Recensioni. Ça ne résonne pas / Ça résonne trop, Notte Bianca e Nel bosco. Tre spettacoli visti a Romaeuropa. I lavori di Secteur in.Verso, Tatjana Motta e Camilla Brison, Carlortta Corradi e Andrea Collavino hanno in comune il tentativo di affidare alla parola e al dialogo il baricentro del racconto e delle riflessioni.
Recentemente a Romaeuropa Festival abbiamo avuto modo di assistere ad alcuni spettacoli che in modi diversi mettono in evidenza una certa difficoltà nell’espressione scenica, a partire dalla scrittura fino alla messinscena. Due di questi sono legati a quella importante fucina della nuova drammaturgia che è il Premio Riccione: Notte Bianca di Tatjana Motta (vincitrice nel 2019) e Nel bosco di Carlotta Corradi (finalista 2017); rappresentano perciò una modalità di lavoro, più tradizionale, da ensemble allargato che prevede la relazione tra un regista e un nuovo testo di drammaturgia contemporanea. Il terzo è invece una scrittura di scena, Ça ne résonne pas / Ça résonne trop, di un giovanissimo collettivo italo-francese duo, Secteur in.Verso, composto da Chiara Boitani, Mathilde Chadeau e Climène Perrin. Il primo e il terzo sono stati presentati all’interno del prezioso contenitore Anni Luce. Prezioso, questo va precisato e ribadito, proprio perché permette l’errore accogliendo l’imperfezione, fotografando anche le difficoltà di un sistema o di una generazione. Ora, questi tre spettacoli non rappresentano di certo una fotografia o uno spaccato della nuova drammaturgia italiana (ne rappresentano una piccolissima parte); sono dei tentativi, diversi ma rappresentativi, in una cornice di importanza internazionale dedicata all’innovazione come Romaeuropa.
Le giovani autrici e attrici (Chiara Boitani e Climène Perrin) di Secteur in.Verso guardano al mondo scenico, postdrammatico, di Deflorian/Tagliarini (Boitani è una delle due silenti truccatrici di Sovrimpressioni): calano il dialogo di Ça ne résonne pas / Ça résonne trop in una situazione anti rappresentativa ed evidentemente non spettacolare, cercano di ricordarsi come gli oggetti erano disposti nella loro casa, li usano, li manipolano e da questi prendono le mosse per cominciare a riflettere sul problema dell’ecologia e sulla relazione che questo ha con le nostre vite. Lo spunto è interessante anche perché il tema, a fronte della presenza di un dibattito quotidiano sui media, è invece ignorato dal teatro italiano. Vi è, poi, uno sguardo intimista. Secteur in.Verso si pone una domanda: come è possibile convivere con il pensiero della fine del mondo? Come relazionarsi intimamente con questa tragedia in atto? Durante la residenza vinta grazie al bando Powered by Ref, Daria Deflorian ha collaborato come tutor per la drammaturgia e Valerio Sirna (Dom) per i movimenti scenici. Insomma, presupposti più che stimolanti, ma che non riescono poi a divenire drammaturgia, a farsi teatro per affascinare il pubblico. Nell’ampia scena un tavolo in legno, una poltrona, un materasso adagiato sul fondo a destra; si accendono un paio di scene suggestive, di pose surreali delle due performer con piante e oggetti, ma i discorsi non scendono in profondità, né tematica né poetica, e l’atmosfera leggera e rilassata della scena a lungo andare tradisce una mancanza generale di composizione e di interpretazione. In questo articolo le autrici spiegano le premesse filosofiche che, seppur intriganti, avrebbero bisogno però di un passaggio teatrale che ancora appare sfocato.
Notte Bianca di Tatjana Motta è invece un testo minimalista come molte drammaturgie contemporanee, ma che spinge decisamente verso un discorso teatrale poetico: una coppia, prenotata una vacanza in una città mai visitata prima, viene accolta da colui che avrebbe dovuto affittare loro la casa. Attraverso un dialogo serratissimo, Motta svuota la drammaturgia di qualsiasi azione che non sia la ricerca della casa; il luogo in cui passare qualche giorno di vacanza diventa una sorta di utopia che si sposta insieme a una città che racchiude le identità di tante città occidentali ma senza rappresentarne nessuna in particolare. La città ideale corrisponde alla ricerca della felicità; nelle peregrinazioni all’interno del dedalo di strade e possibilità i due protagonisti fanno l’esperienza dell’altro e della solitudine.
