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Migrart Lab Conference: il teatro sociale educa alla necessità

Nell’ambito del Progetto Incroci, tra inclusione sociale, sensibilizzazione e ricerca, il resoconto di Migrart Lab Conference, tappa conclusiva del percorso con una tre giorni di buone pratiche, tavoli di lavoro e un convegno dedicati.

Il progetto Incroci, il cui capofila è Teatro Magro di Mantova, in partenariato con Asinitas Onlus di Roma e Progetto Amunì-Babel di Palermo, grazie al sostegno di Fondazione Alta Mane Italia e di SCENA UNITA, Fondazione Cesvi, La Musica che Gira e Music Innovation Hub, nel corso del 2021 ha attivato linee di inclusione sociale, sensibilizzazione e ricerca attraverso le arti performative. Da marzo a ottobre le attività hanno riguardato tre progetti laboratoriali (condotti da Flavio Cortellazzi, Fabiana Iacozzilli e Giuseppe Provinzano, l’incontro tra i diversi gruppi in fase creativa e durante le presentazioni al pubblico, l’ideazione di tre giorni di riflessione con la Migra.Art Lab.Conferance che si è tenuta dal 15 al 17 ottobre presso il Teatro Biblioteca Quarticciolo all’interno della programmazione del Romaeuropa Festival. Teatro e Critica, media partner del Progetto Incroci, ha accompagnato le realtà coinvolte in una serie di approfondimenti e interviste durante tutto il processo di ricerca, attraversando le pratiche creative degli artisti e dei gruppi coinvolti, gli incontri di scambio, le presentazioni, gli interventi.

Foto di Giuseppe Galante

Migrart Lab Conference è stata la tappa conclusiva del Progetto Incroci che abbiamo seguito lungo tutto questo anno. I tre giorni di incontri sono stati un gesto generoso di condivisione non solo dei processi attivati dai tre soggetti protagonisti – Teatro Magro, Asinitas, e Progetto Amunì/Babel –  ma anche di far incontrare diversi soggetti attivi sul territorio nazionale che hanno così avuto l’occasione di discutere di tematiche relative alla migrazione, all’inclusione sociale e al lavoro artistico per e con i migranti. Inserito nel programma di Romaeuropa Festival 2021 e ospitato dal Teatro Biblioteca Quarticciolo, Migrart Lab Conference è stato articolato in riflessioni attorno a sostenibilità, programmazione, progettazione, linguaggi e identità.

Foto di Giuseppe Galante

Non una conferenza formale di definizione di passaggi sistemici, quanto un’apertura al dialogo e alla conoscenza di soggetti che negli anni (per lo  più in Italia) si sono contraddistinti, nonostante le difficoltà non solo economiche, per lo strenuo perseguimento di azioni sociali interne al teatro e alle arti performative. Durante la mattina di sabato, in una sorta di prosecuzione (simbolico-dimostrativa, dato il ridotto numero di ore preventivate) della pratica virtuosa di Incroci, sono stati presentati tre brevi laboratori, aperti a tutte e tutti e a ingresso libero, condotti da Marcela Serli, Vladimir Olshanski e Alessandro Renda del Teatro delle Albe; una sorta di assaggio di pratiche raccordate da molti punti di contatto. Quanto emerso dagli interventi raccolti attorno ai tavoli di lavoro è innanzitutto, come sottolineato durante il tavolo sull’identità e narrazione del sé da Cecilia Bartoli (psicoterapeuta e coordinatrice di Asinitas Onlus e coordinatrice assieme a Marcela Serli, attrice e formatrice), la «questione del patto, un baratto delicato e consensuale». La necessità che sta alla base di ogni attività dovrebbe essere quella di scongiurare il rischio di raccontare e appropriarsi di una storia restituendola senza un accordo. «È impossibile fare teatro senza che si produca una ferita, ma nello stesso tempo rispetto a quello che può essere la messa in gioco di una ferita personale, è interessante quando il teatro ne produce un’altra attraverso una narrazione che diventa paradigmatica per tutti e tutte perché raggiunge un’umanità comune». Alla base del metodo, ha continuato Bartoli, vi deve essere questa «delicatezza per la quale l’estetica ha una corrispondenza necessaria con l’etica».

