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Dante e il teatro in Senegal oggi. Il Teatro delle Albe e la Romagna africana. PARTE 2

Una conversazione in due parti con Alessandro Argnani (direzione di Ravenna Teatro) in cui ripercorriamo la storia trentennale del lavoro e dei rapporti tra il Teatro delle Albe e il Senegal. Questa 2° parte è dedicata ai recenti progetti.

Leggi la 1° parte

foto Kaadar per Istituto Italiano di Cultura di Dakar

La riapertura dell’Istituto di Cultura Italiano a Dakar e il progetto “Nel segno di Dante”

Alessandro Argnani: Dopo Thioro. Un cappuccetto rosso sengalese arriva la pandemia, ma con questa arriva anche la riapertura dell’Istituto di cultura italiano a Dakar in Senegal. Dopo anni, riapre uno degli istituti che il governo Berlusconi aveva chiuso – con grossa miopia – come in altri luoghi del mondo. Finalmente c’è di nuovo una casa da abitare, ci sono due direttrici molto brave che si susseguono; oggi c’è Serena Cinquegrana che conosce bene il panorama teatrale del nostro paese e con la quale costruiamo il progetto, sempre nel gemellaggio Ravenna-Dakar, Nel segno di Dante. Viene tradotto il primo canto dell’Inferno in wolof, viene fatta una giornata di studi il 30 luglio a Ravenna con la traduzione e la lettura fatta da Pap Abdoulaye Khoum e un convegno. Poi a ottobre sono tornato insieme a Graziano Graziani per lavorare a Dakar con degli attori professionisti sulla messa in vita della Divina Commedia a partire dal primo canto in wolof.

foto Kaadar per Istituto Italiano di Cultura di Dakar

Il teatro inventa dei linguaggi, un modo di parlare. Dante scrive la Divina commedia nell’italiano volgare proprio per parlare a tutti senza nessuna discriminazione; l’idea del meticciato è quella di trovare una nuova forma e di inventare anche una nuova lingua, un intreccio di lingue e suoni accessibile a tutti. In questi anni abbiamo fatto questo grande cantiere attorno alla Divina commedia chiamando la città ad essere con noi, come succedeva nelle grandi manifestazioni sacre medievali, come il teatro di massa del Novecento. Dante ci dice che se sei in un momento nero della tua vita ti puoi salvare se hai il coraggio di andare giù nell’inferno, guardare le cose che ti fanno paura, che non ti fanno alzare la mattina; solo così puoi tendere a un passaggio in quella terra dove ti puoi purificare e arrivare a rivedere le stelle e esser felice. Dante lo dice inventando quella forma e quel linguaggio, e noi lo abbiamo ridetto ai ragazzi a Pekine, la banlieu di Dakar. Quando abbiamo raccontato di questo artista del 1300 che non si rassegna ai potenti, che con i suoi “no” viene cacciato da casa sua, uno degli attori senegalesi ci ha detto “Dante è un rivoluzionario”. In una terra martoriata come il Senegal fare i conti con un’opera scritta settecento anni fa, ma che ha a che fare con l’oggi, apre la domanda del come poter essere felici ancora, andando a incontrare i nostri fantasmi, i nostri diavoli, le nostre paure. Abbiamo provato a toccare tutte le grandi ferite dei trenta/quarantenni senegalesi di oggi, artisti.

foto Kaadar per Istituto Italiano di Cultura di Dakar

Il fermento culturale e il teatro in Senegal oggi

Alessandro Argnani: C’è un fermento artistico culturale molto forte in Senegal. Nell’arte visiva stanno succedendo cose davvero impressionanti, c’è una biennale d’arte di Dakar che è una delle cose più stupefacenti rispetto al contemporaneo; il Senegal si sta anche emancipando culturalmente dalla Francia, c’è un nuovo generare di opere che partono dalla questione senegalese anche se nel teatro rimane ancora forte il rapporto con l’Accademia francese, con la tradizione e con un senso etnico; ma è vivo anche un tentativo di ricerca di nuove forme.

