Recensioni. La sorprendente vitalità della musica di Bach nei nuovi lavori coreografici, opposti e complementari, di Roberto Zappalà (al Teatro Sociale di Trento) e Anne Teresa de Keersmaeker (alle Fonderie Limone per Torinodanza), svela tutta la sua più necessaria attualità: il processo, l’esercizio e la pratica come capacità non coercitive dell’immaginazione.
Anche per la danza sono tempi difficili. Fare critica non è per niente di moda: sembra impossibile qualsiasi distanza. Al contrario si leggono molti comunicati stampa in restituzione di viaggi premio, con buona pace del rispetto (pur dovuto) al pubblico pagante. E senza contare il monito di una critica ribaltata a testa indietro, che pretende per le estetiche del presente condizioni condivisibili, ma anche sempre un po’ generiche e soggettive (buone per vincere tutte le battaglie senza combatterne una), come qualità, competenze, modelli. Chi non sarebbe dell’avviso? Ognuno fa quel che può e per quel che sa, certo. Ma a forza di puntigli e distinguo e pretese le lotte per i diritti di tutti, poi, come visto, si perdono. Allora tanto ardore di rivalsa (che poi coincide con personali soggezioni, perché si scrive ‘qualità’ e si pensa ‘quel che piace a me’) altro non sembra che risentimento per una effettiva perdita di campo d’azione (rispetto al contemporaneo). Per di più, nell’errore di poter giudicare (bene, perché conviene) il poco (che so: un solo titolo per l’intero programma), credendo di avere così illuminato il tutto (che resta invece nell’ombra, sconosciuto). È capitato anche alla musica di Bach di essere tirata da una parte come campione del neo-classicismo e argine alla prudenza farisaica della «distanza storica» (nel Novecento, almeno da Furtwängler fino al nazionalsocialismo). E dall’altra, come paladino del risentimento piccolo borghese post-bellico in cerca di regressioni culturali più autentiche, per alleggerire il senso di colpa nei confronti del passato più recente.
Il doppio debutto in Italia, oggi, di due lavori coreografici interamente costruiti attorno alle musiche di Bach dimostra invece tutta la sua più immediata attualità: l’esercizio consapevole, l’esperienza materiale e l’articolazione della pratica musicale bachiana sono, per la danza oggi, alimento non coercitivo del sentire, dell’affetto, dell’immaginazione.
RIFARE BACH
Già il titolo è molto esplicito, predicativo, tutto operante: Rifare Bach (la naturale bellezza del creato) è la nuova coreografia di Roberto Zappalà, vista al Teatro Sociale di Trento per l’apertura della nuova stagione teatrale. Il punto di partenza sono le tante rivisitazioni musicali della musica bachiana, montate in una playlist riprodotta in un perfetto surround spaziale, pienamente immersivo. In tanta calcolata performance sonora, alcune scelte sono imperdonabili: l’uso accessorio, in avvio, di Toccata e fuga (BWV 565), col suono d’organo mixato a seguire con una traccia di pianoforte (le orecchie sanguinano); oppure l’uso a contrasto di due brutte variazioni elettroniche (BWV 29 e 775), rinunciabilissime. Ma se la drammaturgia sonora traballa, quella visiva è compiuta e spiazzante. La bellezza del creato messa in agenda nel sottotitolo è in scena tutta nei corpi potenti dei dieci danzatori. Mai fermi: si tratta di una danza rotta, veloce, frammentata, corale, jazzy e animalesca, anche sgraziata e storta, ma solo perché fuori canone e plurale. Il naturale della bellezza non è pacifico né misurato né uniforme: sempre in trasformazione, invece, come gli arrangiamenti musicali prescelti alternati a soundscape di animali. È coreografia perfettamente definita nel disegno e nei numeri, però: una sorta di classicità meridiana, mediterranea. Zappalà si dice agnostico, ma qui tutto alla fine trabocca di tensione spirituale e ascesi. Sempre a partire dai corpi, però.
Mirabili sono i duetti: il primo con l’imperdibile Silvia Rossi in coppia perfetta con Anna Forzutti, e il secondo con Erik Zarcone, uno dei nuovi arrivi in compagnia, perfettamente già in accordo con Filippo Domini, che è invece un veterano. Duetti fatti di dinamiche ripetute, sintonie e prese veloci, toccate che tolgono il fiato e dettano il ritmo. Ma Filippo Domini è straordinario: qui il suo sapere del corpo non lascia dubbi su cosa può il personalissimo stile del coreografo catanese. E quanto questo potere dipenda da una consegna condivisa con l’interprete, che andrebbe proprio premiato. Rifare Bach è un lavoro tutto giocato sulla varietà del rifacimento, musicale e gestuale, in un disegno luci curatissimo (comprende anche due luci di servizio, usate ad arte), perfetto nel cogliere la misura della mission produttiva di un centro coreografico. Scenario Pubblico è, infatti, a Catania, un presidio di civiltà, in cui la danza e la coreografia, sempre senza insegne, alimentano una programmazione che è già una proposta politica di accoglienza e ospitalità.
