Abbiamo contattato il regista veronese Matteo Spiazzi che avrebbe dovuto debuttare con il suo spettacolo The Ball al Teatro Nazionale Accademico dell’Operetta di Kiev. Uno scambio, via WhatsApp avvenuto il giorno seguente all’ inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Aggiornamento: alla fine dell’ intervista il racconto del progetto di ospitalità e formazione dedicato agli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica di Kiev
Ieri (25 febbraio), sulla sua bacheca Facebook, Matteo Spiazzi ha scritto: «Amici, anche oggi stiamo bene./ Chiamata alle armi per gli uomini dai 18 ai 60 anni./Colleghi amici studenti con cui fino a ieri si parlava di arte e di teatro, da oggi imbracceranno fucili per difendere la propria gente il proprio paese le proprie case…/Amo la gente e il popolo ucraino!/Il mio pensiero va ai miei studenti più giovani, quelli che non hanno ancora vent’anni e alcuni nemmeno una formazione militare».
Sempre su Facebook nella giornata del 24, sulla pagina del Teatro Nazionale accademico dell’Operetta di Kiev, apparivano poche parole e una foto del teatro, per annunciare la sospensione dei lavori. Una breve comunicazione che terminava così: «prendiamoci cura gli uni degli altri. Noi crediamo nell’Ucraina». Ieri, è apparsa anche la richiesta di aiuto dei ballerini del Kiev City Ballet bloccati in tournée a Parigi. Manifestazioni di condanna all’attacco di Putin sono giunte da Elena Kovalskaya curatrice e critica teatrale russa, nonché direttrice del Teatro Statale e Centro Culturale Vsevolod Meyerhold di Mosca e da Oksana Lyniv, ucraina che da gennaio 2022 è la Direttrice musicale del Teatro Comunale di Bologna, prima donna a ricoprire questo ruolo in una Fondazione lirico-sinfonica italiana. Entrambe si sono schierate apertamente come viene riportato su Klp Teatro.
Appena cessato l’allarme aereo, e dopo un rapido accordo qualche ora prima, Spiazzi inizia a parlarmi mandandomi un vocale su WhatsApp, si presenta e mi spiega il suo lavoro di questi mesi a Kiev, e quello di anni nell’est Europa. È un regista, attore e pedagogo teatrale di origine veronese, ha all’attivo spettacoli a Minsk in Bielorussia e Estonia, uno a Mosca, due in Slovenia; ha lavorato anche in Austria per una compagnia indipendente, in Polonia, insegnato al DAMU di Praga…Con lui c’è Katia Tubini, coreografa e insegnante di teatro danza. Dal vocale si percepisce la confusione intorno a lui e ogni tanto il suo ragionare rallenta o si ferma per cercare di capire cosa succede nel rifugio…
Come state?
Adesso ci troviamo in una sorta di rifugio, siamo più o meno al sicuro, e per questo ringrazio di cuore l’ambasciata italiana per l’assistenza. Ognuno qui si sta dando da fare, ci stiamo organizzando coi connazionali per darci tutto il sostegno possibile e aiutarci in un momento come questo. Come puoi sentire l’allarme aereo è rientrato e appena ce ne sarà un altro saremo richiamati nel seminterrato.
Kiev prima del 24 febbraio. A cosa stavate lavorando?
Io e Katia siamo venuti qui in Ucraina per la realizzazione di questo spettacolo che avrebbe dovuto debuttare proprio oggi (ride nervosamente, ndr)…la situazione che stiamo vivendo è davvero terribile… Sono qui da dicembre mentre Katia mi ha raggiunto i primi di gennaio (per lei è la prima esperienza a Kiev ndr). Abbiamo iniziato la lavorazione dello spettacolo presso il Teatro Nazionale Accademico dell’Operetta di Kiev con un allestimento intitolato The Ball, ispirato a Ballando ballando di Ettore Scola, che racconta la storia d’Italia partendo dagli anni Ottanta per fare un salto indietro nella Belle Époque e poi tornare negli anni Ottanta. Lo spettacolo non ha molto a che fare col film perché di fatto è un lavoro che potrebbe rientrare nel genere del musical con musicisti, danzatori e cantanti. È un’opera complessa, che vedeva in scena una quarantina di persone coinvolte, tra doppio cast e maestranze.
È la tua prima volta in questa città?
Lavoro da anni qui e sono molto legato a Kiev in cui ho amici e colleghi. Oltre a The Ball, e all’insegnamento nelle accademie di arte drammatica, a settembre avrei avuto un progetto su I due gemelli veneziani con il Left Bank Theatre di Kiev. Gli spettacoli qui in Ucraina sono stati tutti sostenuti dall’Istituto italiano di cultura; il primo, Family Album, ha visto il suo debutto nel 2019 proprio al Left Bank e ha ricevuto il premio come miglior spettacolo sperimentale al GRAfest 2020, poi la scorsa estate a giugno 2021 ho debuttato con Momenti che, fatalità, racconta la storia dell’Ucraina dagli anni Settanta del periodo sovietico fino al 2004, che è la prima rivoluzione arancione, passando per l’indipendenza dell’Ucraina… mi sembra assurdo parlare di questo lavoro oggi in cui prende un significato completamente diverso.