Il lavoro sulle nuove drammaturgie è un tentativo in atto, con grandi difficoltà perché molti attori oggi sono ancora analfabeti, o non sanno scrivere, molti non parlano il francese. Gli spazi teatrali sono attrezzati con tecnologie obsolete nelle banlieu. Il canto, la danza, le storie sono ancora molto presenti; però c‘è un passaggio in atto, un po’ anche perché molti tornano dall’Europa e portano nuove esperienze, sapienze.

Io credo che da qui a poco si parlerà di una questione drammaturgica senegalese, è un paese che ha iniziato a seminare da un po’ e sta raccogliendo i suoi frutti, anche nella questione di un nuovo modo di parlare e di raccontare, e quindi di una nuova lingua.

foto Kaadar per Istituto Italiano di Cultura di Dakar

Moussa N’diaye: La cultura animista è molto forte nella cultura senegalese, soprattutto per chi viene dai villaggi. È una cultura che crede molto ai sogni, nell’ambiente, le parole e le usanze degli antenati sono sempre dentro la nostra vita, nei racconti delle fiabe, dei griot. La nostra è una tradizione orale, non c’è testo scritto sul quale andare a fare una riscrittura, puoi solo pescare delle parole che hanno usato i tuoi antenati e metterle in evidenza rispetto quello che si vive oggi.

Molte compagnie qui in Senegal oggi affrontano i temi della disuguaglianza tra uomini e donne, il maltrattamento dell’infanzia, i politici corrotti, i corruttori, le ingiustizie che l’essere umano sta vivendo oggi: povertà e disuguaglianza.

Riguardo ai linguaggi tradizionali della rappresentazione, nella cultura senegalese il rito del tamburo è molto presente. C’è un rito, quello del Sabar, che è una festa, di solito in una piazza grande, dove tutti si siedono in cerchio e dentro c’è il griot con il microfono e gli altri griot con i tamburi che si mettono in dialogo con gli altri partecipanti che entrano dentro il cerchio e si mettono a ballare; è un rito che viene dalla tradizione dalla cultura animista, molto presente in molte compagnie di oggi.

Il teatro in Senegal sta rischiando, come dappertutto. Qui la società punta allo schermo, alle serie TV proprio chiamandole “teatro”. Questa è stata una delle lotte di Mandiaye da quando si era trasferito in Senegal. Qui negli anni settanta Senghor (Léopold Sédar Senghor, primo presidente e poeta senegalese dopo l’indipendenza dalla Francia, in carica dal 1960 al 1980) nelle periferie di Dakar aveva creato delle Associazioni Sportive Culturali. Le periferie di Dakar nascono da un forte esodo rurale, le etnie che vivevano nei villaggi si sono ritrovate nella periferia; per potersi intendere, per poter dialogare, per esprimere le loro tradizioni l’unica cosa che poteva riunirle e metterle in dialogo era lo sport e la cultura e quindi il teatro. Da lì sono nate molte associazioni teatrali e le periferie di Dakar sono ricche di giovani compagnie teatrali che si esprimono nel canto, nella danza e nel racconto. Però questa cosa sta tendendo a sparire, con la tv e le serie televisive.

foto Kaadar per Istituto Italiano di Cultura di Dakar

La presentazione pubblica a Dakar del progetto Nel segno di Dante

Alessandro Argnani: il progetto di ottobre ha fatto lavorare trenta attori più Adama e Falou, dentro Arcos, spazio a Pekine diretto da Laity Fall, un attore molto importante e maestro molto amato che oltre al percorso teatrale ne ha anche uno legato al cinema, con il suo apice internazionale nel film La pirogue presentato a Cannes (2021, diretto da Moussa Tourè). In Senegal gli attori devono per forza lavorare in televisione perché non c’è nessuna forma di finanziamento per il teatro e non puoi viver con lo sbigliettamento. Nella scrittura, nel lavoro drammaturgico è stato fondamentale Moussa che trascriveva il wolof e il francese e lo sistemavamo insieme con l’italiano; il debutto ha incrociato più lingue, ognuno portava il suo parlato.

