In collaborazione con i Premi Ubu abbiamo lavorato a un articolo con cui ripercorrere la storia degli storici riconoscimenti ideati da Franco Quadri (scomparso dieci anni fa) e accompagnare l’attesa della finale del 13 dicembre 2021 al Cocoricò di Riccione e in diretta su Rai Radio3 organizzata dall’Associazione Ubu per Franco Quadri e Riccione Teatro. Contenuto in media partnership.
Era il 1977 quando per Franco Quadri l’immaginario Ubu cominciò a determinare una filiera produttiva e ideativa: nasceva infatti la Ubulibri che per decenni sarebbe stata vera colonna portante dell’editoria teatrale italiana. Una casa editrice che poteva vantare la possibilità di far conoscere nuovi autori, ma anche di affermarne altri, a volte provenienti dall’estero. Un anno dopo, nel ’78, nascono i Premi Ubu e l’anno successivo uno strumento editoriale ponte tra premio e casa editrice, il Patalogo. Anche per questa idea Franco Quadri aveva attinto all’immaginario-Jarry: il Patalogo naturalmente rimandava a quella patafisica (la scienza delle soluzioni immaginarie) inventata proprio dallo scrittore francese, padre di Ubu.
Il Patalogo, creato insieme a Giovanni Buttafava, era «un catalogo con la p», una sorta di annuario. Come affermava Silvia Bergero nel ventesimo numero (1998) «A pensarci bene, il Patalogo è stato un enorme pastiche linguistico, un artificio letterario, un esercizio di retorica lungo vent’anni e 27 volumi, un repertorio, un inventario, una lista, un indice, una rubrica, uno schedario, una nota… la prova provata che il mezzo è il messaggio, il contenuto è la forma, la copia è il modello, la fantasia è la realtà, eccetera eccetera eccetera…». L’obbiettivo era quello di fotografare una serie di frammenti provenienti non solo dal teatro ma da un’intera stagione di spettacolo (cinema, televisione, concertistica) per poi focalizzarsi solo sulla sezione teatrale dall’undicesimo numero: ad aprire il primo numero, di 608 pagine, con la copertina di Pierluigi Cerri, era una lista di nuovi film proiettati nelle principali città, seguiva un elenco degli spettacoli più importanti secondo la redazione e una rassegna dei festival italiani e internazionali. A dimostrazione del legame con i Premi Ubu, il Patalogo veniva presentato proprio durante la prima cerimonia dei premi, al Salone Pier Lombardo. Un debutto che vedeva tra i vincitori il nome di Luca Ronconi per le Baccanti e quello della scenografa Gae Aulenti; ai due artisti nel primo numero del Patalogo venivano dedicate interviste e approfondimenti.
Insomma in soli tre anni il quarantenne critico, forte dell’esperienza di Sipario (ne fu caporedattore dal ’62 al 69), mise in campo una serie di invenzioni editoriali e di sistema che incideranno sulla rappresentazione e interpretazione mediatica del teatro. Di quella vivace stagione che coincideva teatralmente con la chiusura di un decennio di avanguardie (il Nuovo Teatro inquadrato da Marco De Marinis) oggi sopravvivono soprattutto i premi (la casa editrice nel 2014 ha ripreso a funzionare ad opera di Jacopo Quadri come casa di produzione cinematografica), rinnovati nello spirito e nell’organizzazione grazie alla fondazione di un’associazione (la Ubu per Franco Quadri, ad opera di Jacopo e Lorenzo Quadri e di Leonardo Mello, Renata Molinari, Oliviero Ponte di Pino e Cristina Ventrucci) e alla nuova collaborazione con Riccione Teatro (di cui Quadri d’altronde è stato direttore) che ha portato in dote anche la location del Cocoricò per serata la finale.
Da quella prima edizione del 1977 i Premi Ubu hanno segnalato e fatto emergere direzioni estetiche e protagonisti del teatro italiano creando una mappa dinamica che nei decenni ha accompagnato le svolte, le crisi, i rinnovamenti, le nuove idee e i momenti di stallo del teatro d’arte. Perché se il Patalogo attraverso il frammento cercava di fotografare l’eterogeneità dello spettacolo dal vivo, gli Ubu diventavano una sorta di ordinamento dei nodi cardine di quel mare magnum, focalizzandosi sulle opere in grado di esprimere un alto valore artistico, al netto degli errori e dei fallimenti. Per questo, da subito, l’idea di Quadri fu quella di chiamare a raccolta una serie di colleghi e colleghe per creare una lista di referendari, decine di critici teatrali che ogni anno segnalassero, come accade ancor oggi, le proprie terne per la finale.