Come stavano procedendo le prove prima del debutto?
Proprio due giorni fa è stato grandioso. Sia a livello lavorativo che a livello umano abbiamo trovato grande accoglienza, non solo da parte delle persone qui in città, ma anche dai lavoratori del teatro coi quali si è creato un connubio straordinario.
La guerra come ha interrotto la vostra quotidianità e qual era la percezione dall’interno, ve lo aspettavate?
La gente mai avrebbe pensato che si sarebbe arrivati a una simile situazione, non se l’aspettava nessuno, ed è ancora più agghiacciante. L’altro giorno parlavamo di arte, di teatro, di come interpretare un ruolo, ci arrabbiavamo per un’entrata non fatta, una luce sbagliata, abbiamo detto ‘ma sì il costume lo sistemiamo domani’, ‘maestro i tempi dell’orchestra’, ci siamo persino lamentati di non avere il timetable…
E ora?
Alcuni delle ragazze e dei ragazzi coinvolti in questo spettacolo hanno tra i diciassette e i diciannove anni, ora siamo in contatto con loro, sono soli a casa o nelle cantine, e quelli più giovani con cui ho parlato stanno valutando di entrare nella Resistenza armata. Stanno iniziando infatti a organizzarsi gruppi di civili, ed è terribile che a diciannove anni si debba fare la guerra.
Quali sono i tuoi pensieri adesso?
Stiamo aspettando che la situazione sia più tranquilla per poter rimpatriare. Il pensiero non è a noi ma a casa, ai genitori e alla gente che ci ama e aspetta. Siamo venuti qui per fare il nostro lavoro e la priorità è quella di voler tornare in Italia certo, ma per il momento vorremmo davvero cercare di dare un aiuto concreto qui. Per quanto è in nostro potere.
Aggiornamento 3 marzo 2022 ore 16:20
Dal rifugio nella residenza dell’ambasciatore – dove erano protette altre cento persone e una decina di neonati per cui era necessario razionare cibo e acqua – Matteo e Katia hanno cercato di dare una mano ai connazionali per poi decidere, sotto propria responsabilità, di prendere un pulmino fornito dal governo ucraino e di essere accompagnati in un paesino vicino al confine, dove sono stati ospitati per una notte da una signora amica di una persona che era sul convoglio. Il giorno dopo sono stati accompagnati al confine moldavo e sono riusciti a sconfinare, da lì con la mediazione dell’ambasciatore italiano in Moldavia, sono riusciti a prendere un aereo dalla Romania. Ribadendo al telefono la fortuna avuta unita al profondo e commosso rimpianto di lasciare amici e colleghi sotto le bombe, una volta tornato a Verona (il 28 febbraio) Matteo ha iniziato a scrivere un progetto dal titolo Stage for Ukraine che consta di tre parti.
«Vogliamo non solo offrire ospitalità ma sostenere un percorso che possa far sentire i ragazzi e le ragazze meno soli permettendo loro di continuare a studiare». La prima parte, la più importante, e che è già stata attivata, riguarda l’ospitalità di alcuni degli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica di Kiev per far continuare loro gli studi di teatro in Italia. Tra poche ore dovrebbe infatti arrivare la prima studentessa con la madre che starà per il momento a casa di Matteo. La prossima settimana invece, dovrebbero arrivare altri cinque studenti, e nel frattempo sono stati contattati anche altre ragazze e ragazzi per fare in modo «che possano uscire dall’inferno». Alcuni saranno costretti però a rimanere in Ucraina a causa della legge marziale, altri invece non vogliono lasciare la propria famiglia. L’intento di Matteo, appena tornato in Italia e consapevole della situazione complessa che ha lasciato, è quindi quello di organizzare una sorta di «Resistenza culturale». La seconda parte del progetto mira a creare una compagnia ucraina extra territoriale per la quale ci vorrà più tempo ma è già stata attivata una partnership con un teatro in Lituania, perché lì si è creata una rete di strutture, anche con un teatro in Germania per esempio, che possono dare un sostegno in questa direzione. La terza parte vuole organizzare un evento itinerante e una raccolta fondi attorno alla proiezione dello spettacolo “Momenti” sulla storia dell’Ucraina e diretto nel 2021 dallo stesso Spiazzi.
Ad ora, i soggetti coinvolti a sostegno del progetto Stage for Ukraine sono l’Assessorato al sociale del Comune di San Giovanni Lupatoto, il Teatro Astra e l’Associazione Posti in piedi sempre di San Giovanni Lupatoto, ai quali si aggiungono anche l’Accademia d’arte drammatica “Nico Pepe” di Udine e l’Accademia d’arte drammatica “Galante Garrone” di Bologna.
Lucia Medri