La lettura del primo canto della Divina commedia in wolof nell’Istituto italiano di cultura, la sera prima del debutto, è stato un momento molto importante perché i ragazzi dalla banlieu sono stati invitati in un luogo istituzionale al quale non possono accedere solitamente. Serena Cinquegrana ha il desiderio di aprire il nostro centro ai giovani artisti senegalesi, anche a quei cittadini che arrivano dalla periferia, è una missione importante. Gli attori erano felicissimi dell’invito, è stato commovente, perché una cosa che lamentano gli artisti senegalesi è il non sentirsi visti dallo Stato, il non avere nessun tipo di tutela; che non significa solo non ricevere una paga, ma proprio il non essere riconosciuti come figure professionali. E arrivare in un luogo così importante come l’Istituto italiano di cultura è stato pieno di senso. Poi la serata è stato un concerto rock, una vera e propria bolgia; in Senegal lo spettacolo inizia otto ore prima, le famiglie e i bambini dalle due del pomeriggio erano lì vestiti a festa, è tutto rumoroso, la risposta che lo spettatore dà durante lo spettacolo è fortissima perché si sente chiamato in causa: non è solo una persona che ha pagato il biglietto e deve stare a sedere, è un pubblico che reagisce a ciò che viene detto.

Progetti futuri. Una casa per il KËR Théâtre Mandiaye N’diaye

In questi anni di pandemia doveva debuttare un lavoro con la regia e drammaturgia di Emanuele Valenti che partiva dalla storia di Mandiaye N’Diaye come migrante, come artista, come cittadino di questo mondo, dal titolo Modu il bugiardo (soprannome di Mandiaye N’diaye, proprio perché Mandiaye disse una bugia quando incontrò Marco Martinelli dicendogli di essere un attore dell’Accademia francese); una riscrittura di Emanuele Valenti a partire dalle drammaturgie delle Albe afro-romagnole e di Marco Martinelli. Purtroppo c’è stata la pandemia, ed è stato tutto posticipato.

Il prossimo obiettivo che abbiamo è quello di costruire una casa fisica in Italia del KËR Théâtre Mandiaye N’diaye, intercettando bandi di cooperazione. Mandiaye ha seminato molto in Italia, avere una casa qui significherebbe non solo accogliere artisti ma produrre opere che ci mettano a confronto.

Il KËR Théâtre Mandiaye N’diaye inoltre coordinerà questa possibile apertura di una casa nella periferia a Dakar che possa accogliere artisti italiani, studiosi, che abbiano voglia di andare e sostare, fare questo lavoro di meticciato, un modo per continuare a rendere possibile questo scambio, un luogo di memoria per Mandiaye e una possibilità concreta per il KËR Théâtre Mandiaye N’diaye.

Luca Lotano

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Luca Lòtano
Luca Lòtano
Luca Lòtano è giornalista pubblicista e laureato in giurisprudenza con tesi sul giornalismo e sul diritto d’autore nel digitale. Si avvicina al teatro come attore e autore, concedendosi poi la costruzione di uno sguardo critico sulla scena contemporanea. Insegnante di italiano per stranieri (Università per Stranieri di Siena e di Perugia), lavora come docente di italiano L2 in centri di accoglienza per richiedenti asilo politico, all'interno dei quali sviluppa il progetto di sguardo critico e cittadinanza Spettatori Migranti/Attori Sociali; è impegnato in progetti di formazione e creazione scenica per migranti. Dal 2015 fa parte del progetto Radio Ghetto e sempre dal 2015 è redattore presso la testata online Teatro e Critica.

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