Recensione. Daniel Veronese dirige Lino Musella e Paolo Mazzarelli nella trasposizione per la scene di Brevi interviste con uomini schifosi, raccolta di racconti del 1999 di David Foster Wallace. In tournée al Teatro Astra di Torino, alla Triennale di Milano e allo Sperimentale di Ancona. Visto al teatro India di Roma.
Quando si ha la fortuna di essere attori. La vita di altri fluisce in te, si raccolgono segnali lungo spazi sconfinati o in angoli nascosti che prendono forma soltanto in un tuo gesto o in un suono della voce, ci si permette la sfida all’universo di rinnovare il corpo e l’anima senza perdere mai la propria identità. Attore. Non è una categoria professionale, ma un’elezione divinatoria. Quando si ha la fortuna di essere attori, l’unica fortuna che tocca agli altri è vederne all’opera uno, a volte due. Ciò accade sul palco delle Brevi interviste con uomini schifosi, raccolta di 23 racconti composta da David Foster Wallace nel 1999 che Daniel Veronese porta sul palco del Teatro India di Roma, liberando letteralmente sulla scena le qualità di due interpreti straordinari come Paolo Mazzarelli e Lino Musella.
La scena ideata dal regista argentino ha una forte connotazione minimalista: un tavolo e sedie disposte secondo una precisa geometria, tutto bianco come il rettangolo su cui poggiano e che delimita lo spazio dell’azione; una delle sedie è fuori dal rettangolo, un elemento semplice che sconfina la geometria piana e diffonde il teatro un po’ più in là, invia gli occhi là dove l’attore costruirà il proprio ingresso sulla scena. Fin dall’inizio è chiaro come prenda corpo una relazione tra la frontalità che incide lo spazio e la silhouette che invece la fende trasversalmente, ponendo uno schieramento contrapposto tra forza e debolezza; i personaggi vivono una diversa, antitetica sorte: il volto di fronte si espone diversamente al rischio, dell’ascolto e dello sguardo, rispetto al profilo. Entro questo schema in cui dunque si affrontano meccaniche oppositive di aggressività e passività (o “violenza opaca”, come felicemente esprime il testo), si articolano 8 dialoghi tra uomo e donna, estrapolati dai 23 monologhi per uomo usciti dalla penna dello scrittore statunitense, tradotti da Aldo Miguel Grompone e Gaia Silvestrini, che dunque escono dal modello intervista per mostrarne forse, ancor più a fondo, il carattere antagonista.
La creazione del contesto in cui agire il dialogo è lasciata unicamente allo spostamento di tavolo e sedie, così che la figura d’attore – alterni interpreti di ruoli maschili e femminili – possa costruire a partire da un campo vergine il proprio carattere espressivo, lasciando letteralmente che sia un braccio appena spostato, un’angolazione del mento, un movimento del piede più o meno cadenzato, a derivare la credibilità della scena descritta. Dunque la ricerca della minutezza del gesto, della finitura accurata che articola linguaggio e movimenti, amplia enormemente il ventaglio delle possibilità che Lino Musella e Paolo Mazzarelli riescono a comporre, assorbendo su di sé anche le spigolosità del testo.
Se già il titolo dell’opera non lascia spazio a fraintendimenti a proposito delle intenzioni dell’autore, la figura di uomo che emerge da questi dialoghi è quella che non sa esibire altro da una acuta prevaricazione, presentando ognuna delle situazioni come un meccanismo autoritario agito attraverso sottili strategie, che rivelano la grana fine dell’indagine relazionale; ad emergere, come filo rosso delle otto vicende, è una – talvolta raffinata, talvolta grossolana – manipolazione di genere, ponendo l’accento ora sul sesso come ricatto di piacere, ora sull’impegno nella vita di coppia, ma anche sul femminismo, sulla paura della solitudine, sulla pietà come mezzo attrattivo, sulla ritualizzazione della struttura di potere.
Gli uomini di questi racconti, dunque, raccolti alla fine del secolo scorso, trattano la donna con inarrivabile egoismo, filtrando l’altrui genere con i propri schemi e riducendola ad esclusiva appendice maschile, esercitano cioè il primato ottenuto dolosamente attraverso la storia per giustificare l’efferatezza dei comportamenti più violenti. Secondo gli ultimi dati diffusi, alla fine del 2021 e dopo tentativi annosi di sensibilizzazione e contromisure, il dato dei femminicidi in Italia non accennava a scendere, oscillando attorno al centinaio di donne, che solo nel 12% dei casi (dati del decennio precedente) denuncia pericoli preesistenti. Chissà a quante di loro è capitato, fuori e dentro il contesto domestico, di vivere dialoghi amorosi come sentenze di morte.
Simone Nebbia
Teatro India, Roma – Febbraio 2022
di David Foster Wallace
regia e drammaturgia Daniel Veronese
traduzione Aldo Miguel Grompone e Gaia Silvestrini
interpretato da Lino Musella e Paolo Mazzarelli
produzione Teatro di Napoli-Teatro Nazionale, Marche Teatro, Tpe Teatro Piemonte Europa, FOG Triennale Milano Performing Arts, Carnezzeria srls, con il sostegno del Teatro di Roma-Teatro Nazionale, in collaborazione con Timbre 4 Buenos Aires.