informa il pubblico e sta decidendo così di diventare un non luogo. Basti pensare alla biglietteria, dalla quale non risponde nessuno, dove si è obbligati ad andare per il cambio o acquisto dei biglietti, e che, di sera, è gestita da un service. È un miracolo che gli spettatori continuino ad andare a teatro nonostante la pandemia, vogliamo perciò accompagnarli? Soprattutto in un momento in cui assistiamo alla straordinarietà di energie artistiche che attrae questa città, e continua ad attrarre da anni a dispetto dei problemi diffusi (si legga a tal proposito l’articolo firmato da Christian Raimo su La Repubblica Roma ndr). Un teatro nazionale è un ecosistema, fatto di luoghi e realtà eterogenee, e che come tali devono essere presenti; gli spettacoli saltati a India dimostrano invece quanto questo spazio sia diventato un costo e quindi un peso nell’ottica di una messa a posto dei conti, e in questa operazione non c’è nessuno che stia fermando il Commissario Sole. Come casadargilla abbiamo dovuto accettare che il debutto del nostro Il Ministero della Solitudine venisse spostato al 2023 al Teatro di Roma sperando e fidandoci che venga rispettata questa promessa. La preoccupazione è che un lavoro (prodotto anche dalla stessa casadargilla ndr) di lungo setaccio, che ha scavato nelle anime, abbia una data di presentazione così lontana che possa trasformare l’identità degli artisti e del lavoro. Io non so cosa mi succederà nel 2023(*).
Valerio Sirna, artista per il collettivo DOM: L’assemblea giunge in un momento di mobilitazione nazionale, ed è fondamentale ribadire la trasversalità della lotta. Veniamo dallo sgombero di Berta Caceres avvenuto giovedì mattina (24 marzo ndr) e in questi due giorni ci saranno in piazza sia le manifestazione ecologiste di Fridays For Future che i lavoratori, e non solo, della GKN. L’azione del Teatro di Roma è di tipo machista, lo dimostra l’atteggiamento avuto anche questa estate da parte del sindacato dei tecnici, e per questo la risposta e la lotta non potrà che essere transfemminista e intersezionale. Ci opponiamo ai comunicati redatti dal loro sindacato Libersind, intrisi di retorica alquanto fascistoide, che attaccano i progetti artistici difendendo la casta alla quale appartengono. Oltre alla gravità politica di simili dichiarazioni, è doloroso che non si riesca a partecipare congiuntamente, che le persone si dividano quando in realtà lavorano nello stesso luogo e a stretto contatto. Quello a cui siamo legati al teatro della nostra città è una continua contrattazione, è sfiancante. Tutto ciò avviene all’indomani di un periodo in cui si è ragionato attorno a temi come la formazione gratuita e retribuita, alle residenze provviste di budget, di apertura alla città con percorsi di formazione, programmazione “contaminata” da progetti internazionali e di sperimentazione. Considerato questo stato attuale, siamo molto preoccupati rispetto alla prospettiva di questa nuova direzione, temiamo che ci sia alla base una strategia volta ad accumulare consenso, con spettacoli di intrattenimento e sul sacrificio di progetti artistici che creano complessità, che hanno bisogno di tempi di ricerca. Ma non è responsabilità solo del teatro, il vero deus ex machina è anche il Ministero: perché non si possono ricapitalizzare le risorse per sanare il debito come è stato fatto all’epoca per il Teatro Eliseo?
Emilia Verginelli, artista e referente per lo spazio di comunità Fivizzano27: Il problema più urgente è ora la trasparenza, come aver fatto saltare gli spettacoli a India per i quali erano stati ricevuti i contributi ministeriali, per i quali le compagnie avevano investito tempo, risorse e energie senza ricevere neanche una motivazione e comunicazione di questi annullamenti o spostamenti. C’è una stanchezza da parte degli spazi indipendenti che non trova interlocuzione costruttiva; nonostante il grande lavoro che facciamo sul territorio con altri luoghi coi quali siamo in costante contatto, noi non riceviamo nessuna dimostrazione di interesse o ascolto umano rispetto ai nostri progetti. Non siamo inseriti in una visione che ci comprenda e se manca il dialogo si disumanizza ogni tipo di confronto: il teatro crea comunità, si fa con le persone. E poi c’è un dato di fatto, noi non possiamo essere totalmente autonomi perché ci mancano le risorse economiche. Questo mio discorso va oltre Roma, tutti i teatri nazionali dovrebbero inserire maggiormente le produzioni indipendenti nelle loro stagioni, ragionare insieme, grandi e piccoli, e rischiare anche con progetti che sono fragili e hanno bisogno di tempo. Luoghi come il Teatro India, sono luoghi di incontro, scambio intergenerazionale e creazione, il cui futuro non può, e non deve, essere messo in discussione.
Lucia Medri
(*) Aggiornamento del 1 aprile 2022 ore 13
La regista Lisa Ferlazzo Natoli specifica: «È del tutto naturale che dalle conversazioni telefoniche alla forma scritta si perdano o vengano dati per scontati – innanzitutto da chi parla – alcuni passaggi, anche decisivi. In questa occasione, per la delicatezza degli argomenti che ho trattato nella stessa intervista e per rispetto di tutti i soggetti coinvolti, ci tengo a precisare il mio pensiero riguardo alla produzione in atto de Il Ministero della Solitudine – una produzione ERT/Teatro Nazionale, in co produzione con Teatro di Roma-Teatro Nazionale, Teatro Metastasio di Prato. Data la situazione attuale del Teatro di Roma, come casadargilla abbiamo dovuto elaborare che la presenza a Roma del nostro Il Ministero della Solitudine – un processo complesso di oltre due anni che debutterà a VIE Festival in ottobre- venisse spostata al 2023. Il contratto di co-produzione è stato firmato e non ne sottovalutiamo l’importanza e il valore, ma nel naturale disorientamento collettivo di questo periodo – e nel pieno di una transizione delicatissima del Teatro di Roma – è inevitabile che questo spostamento destabilizzi il lavoro, renda difficile immaginare oggi concretamente l’orizzonte e ci richieda una temperanza che si traduce in speranza e fiducia che venga tutelata una promessa di futuro».
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