Recensione. Uno, nessuno e centomila al Teatro Out Off di Milano, con l’adattamento di Renato Gabrielli e la regia di Lorenzo Loris. Dal romanzo di Luigi Pirandello del 1926 che indaga i confini percettivi dell’identità umana.
Il tentativo di fuga da un’identità esplosa è quello a cui assistiamo sui sedili del Teatro Out Off di Milano. Ad essere rappresentato è l’enigma per cui «io non concludo e la vita non conclude», emblematico assunto del romanzo Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello. Riadattato per il teatro contemporaneo dal drammaturgo Renato Gabrielli e presentato in prima nazionale con la regia di Lorenzo Loris, lo spettacolo porta in scena le avventure rocambolesche di Vitangelo Moscarda, un uomo come tanti, che improvvisamente si ritrova al centro di un dramma esistenziale: il suo.
E sul palco del teatro, è proprio lui a fare la prima comparsa, Vitangelo Moscarda, o Gengè per gli affetti più cari. La sua apparizione, costellata da una cascata di luci luminose (Luigi Chiaromonte), dà l’avvio ad un monologo che ha già tutta quell’amara consapevolezza di una sconfitta che non lascia spazio se non alla lucida rassegnazione. Gengè non sa più qual è il suo nome. Non lo ricorda. Si sforza e arrovella, ma nella mente non lo trova. In realtà è anche il suo spirito a non avere identità, i suoi ricordi, la sua vita.
Tutto sembra sprofondare negli abissi imperscrutabili dell’incertezza finché ad emergere sono gli echi di parole, parole che rievocano un nome, quello di Vitangelo Moscarda. Rigettati nel passato attraverso la sfera del ricordo, ripercorriamo quindi le vicende di un uomo, figlio di un banchiere usuraio, che nella placidità di una giornata come tante si accorge di non apparire agli altri come lui si vede. All’immagine iniziale di Moscarda Uno (Gaetano Callegaro), si aggiungono triplicandosi Moscarda Due e Moscarda Tre (Stella Piccioni, Mario Sala); personaggi sinistri, un po’ prepotenti e decisamente ambigui, che si scontrano facendo a boxe e si mescolano indossando la propria maschera, interpretando contemporaneamente sé stessi e gli altri, in un gioco di intrecci che volutamente finisce per lasciare perplesso lo spettatore sull’identità di ciascuno.
«Abbiamo cercato di trasformare» dice Gabrielli «quello che effettivamente è un monologo, in un dialogo. Il risultato è un dialogo interiore tra diversi aspetti della stessa figura narrante, che nella nostra ipotesi si divide in tre». Plurime personalità a cui lo spazio di palcoscenico e proscenio non basta, esse errano per tutto il teatro e invadono la platea, finendo per entrare dentro ognuno di noi. Tutti gli attori sono Moscarda ma sono anche la moglie, l’amministratore Quantorzo, la vicina Anna Rosa. Sono tante sfumature eppure nessun colore di preciso. Tante maschere con cui convivere ma nessuna con cui Gengè possa identificarsi. Attraverso un’acuta ed equilibrata rappresentazione teatrale, la regia di Lorenzo Loris riesce a scavare all’interno dei singoli personaggi, lasciando che da ognuno di loro emergano le riflessioni non più solo di Moscarda, ma forse quelle di un’umanità intera che si vede sulla scena per la prima volta.
Questa destrutturazione dell’io in molteplici visioni altre da sé trova suggello negli accurati riferimenti visivi di Stefano Sgarella; nei pannelli che circoscrivono l’azione di tutti i personaggi (e si potrebbe anche dire di nessuno di essi) vengono proiettati quadri di Delaunay e di Picasso, simboli non solo di un’astrazione e scomposizione identitaria ma anche di una possibile ricostruzione a partire da una realtà frammentaria ed estremamente complessa. Un espediente che mostra come il problema della percezione, nel primo Novecento, fosse una questione indagata da numerosi ambiti della cultura, nelle sue più diverse forme espressive. Un’eredità che arriva fino ad oggi e che continua a mettere in crisi i tradizionali sistemi di visione di sé e del mondo, soppiantati da tecnologie che consentono un’autoesposizione senza precedenti (e una proliferazione di identità allarmante, tanto che alla fine si rimane più perplessi su chi non si è).
Attraverso la coproduzione del Teatro Out Off e delle Manifatture Teatrali Milanesi, lo spettacolo di Lorenzo Loris dimostra, quindi, la necessità di continuare a scommettere ancora su uno dei classici della letteratura del Novecento, un lavoro ‘in corso’ che il regista sta svolgendo con autori che vanno da Calvino a Gadda, da Buzzati a Parise fino a Moravia.
E sullo sfondo di questa rappresentazione teatrale ciò che lascia impresso è la solitudine profetica di chi non ricorda il nome né di oggi né di ieri. Non si tratta più di una fuga da sé stesso né di un remissivo fallimento, ma forse di una possibilità che il protagonista accoglie, comprendendo come è soltanto svincolandosi da un’identità prestabilita che l’uomo riesce ad acquisire la più autentica delle libertà, quella di essere, ovunque e in ogni istante, uno, nessuno e centomila.
Andrea Gardenghi
Teatro Out Off, Milano – Gennaio 2022
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
adattamento Renato Gabrielli
Con Gaetano Callegaro, Stella Piccioni, Mario Sala
regia Lorenzo Loris
musiche originali Filippo Ferrari, Alessandro Papaianni, Pietro Rodeghiero, allievi della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado del corso di composizione (IRMus)
scene Luigi Chiaromonte e Lorenzo Loris
costumi Nicoletta Ceccolini
interventi visivi Stefano Sgarella
luci Luigi Chiaromonte
maschere Gianluca Sesia
coproduzione Teatro Out Off – MTM Manifatture Teatrali Milanesi