Intervista a Tindaro Granata in occasione del secondo appuntamento del format Situazione Drammatica al Romaeuropa Festival negli spazi del Mattatoio La Pelanda
Martedì 9 novembre, a Romaeuropa Festival, si apre la seconda parte dell’appuntamento con Situazione Drammatica, il format dedicato alla nuova drammaturgia italiana, nato a Milano nel 2019 e ospitato al Mattatoio di Roma La Pelanda nell’ambito di Anni Luce. Due giorni dedicati al Premio Riccione per il Teatro 2021 con la lettura dei testi vincitori della 56° edizione del Premio Riccione e della 14° edizione del Premio Pier Vittorio Tondelli per autori under 30 (Carbonio di Pierlorenzo Pisano e OK Boomer di Niccolò Sordo). Abbiamo intervistato l’ideatore del progetto, Tindaro Granata: autore, attore, regista e direttore artistico della compagnia Proxima Res di Milano.
Come si crea una Situazione Drammatica?
Da quando ho iniziato a fare questo mestiere ho sempre avuto il cruccio di avvicinare e di far dialogare a chiare lettere il pubblico con i professionisti del teatro. Non specificatamente con gli artisti ma con quelli che da un po’ di tempo a questa parte chiamiamo “lavoratori dello spettacolo”. Il concetto è capire quanto complessa sia la macchina teatrale e, se per comprendere qualcosa bisogna sapere da cosa è composta, a me incuriosiva da drammaturgo spiegare il processo dietro alla scrittura. Quando c’è stata la possibilità ho chiamato Carlo Guasconi e Ugo Fiore proponendo loro una rassegna in cui si parlasse degli autori e ovviamente di cosa scrivessero e mentre ci pensavo avevo in mente di rendere il pubblico il soggetto principale di questo processo.
Infatti, il pubblico. Cosa coglie lo spettatore che si trova di fronte alla prima lettura di un testo da parte di un attore? Si può dire spettatore?
Sì! In quella che è anche per noi una giovane esperienza di format, posso dire che è veramente il testo a padroneggiare la serata, è sulla base della scrittura che lo spettatore (appunto!) sente più o meno razionale il suo rapporto con quanto sta ascoltando, anche se non lo vede.
Ma siccome dal verbo vedere deriva la parola teatro, chi vede ha la possibilità effettiva di vagare liberamente su quanto vorrebbe stare a guardare…
Quello che ho capito è che se la concentrazione è salda sul testo, le persone sono talmente prese che iniziano a immaginare. La domanda più frequente è “e poi? Come diventa spettacolo?” ed è una risposta che mi preparo sempre a dare e che non faccio in tempo a dare perché subito dopo segue immediato “io me lo sarei immaginato così”. Per gli artisti è più facile comprendere questo meccanismo di lettura e rappresentazione, lo orientiamo a seconda del nostro gusto e del modo che abbiamo di rapportarci al lavoro, il pubblico invece ha un immaginario molto più caotico che usa la libertà dei bambini, assume il testo senza i limiti della rappresentazione, immagina delle cose che sono straordinarie per cui ci vorrebbero produzioni altrettanto straordinarie a cui neanche l’autore può aver pensato.
Parliamo degli autori, allora. Giovani, spesso vincitori del primo premio drammaturgico della loro carriera, comunque sempre presenti all’interno della tua situazione drammatica.
Ci sono sempre quegli autori che rappresentano un mistero per il pubblico perché i loro testi sono per natura più criptici di altri e gli spettatori devono scontrarsi e confrontarsi con loro. Gli autori sono in scena perché il pubblico possa sentirsi libero di dialogare e tutte le volte in cui questo è accaduto si sono chiarite molte cose anche per loro. È un processo di maturazione che coinvolge entrambi; per l’autore rendersi conto della presenza di un pubblico significa scrivere in funzione della valorizzazione della propria opera. Capita che autori giovanissimi mai messi in scena e mai interpretati scrivano delle cose molto belle ma difficili. In questo senso per loro Situazione Drammatica è un doppio salto mortale, lavoreranno con degli attori che faranno la fatica di mettersi in bocca quelle parole e allo stesso tempo con un pubblico che non farà altro che interrogarsi sul testo.
