Recensione. Ascanio Celestini debutta con Museo Pasolini, alla ricerca di un modello che sappia usare le parole limpide della verità e quelle opache della poesia. Lo abbiamo visto al debutto per Romaeuropa Festival 2021. Segue tournée
Pier Paolo Pasolini è l’unica vera icona del Novecento culturale italiano: le sue idee, divenute profezia, ne fanno una figura cristologica spinta fino ai margini del tragico; la sua forza, capace di evocare lo spirito dormiente popolare, amplifica la qualità della stessa rappresentazione, anche in chiave pop, dell’intellettuale, a un tempo antico e modernissimo. Ma nulla, nulla di tutto questo avrebbe senso, se Pasolini non fosse stato un poeta. Ed è alla figura di poeta, prima di tutto, che Ascanio Celestini rivolge il proprio omaggio, l’apertura del diffuso, all’aria aperta, Museo Pasolini, in scena all’Auditorium Parco della Musica di Roma nell’ambito del Romaeuropa Festival 2021.
Come spesso accade, sul palco di Celestini pochi oggetti, in poca luce: una sedia, una lampada minuta, una porta bianca che non è chiaro se sia d’ingresso oppure d’uscita. Ma poco importa. Perché l’ingresso – e attorno la musica registrata per la fisarmonica di Gianluca Casadei – è fatto di parole, quelle che fanno di un uomo in piedi, di fianco a questa porta, il custode di uno strano museo, guida di quello che c’è dentro o, forse, guida di quello che non c’è, perché rimosso o perché qualcuno non vuole resti se non come intenzione. È un museo, dice Celestini, dove può finire una poesia perduta, più che una conservata, dove resta l’anima delle cose che sono state, non già gli oggetti ma le occasioni in cui c’è stata vita, non dunque, come spesso in un museo, una manutenzione delle cose morte.
Il racconto inizia in forma documentaria, biografica. Ed è un po’ strano, conoscendo Celestini, perché sembra come se la dimensione poetica, immaginifica dei suoi spettacoli migliori qui perdesse un po’ l’abbrivio; ma non passa molto tempo e quella parola cambia di stato, diventa “merce inconsumabile”: in una struttura che ospita continue digressioni, storie di altre storie, la biografia si innalza a costruire una relazione con il popolo, con un uomo del popolo che di Pasolini rivela i versi là dove i versi hanno più senso, intrisi alla società che vive attorno al poeta, quella che le sue parole hanno cercato, cercano ancora, di liberare dalle catene. Da Casarsa fino a Roma, da Ponte Mammolo a Donna Olimpia, dall’infanzia all’età adulta, la storia di Pasolini intreccia quella d’Italia, dal fascismo di ieri e di oggi, dalla lotta partigiana all’anticomunismo come spettro omogeneo di controllo del potere, dalla democrazia repubblicana all’eversione, fino ad arrivare al torbido patto tra politica ed economia, torbido color petrolio, come il nome del romanzo non finito, testamento, condanna, suicidio. Pasolini attraversa ognuna di queste vicende come un Cristo continuamente trafitto, flagellato dalle colpe del pensiero, della libertà, diventando emblema di una rivoluzione popolare implosa e mai avvenuta, reperto perfetto per il museo che non c’è.
Eppure, se fosse solo teatro, se il teatro finisse al palcoscenico, si avrebbe la sensazione che lo spettacolo pur magnifico non contenesse che una forza al massimo esemplare, certo ridotta: per Celestini l’arte non è disgiunta mai dall’esperienza, la ricerca esiste sul palco come elemento di passaggio, i suoi lavori sempre di più debordano in altre attività (esempio tra tutti la battaglia, nata attorno al debutto, per far diventare la prima casa di Pasolini a Roma, a rischio di vendita all’asta, un centro culturale di quartiere, proprio un “museo di persone”, libero, come la poesia). L’artista si fa interprete e complice delle parole e delle azioni di Pasolini, cerca di modificare la società attuale con la forza dialettica di un modello che il tempo ha immobilizzato, per molti, ma non per lui; egli diviene, dunque, una figura intellettuale moderna, dinamica, e il teatro è solo un atto tra gli altri, certo il più potente come spinta propulsiva di trasformazione sociale. Celestini interpreta così la fluidità contemporanea a suo modo, dispone la propria arte al servizio di un movimento, certo popolare, rifugge con esso l’immobilismo, a voler dire come un museo diffuso sia una conservazione che dipende da chi osserva e decide di catturare, con i mezzi evocativi delle parole, una memoria altrui. E, nella pronuncia, farla propria.
Simone Nebbia
Novembre 2021, Auditorium Parco della Musica, Romaeuropa Festival 2021
Prossime date in calendario tournée
Napoli Teatro Nuovo 17-20 novembre 22
MUSEO PASOLINI
di e con Ascanio Celestini
Voci Grazia Napoletano e Luigi Celidonio
Musiche Gianluca Casadei
Suono Andrea Pesce
Disegno luci Filip Marocchi
Produzione Fabbrica Srl
Contributo Regione Lazio e Fondo Unico 2021 sullo Spettacolo dal Vivo