DISFARE BACH
Ha chiuso il programma di Torinodanza, l’atteso debutto di Anne Teresa de Keersmaeker con The Goldberg Variation, BWV 988, da sola in scena con il giovane talento russo, il pianista Pavel Kolesnikov. Nella prima parte, ha luogo un’estrema intimità, una sorta di dialogo personale con Bach, anche a prescindere dalla performance sempre incredibile del pianista: una esecuzione leggera, a tratti lirica, sempre intensa e piena di atmosfere, secondo un virtuosismo esplicitato ma che resta solo un orizzonte possibile. È certamente un duo, però tutto sbilanciato sulla danza per chi conosce le algide ripetizioni di Rosas. Qui invece sembra di poter cogliere in De Keersmaeker anche un’inquietudine riflessiva, una presenza piena di ombre: lei borbotta, ci guarda, sembra addirittura reagire agli oggetti che casualmente cadono in platea, al solito sprovveduto di turno.
Sul finire di una variazione piena di ritmo ascendente (la n. 14) si avvicina dinamica e con uno strattone allontana addirittura il pianista dal suo strumento (ne siamo tutti divertiti perché tanta imperiosità si mischia alla leggerezza che comprende grande complicità). Lui rallenta, sospende, performa i passaggi più impervi inventando un Bach nuovo di zecca (e che dura il doppio dell’abituale), mentre lei si attacca alla coda del pianoforte (sull’andante n. 15), vi resta appesa, selvaggia, in un corpo a corpo con lo strumento che travolge e colpisce. Se all’inizio sembrava danzare sul basso continuo, quando la melodia sovrasta lei sembra addirittura muoversi appena, ma poi fa quel che vuole. Non c’è illustrazione della musica né alcuna visualizzazione; nemmeno immersione nella musica, solo una microscopica anarchia, con buona pace di istruzioni, ripetizioni, linee e calcoli alchemici.
Nella seconda parte, bianco vestita, De Keersmaeker ancora commenta e guarda intensamente il pubblico come non l’abbiamo mai vista; ride in prossimità dello strumento, in un’intesa istantanea, non preparata. Fino a danzare un rallentato andante che giunge al nero del buio: solo l’oro a proscenio è illuminato (una sorta di pepita gigante, brutta, a contraggenio di un pannello d’argento, altrettanto brutto, sospeso dall’altro lato), mentre Kolesnikov suona praticamente al buio, tutto rallentato: fedele alla lezione di Busoni, la trascrizione è traduzione, quindi creazione di spazio più che fedeltà al tempo. In questo tempo disteso lei dunque danza con il buio. Poi, in pantaloncini glamour, la sua epifania: una posa da Saturday Night Fever (insieme ad altre infinite pose pop di cui anche si compiace). Nel Quodlibet di chiusura (variazione 31) prima della ripresa dell’aria di avvio, d’improvviso si ferma al centro, di spalle, schiena nuda. Ma poi è tutto un ruotare in attesa del gesto finale, prima del buio: chiude al centro con un unico sguardo rivolto al soffitto. L’obiettivo è la dissolvenza.
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Se nel lavoro di Roberto Zappalà sovrasta il gusto dell’invenzione, della drammaturgia corale, della musica di Bach come un processo aperto e terreno ma sempre in attesa di redenzione, in quello di Anne Teresa de Keersmaeker prevale la pratica della musica di Bach come esercizio immaginativo, come esperienza materiale e diretta del suono, secondo una lettura senza ritorno intenzionale, ma istantanea, gratificante per quella mentalità ludica originale del fare-musica e del goderne, riconquistata.
Stefano Tomassini
Ottobre 2021, Teatro Sociale di Trento; Torino Fonderie Limone
Rifare Bach (la naturale bellezza del creato)
Musica di Johann Sebastian Bach
Danzatori Corinne Cilia, Aya Degani, Filippo Domini, Anna Forzutti, Gaia Occhipinti, Delphina Parenti, Silvia Rossi, Joel Walsham, Valeria Zampardi, Erik Zarcone
Coreografie, regia, scene, luci Roberto Zappalà
Progetto Roberto Zappalà e Nello Calabrò
Costumi Veronica Cornacchini e Roberto Zappalà
Assistente alle coreografie Fernando Roldan Ferrer
Management Vittorio Stasi
Direzione tecnica Sammy Torrisi
Direzione generale Maria Inguscio
Produzione Compagnia Zappalà Danza / Scenario Pubblico Centro Nazionale di Produzione della Danza in coproduzione con Belgrade Dance Festival (Belgrado), Fondazione Teatro Comunale di Modena e MilanOltre Festival (Milano)
Coproduzione e residenza Centre Chorégraphique National de Rillieux-la-Pape (Lione) in collaborazione con M1 Contact Contemporary Dance Festival (Singapore), Hong Kong International Choreography Festival (Hong Kong), Teatro Massimo Bellini (Catania) con il sostegno di MIC Ministero della Cultura e Regione Siciliana Ass.to del Turismo dello Sport e dello Spettacolo