E chi è che si interroga avidamente? Che pubblico frequenta il format?
Per prima cosa dobbiamo sottolineare la netta differenza che incorre tra il pubblico romano e quello milanese. Il primo, provenendo da un contesto festivaliero è generato da coloro che gravitano intorno a Romaeuropa Festival, più informati, consapevoli di dove si trovano e cosa vogliono approfondire. Per quanto riguarda la situazione milanese, è stata costruita nel tempo, siamo andati personalmente dalla signora della lavanderia, dal macellaio, dal parrucchiere, come a creare un’assemblea teatrale, cercando un pubblico che non lo fosse affatto, teatrale.
A proposito di Milano, Claudia Cannella, direttrice del Premio Hystrio e tua ospite durante la prima serata di Situazione Drammatica ha detto che pochi sono i nuovi testi che parlano di pandemia, piuttosto di solitudine, è vero?
Quello che dice Claudia l’ho notato anche io, i giovanissimi mettono al centro dei loro temi l’impossibilità di comunicare, non una comune lotta generazionale, piuttosto un’altra modalità di complicazione che si concretizza nella difficoltà di avere rapporti con gli altri. I nuovi autori non sanno ancora dare nome a tutto questo, è complesso gestirsi in una maturità di tempo fisiologica così ridotta.
Quindi le nuove generazioni sono più individualiste?
È come se questi giovani autori non abbiano ancora trovato la chiave giusta per arrivare al fondo del problema ed è proprio a questo punto che succede qualcosa di molto interessante: le storie frequentemente sfociano nel paradossale, come se non si riuscisse attraverso il racconto del concreto e del reale a toccare profondamente il fulcro della questione e quindi fosse necessario l’assurdo: saltano fuori orologi fantastici, qualcun altro impazzisce, compaiono degli armadi animati. Sì, possiamo parlare di individualismo, manca la capacità di creare una tensione con il mondo esterno e allora se ne crea uno interno che per ristabilirsi col resto delle cose intorno ha bisogno di animare un altro da sé, un ritorno al realismo magico. Ecco perché diventa essenziale il pubblico: può capitare ad esempio che rifiuti del tutto questa bulimia fantastica.
Torniamo alla realtà, qual è la relazione tra gli attori che in scena vedono il testo per la seconda volta?
Non tra di loro, ma per loro: la relazione è con il pubblico. Io faccio delle richieste esplicite proprio per evitare l’ombra del reading, due regole in particolare sulle quali non si transige: la prima, gli attori devono essere direzionati solo verso il pubblico senza che tra di loro avvenga alcun tipo di comunicazione; questo se vogliamo che ci sia un unico destinatario, lo spettatore e un unico soggetto, il testo. La seconda regola ha a che vedere con le pause: non devono mai essere rispettate. Facendolo, lo spettatore si stacca per cercare l’azione sul volto dell’attore che in quel caso è solo voce e mai corpo. Questo è visibilissimo nelle poesie, nei versi scomposti: per aumentare il senso della rappresentazione per iscritto si governa il capoverso e non la parola, il contrario di quanto invece accade con la narrativa.
Due anni di istanze e recriminazioni del settore spettacolo, è cambiata la concezione che si ha dei lavoratori del settore oggi?
La percezione dall’esterno è che ce l’abbiamo fatta, e invece no non ce l’abbiamo fatta perché se il pubblico rinuncia ad andare a teatro perché non è alla sua portata, economica e d’interesse, non ce l’abbiamo fatta. Quando siamo stati chiusi e tutto il resto procedeva verso una progressiva riapertura, quando abbiamo cominciato ad abbattere le barriere della socializzazione, fare dei teatri l’ultima resistenza all’apertura è stata una presa di posizione forzata che ha affossato il sistema culturale: ha annullato iconograficamente tutte le istanze e le proteste messe in atto in questi anni. Mi hanno chiesto perché non mettessi a disposizione dei fruitori una versione online del format, perché l’ho rifiutato con forza e ho voluto che le persone riprendessero il copione di carta in mano, perché non voglio essere accomodante. Io credo che le persone che prendono la decisione di uscire, impegnare il proprio tempo senza frazionarlo ed entrano in un luogo dove si è chiamati a essere in relazione senza riserve, siano parte di una società migliore.
Francesca Pierri