Recensione. A poco più di trent’anni dal debutto al Fabbricone di Prato, Federico Tiezzi riprende il Purgatorio di Mario Luzi. Visto Teatro Mercadante di Napoli. In tournée a Modena, Siena, Arezzo, Pisa e al Piccolo di Milano.
Nel 1988 Federico Tiezzi propose ai poeti Eduardo Sanguineti, Mario Luzi e Giovanni Giudici di riscrivere le tre Cantiche dantesche; a suo dire, una follia ma “il teatro che dorme aspettava un risveglio”. Ognuno degli autori seguì nella rilettura il proprio immaginario, e Luzi strutturò il suo Purgatorio come un lungo e accorato momento di dialogo.
Nel candore di una sala d’attesa illuminata dal neon, giungono le anime vane in procinto di iniziare il percorso di purgazione. Hanno sulle spalle coperte isotermiche e siedono a delle panche; sono migranti accolti da una crocerossina, Francesca Gabucci, e un Angelo, Alessandro Burzotta, con una sola ala e le fattezze di un soldato della Prima Guerra Mondiale. Li osservano con attenzione i due viandanti Dante e Virgilio, portati in scena da Sandro Lombardi e Giovanni Franzoni, accompagnati da una terza figura femminile. L’aria è immobile, e si alza persistente un confuso “Esiste il tempo?”.
Dal gruppo emerge una figura: il cantore Casella, Dario Battaglia, riconosce l’amico Dante e gli mostra la condizione degli spiriti purgatoriali. Indicata la via verso il Monte, le anime sfilano le coperte e le scarpe e si preparano al viaggio. Marco Rossi, autore della scenografia, immagina tre pedane bianche che si sollevano dal pavimento irrompendo nello spazio dell’attesa e modificandolo. Col loro costante movimento, le tre pedane gestiscono i passi e i tempi dei viandanti che salgono, discendono e riposano. I trentatré canti del Purgatorio dantesco sono poetica di una moltitudine (condensata nella presenza di quindici attori), di un’umanità corale (largo spazio è dedicato al canto); tutto è declinato sulla misura dell’uomo: la lingua piana, l’azione che progredisce nel cammino e che medita nel sogno, la condizione dell’esistenza che muta insieme al cielo, l’attesa del divenire che lancia l’occhio al ricordo. In scena, l’azione e il tono declamatorio sono attenuati da sentimenti più lievi come l’incertezza e l’affetto. Ritrovare amici riempie la voce di commozione, e ci si abbraccia.
Il lavoro poetico di Mario Luzi e Federico Tiezzi parte dallo studio di una lingua, come scrive quest’ultimo, “nel suo stato aurorale, ancora fluida e rovente come lava di vulcano”, dove significato e significante si riversano nella pura immagine che, a sua volta, nel riadattamento drammaturgico diventa senso pittorico (in direzione autonoma, ma non troppo, rispetto a un Botticelli o un Doré). Una lingua definita materna che, nella poetica tensione all’amore, Luzi concepì nella figura umana di Poema, Francesca Ciocchetti, la terza viandante. Se gran parte dell’apparato scenico previsto da Luzi nel 1989 si definiva in effettive processioni simboliche o forme e visioni allegoriche, ora tutta la scena si adegua al senso più fedele dell’evocazione per via della sola parola, lasciando invece la giusta misura figurativa alle apparizioni delle anime e, con l’attenzione delle luci di Gianni Pollini, ai colori dell’atmosfera che variano col girare degli astri e dei sogni del Poeta.
Il contatto fondamentale, più terreno, per Tiezzi è La montagna incantata di Thomas Mann, in un continuum dell’immaginario della purificazione: il giardino dell’Eden come il sanatorio Berghof (ed è qui che si spiega, nell’Antipurgatorio, la presenza dell’infermiera e dell’Angelo-soldato) in una cornice di incontri esemplari ed edificanti. Forse due tra i più attenti osservatori e abili ritrattisti della loro epoca in una congruenza di visioni, come teorizzava parte della medievistica di fine anni ’20 riguardo i solidi equilibri tra il contesto socio-politico dell’Europa medievale e il mondo occidentale dell’era contemporanea fino allo scoppio della Grande Guerra (anni in cui Mann lavorava al romanzo). Equilibri che, per esempio, si risolvono nella chiave primonovecentesca dell’onirico-freudiano. Sulla sommità del Monte, la Beatrice di Leda Kreider, Lia e Rachele accolgono Dante; al Poeta viene chiesto di mondarsi dai peccati e, seguito da una terapeuta, si stende su di un divanetto in attesa che Matelda (ancora l’infermiera) gli bagni la fronte con l’acqua dell’Eunoè.
Si tratta a quel punto di contemplare un’umanità raggruppata in categorie che ormai conservano solo un’impronta, in una Storia talmente remota che si è fatta Arte, con una prospettiva che trova la propria forma nel secolo scorso. Ma sono proprio quelle estreme distanze che fanno la meraviglia della visione, che conciliano un ascolto sereno in grado di poter trattenere a piacere quello che più tocca private emotività: cosa si può fare, infatti, se non lasciarsi stupire dall’apparizione della Femmina Balba, nuovamente Francesca Gabucci, l’orrida e ammaliante sirena-paziente, carica del peso di ogni desiderio che si fa malattia? Come non ammirare il simbolo come qualcosa di bello nel valore del passato?
Valentina V. Mancini
Teatro Mercadante, Napoli – Gennaio 2022
Date in calendario tournée
Siena (Teatro dei Rinnovati (18/20 marzo)
Arezzo (Teatro Petrarca, 23/24
marzo)
Pisa (Teatro Verdi, 26/27 marzo)
Piccolo di Milano (Teatro Strehler, 29 marzo/3 aprile).
IL PURGATORIO La notte lava la mente
di Mario Luzi
drammaturgia Sandro Lombardi e Federico Tiezzi
regia Federico Tiezzi
con Alessandro Averone, Dario Battaglia, Alessandro Burzotta, Giampiero Cicciò, Francesca Ciocchetti, Martino D’Amico, Salvatore Drago, Giovanni Franzoni, Francesca Gabucci, Leda Kreider, Sandro Lombardi, David Meden, Annibale Pavone, Luca Tanganelli, Debora Zuin
scene Marco Rossi
costumi Gregorio Zurla
luci Gianni Pollini
movimenti coreografici Cristiana Morganti
canto Francesca Della Monica
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival, Associazione Teatrale Pistoiese, Fondazione Teatro Metastasio, Compagnia Lombardi-Tiezzi