La città è piena di promesse che però rimangono inespresse, come la festa che attende i due giovani ma che mai si compie di fronte allo spettatore, la notte bianca che dovrebbe liberare in realtà rappresenta una perdita. La scrittura filosofica e poetica di Motta, avrebbe bisogno di una regia in grado di inventare tra gli spazi vuoti, una regia che costruisca una visione, proprio perché il testo lavora su un piano aereo. La direzione di Camilla Brison non sembra riuscire a imporre una visione in grado di far esplodere i tempi e le atmosfere. Avevamo letto Notte Bianca dopo la vittoria al Premio Riccione, colpiva proprio per i tratti minimalistici, come se il testo fosse solo una traccia possibile da riempire con un testo ulteriore, quello spettacolare. Nella visione un po’ fumettistica (interessanti in questo i costumi e l’uso di certi oggetti da parte di Brison) vista alla Pelanda, con la produzione di Sardegna Teatro e il lavoro attorale, funzionale e talentuoso, di Loris Fabiani, Agnese Fois, Angelica Leo e Daniele Natali, tutto rimane in superficie, e il testo non riesce a concretizzarsi nella possibilità spettacolare che meriterebbe.
Nel bosco invece non è stato presentato all’interno di Anni Luce, ma è frutto di una coproduzione tra il Teatro Stabile di Bolzano, il nazionale romano e il festival diretto da Fabrizio Grifasi. L’opera, a valle di una lunga gestazione, era tra i finalisti del Premio Riccione nel 2017 e trae ispirazione primaria dai fatti di cronaca di qualche anno fa, relativi alla prostituzione minorile nel quartiere Parioli di Roma. L’autrice, Carlotta Corradi, ha voluto però utilizzare la realtà solo come trampolino per una riflessione più intimista rispetto al clamore della cronaca. Non siamo infatti in nessun luogo preciso, questa la prima scelta decisiva: il testo non menziona la città, il quartiere e non lavora su nessuna connotazione geografica o sociale particolarmente riconoscibile. La regia di Andrea Collavino continua su questa traccia addirittura allontanando ancora di più la pièce da Roma attraverso le sonorità vocali di attori evidentemente del nord Italia, efficaci nella loro prova (Jacopo Bicocchi, Romana Maggiora Vergano, Lia Greco, Elsa Bossi, Aram Kian, Francesco Bolo Rossini, Giulia Weber)
Più neutra invece la recitazione delle due giovani (Maggiora Vergano e Lia Greco), le baby squillo appunto, così i media le avevano marchiate senza pietà, con questo appellativo dolciastro, un po’ retrò e accattivante tirando già la volata alla commerciabilità seriale. Il testo di Corradi evidentemente ha il merito proprio di allontanarsi da tutto questo, di silenziare il giudizio e di tentare invece di costruire una delicata vicenda sull’adolescenza, le fragilità del passaggio all’età adulta e i pericoli di una vita cittadina vissuti come il viaggio nella foresta di Cappuccetto Rosso. La fiaba è continuamente utilizzata come specchio rappresentativo, come dispositivo narrativo e morale, una sorta di contraltare archetipico ai fatti. Eppure anche in questo caso, come per Notte Bianca, manca l’affondo, mancano livelli successivi, la profondità che permetterebbe un’interrogazione vera della questione.
La regia non sembra voler costruire un senso ulteriore a quello prodotto dal testo esaltandone invece il minimalismo, con il risultato di una certa monotonia emotiva. Avvertiamo una mancanza di dettagli, che lascerebbe intuire povertà di mezzi e idee. Collavino punta, per il suo disegno registico, su una compagnia sempre in scena, sfiorando la costruzione spaziale del musical, ma l’utilizzo dello spazio si ripete, non sorprende e l’idea di lasciare i personaggi sempre in vista, in ascolto di tutti i dialoghi, dopo alcune scene diventa gioco prevedibile e accessorio, di maniera. Cosa rimane allora di questa vicenda? Nessuno merita di essere colpevolizzato, anche gli uomini, i lupi, alcuni di loro, appaiono come degli immaturi e sentimentali che hanno imboccato la strada sbagliata e passano il proprio tempo in un locale a giocare al karaoke. Tutto svanisce come sabbia tra le dita: ripensando alla vicenda originaria viene da pensare che la realtà sia in questo caso troppo più potente; d’altronde Nel bosco si allontana talmente tanto dalla cronaca della peccaminosa Roma pariolina che forse diventa definitivamente qualcos’altro, senza però riuscire a creare una solida alternativa.