Nella seconda edizione (riguardante la stagione 1978/79) primeggiava Carmelo Bene (proprio come simbolo di quel decennio di avanguardia) con il suo Otello (da Shakespeare), come miglior spettacolo, miglior regia e scenografia. Anche nella categoria dedicata ai miglior interpreti vinceva Bene (segnalato anche per il Manfred oltre che per la tragedia shakespeariana) e Cosimo Cinieri come non protagonista (sempre per l’Otello). Quell’anno appare anche un’altra attrice grandissima da poco scomparsa, Piera degli Esposti per Molly cara (la regia era di Ida Bassignano). Se Carmelo Bene era già considerato un maestro, Quadri allo stesso tempo rilanciava alla ricerca del nuovo, appariva infatti nella categoria “nuovo gruppo sperimentale” il Carrozzone (poi Magazzini Criminali) di Federico Tiezzi, Marion d’Amburgo e Sandro Lombardi. L’anno successivo il premio va a un maestro della tradizione, il miglior spettacolo è Temporale di August Strindberg per la regia di Giorgio Strehler; alla regia però si afferma un trentasettenne Massimo Castri, mentre Tino Carraro e di nuovo Degli Esposti erano miglior attore e miglior attrice.
Un netto passaggio arriva nel 1983, la secondo ondata della neo avanguardia si afferma definitivamente con Genet a Tangeri di Magazzini criminali; l’anno successivo comincia ad apparire tra i premiati il nome di Luca Ronconi con Le due commedie in commedia di Giovan Battista Andreini, prodotto dal Teatro di Roma di cui Ronconi era allora direttore. Quell’anno miglior attore e attrice furono Leo De Berardinis e Mariangela Melato. Inoltre venivano segnalati i lavori del Teatro della Valdoca “per la ricerca sperimentale”, Elio De Capitani e il Teatro dell’Elfo “per la ricerca di un repertorio drammaturgico”, Sosta Palmizi per il teatrodanza.
Se a questi nomi aggiungiamo quello di Pina Bausch, con la sua antologia presentata a Venezia (da qualche anno era apparsa la categoria dedicata ai migliori spettacoli stranieri presentati in Italia), ecco che abbiamo una galleria di alcune tra le realtà più interessanti di quelle stagioni. Anche tra le interpretazioni verranno segnalate alcune novità che poi racconteranno l’avvento di una nuova scena: Franco Branciaroli prima e poi Danio Manfredini. Tra la fine degli anni Ottanta i premi dedicati ai migliori spettacoli e alle regie saranno contesi tra Ronconi (quasi sempre presente), Leo De Berardinis, Massimo Castri, Giancarlo Cobelli. Il ’93/’94 sarà l’anno della Compagnia della Fortezza con il Marat/Sade di Peter Weiss; nello stesso anno comincia ad apparire anche il lavoro della Socìetas Raffaello Sanzio, con uno dei Premi Speciali, e poi nel ’96/’97 con il Giulio Cesare, miglior spettacolo. L’anno precedente era stato segnato dalla versione teatrale del Pasticciaccio di Gadda per la regia di Luca Ronconi, il regista dell’Orlando Furioso continuerà ad essere una presenza fissa dei premi: attorno al suo nome, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio si alterneranno quelli di Federico Tiezzi, Carlo Cecchi, Armando Punzo, le novità rappresentate da Arturo Cirillo, l’exploit eduardiano di Toni Servillo con Sabato, domenica e lunedì nel 2003 e quello di Danio Manfredini con Cinema Cielo.
Dal 2005 cominciano ad emergere ulteriori traiettorie: il teatro di narrazione di Ascanio Celestini, il lavoro di Fabrizio Arcuri e dell’Accademia degli Artefatti su Martin Crimp, dalla Romagna Felix si aggiungono Fanny Alexander. Comincia a farsi sentire anche agli Ubu (inizialmente solo nei premi speciali) la spinta indipendente del teatro dei gruppi, la nuova drammaturgia con autori e interpreti come Saverio La Ruina e possibili eredi per la definizione di un nuovo teatro di regia: il primo Ubu di Antonio Latella è del 2007 con Studio su Medea. L’anno successivo compare un altro regista decisivo negli ultimi anni per la sua ricerca dal tratto minimalista della regia intesa come pratica a servizio dell’interprete, Massimiliano Civica (miglior regia nel 2008 con Il mercante di Venezia). Il primo decennio degli anni Duemila termina con i riconoscimenti ai festival di Drodesera, Primavera dei teatri, a gruppi come Pathosfomel nel 2008 e collettivamente nel 2009 a Santasangre, Teatro Sotterraneo, Muta Imago riconoscendo così di fatto una nuova ondata che premeva sulla tradizione a partire da diversi luoghi produttivi come i festival e gli spazi indipendenti.
Gli ultimi anni, dopo al morte di Franco Quadri e poi quella di Ronconi, affermeranno la fisionomia del teatro di oggi, fotografando il declino del teatro di regia a favore di ricerche poetiche con un forte taglio autoriale. Cominceranno ad affermarsi la scrittura scenica di Emma Dante, il teatro dei corpi e della forza visiva e lirica di Pippo Delbono, il lavoro d’attore di Roberto Latini, il folgorante Macbettu di Alessandro Serra (che vince nel 2017 ed è tuttora in replica all’estero e in Italia). Tra il 2014 e 2017 arrivano importanti novità volute dall’Associazione Ubu per Franco Quadri (innescate anche da un dibattito pubblico sui Premi attivato su giornali e riviste, anche sulle pagine di Teatro e Critica): il cambio di denominazione della categoria dedicata ad attori e attrici, includendo il concetto di perfomer (nel 2018 la vittoria tra gli under 35 di Marco D’Agostin, Pier Giuseppe Di Tanno e Chiara Bersani), l’introduzione di un premio dedicato al miglior spettacolo di danza e la menzione dedicata proprio a Franco Quadri che nel 2016 va all’Angelo Mai, come “laboratorio di sperimentazione artistica e attivismo politico”. Il 2018 è stato in effetti un’edizione unica (ne parlavamo qui) per l’affermazione di nuovi artisti e progetti lontani dalle grandi produzioni dei teatri nazionali. Il miglior spettacolo è stato Overload di Teatro Sotterraneo, premio che chiude un decennio o più in cui il nuovo teatro era spinto dal lavoro più o meno collettivo dei gruppi teatrali, quella “generazione T” ben raccontata da Renato Palazzi, critico del Sole 24 ore recentemente scomparso.
Da quest’anno la creatura di Franco Quadri cerca una rinascita (rimanendo su radici ben piantate, non è un caso la serata di qualche giorno fa dedicata proprio a Quadri per i dieci anni dalla morte) spostando il proprio baricentro dal palcoscenico del Piccolo di Milano a quello decisamente più pop del Cocoricò di Riccione (qui la serata finale del 13 dicembre). Una ricerca che si scontra contro difficoltà vecchie (importanti giornalisti hanno preferito allontanarsi dal premio negli anni) e nuove, come lo stop pandemico dello scorso anno (che ora ha determinato una stagione “doppia” e dunque molto complessa da fotografare senza omissioni), oltre a quella che rimane la difficoltà più stringente, ovvero la necessità di un correttivo all’immobilismo del circuito teatrale – questione che rende per i referendari molto difficile avere la possibilità di vedere tutti gli spettacoli finalisti. Tra i quattro titoli in finale quest’anno come miglior spettacolo, Hamlet di Antonio Latella, Antigone di Massimiano Civica, Misericordia di Emma Dante, Piazza degli eroi di Roberto Andò, solo il lavoro di Dante ha avuto finora una tournée vera e propria. Forse allora per il futuro la vera sfida degli Ubu sarà quella di mantenere la propria autorevolezza (in un panorama in cui altri premi si sono aggiunti negli anni) riuscendo a far fronte alle contraddizioni poste dal sistema che d’altronde sta ancora aspettando una legge sullo spettacolo e un nuovo assetto che vada oltre i tentativi di nuove regolamentazioni del Fus per decreto.
Andrea Pocosgnich
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