Esiste dunque un minimo comune denominatore in questi tentativi, pur coraggiosi, molto diversi tra loro? Se nello spettacolo di Secteur in.Verso il problema è ascrivibile a una mancata maturazione della creazione nel suo complesso (dalla scrittura, all’interpretazione, fino all’ideazione scenica), nei due spettacoli con i testi di Riccione, Notte Bianca e Nel Bosco (che pur non corrispondendo alle aspettative sono comunque pronti per la rappresentazione pubblica) la questione va ricercata proprio nei rapporti tra i testi di partenza e le messinscene finali. Di certo, ci sarebbe da fare un discorso sui mezzi di produzione, un discorso sempre centrale nel nostro Paese: quanto hanno potuto lavorare insieme attrici e attori? Quanti giorni di prove hanno avuto queste tre produzioni? A quale budget hanno potuto attingere le regie? Il blocco relativo alla pandemia quanto ha inciso? Il risultato, comune alle tre prove, è proprio una sorta di ipotrofia dell’idea iniziale che impedisce di produrre immaginario, di produrre un’opera che resti nel tempo e nella mente dello spettatore.
La parola teatrale ha bisogno di qualcuno che creda in essa, il corpo e l’immagine invece esistono di fronte a noi, a prescindere; viviamo tempi di sfiducia nel linguaggio verbale e nel dialogo come strumenti per accedere alla verità: la parola si fa sfuggente, ed è un oggetto sempre più prismatico e incerto. Probabilmente non è mai stato difficile come in questo momento creare teatro attraverso la parola e il dialogo. Eppure, la sfida non può che essere quella di cercare di dare forma al mondo, anche attraverso un tessuto dialogico che si faccia largo nella quotidiana foresta di segni e parole disturbanti.
Andrea Pocosgnich
Settembre, Ottobre 2021, Romaeuropa Festival
Ça ne résonne pas / Ça résonne trop
Di Secteur in.Verso
Performance: Chiara Boitani e Climène Perrin
Drammaturgia e aiuto regia: Chiara Boitani, Climène Perrin e Mathilde Chadeau
Light design: Titiane Barthel
Tutoraggio drammaturgico primo studio: Daria Deflorian
progetto selezionato Powered by REf 2020
Produzione: 369gradi, Cranpi e Secteur in.Verso
In coproduzione con: Romaeuropa Festival
Con il sostegno di: Teatro Biblioteca Quarticciolo, Carrozzerie | n.o.t, La Villette, CNDC d’Angers, Studio Lab de La Ménagerie de Verre e École Normale Supérieure de Paris
Grazie a Marion Siefert
Notte Bianca
di Tatjana Motta
regia Camilla Brison
con Loris Fabiani, Agnese Fois, Angelica Leo, Daniele Natali
Testo Vincitore del 55° Premio Riccione per il Teatro 2019
Progetto Vincitore del Premio di Produzione di Riccione Teatro 2020
Produzione: Sardegna Teatro – Teatro Stabile di Bolzano
Con il sostegno di Premio Riccione per il Teatro, Scena Verticale, Nuovo Teatro Sanità, Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto-Teatro Dimora | La Corte Ospitale”2020
Nel bosco
Di Carlotta Corradi
Con: Jacopo Bicocchi, Elsa Bossi, Lia Grieco, Aram Kian,
Francesco Bolo Rossini, Romana Maggiora Vergano, Giulia Weber
Regia: Andrea Collavino
Suono: Hubert Westkemper
Disegno luci: Luigi Biondi
Costumi e scene: Anusc Castiglioni
Fonica: Gianluca Agostini
Elettricista: Francesca Zerilli
Produzione: Teatro Stabile di Bolzano in coproduzione con Teatro di Roma, Romaeuropa Festival e Riccione Teatro