Foto di Giuseppe Galante

La consapevolezza è stata un’altra delle parole chiave, affrontata nel tavolo dedicato (coordinato da Dina Giuseppetti del Centro Giovani Matemù – CIES Onlus  e Marina Visentini di Teatro Magro), che rappresenta la condizione affinché possa stipularsi quel patto precedentemente accennato. E consapevoli lo si diventa con il passare del tempo, nella sedimentazione di relazioni e nell’investimento sui legami tra i componenti del gruppo, che siano questi sempre orizzontali. Da qui il bisogno, più volte ribadito, di poter strutturare presidi territoriali fissi e laboratori permanenti affinché il cambiamento avvenga attraverso una «relazione micro sociale» costruita sulla conoscenza dei bisogni e aspettative dei ragazzi e ragazze da parte degli operatori. Un «hortus conclusus» nella metafora scelta dal docente Alessandro Pontremoli volta a indicare l’intimità preziosa di queste metodologie di ascolto.

La lingua, i linguaggi e il plurilinguismo generano altresì consapevolezza: la parola in che modo crea cittadinanza? È stata una delle domande sollevate dalla regista e operatrice sociale Margherita Ortolani (coordinatrice del tavolo assieme a Luca Lotano di Asinitas) con l’intento di non delimitare l’esperienza linguistica solo al risultato teatrale e alla sua comprensione perché la lingua prodotta dal gruppo è la rappresentazione del gruppo stesso, e bisogna avere cura dell’alfabeto scelto e incorporato dai componenti. Del resto, ci sono diversi livelli di comprensione in uno spazio teatrale all’interno del quale siamo tutti e tutte “stranieri”, e scegliere di parlare nella propria lingua madre o in italiano è sempre una scelta discrezionale del partecipante. Si può porre l’accento su questa pratica come quella capace di attivazione relazionale, e linguistica, che genera a sua volta attivazione sociale e facilita il miglioramento della qualità della vita dei partecipanti e la loro sicurezza, in se stessi e nell’Altro. Dato indispensabile nello svolgimento delle pratiche che può essere analizzato attraverso focus specifici, questionari e interviste.

Foto di Giuseppe Galante

Il tavolo dedicato alla programmazione, coordinato da Carla Peroleiro e Antonino Pirillo (direttrice Suq Genova Festival l’una e codirettore del Teatro Biblioteca Quarticciolo l’altro), consapevole della relativa marginalità del teatro sociale (salvo alcune eccezioni) all’interno dei cartelloni teatrali e festivalieri, ha provato a pensare ad azioni di conoscenza e avvicinamento attraverso azioni collaterali alla programmazione teatrale (che includano anche percorsi legati al cibo, musica, incontri) sul modello di buone pratiche esportabili da esperienze che hanno saputo dialogare con il territorio, intercettando i cambiamenti della società. Un altro aspetto affrontato riguarda la possibilità di una formazione reciproca non soltanto nei confronti del pubblico ma della cittadinanza e delle cariche decisionali su temi interculturali.

Il tavolo coordinato da Anna Detheridge (Connecting Cultures) e Carola Carazzone (Assifero/Dafne), in una dimensione raccolta (i partecipanti in questo caso invitati direttamente dai curatori, erano soggetti operanti in Fondazioni internazionali) ha riflettuto invece sulla necessità di sfrondare la settorialità delle questioni legate al teatro sociale perché possa esserne ampliato l’impatto. Altra questione centrare riguarda la necessità delle fondazioni di farsi mediatori per i soggetti richiedenti, riflettendo sulla costruzione di linguaggi condivisi che portano sì alla consapevolezza del cambiamento ma che veicolati, in maniera ampia e trasversale sui territori, potrebbero inoltre accrescere una cultura della sostenibilità. Spesso le fondazioni possono ricoprire questo ruolo di collante tra vari soggetti territoriali, quelle private soprattutto perché più sperimentali e avventurose e proiettate verso una progettazione comune che possa unire pubblico e privato. Inoltre le fondazioni dovrebbero usare il proprio impatto per fungere da erogatrici di servizi e sensibilizzare i grandi pubblici in relazione a queste tematiche. Per favorire ciò è importante attivare sinergie tra le risorse disponibili, creare rete, contaminazioni e alleanze, come sottolineato anche da Paolo Masini ideatore nel 2016 del progetto MigrArti, presente durante la giornata di convegno conclusiva, il quale ha sottolineato quanto sia necessario capire quanti siano i fondi, chi ne usufruisce, in quali territori e con quali modalità. Al fine di creare questa mappatura di trasparenza si sta lavorando a una versione 2.0 di MigrArti, che al momento ha il suo focus su un sito che raccolga tutto quello fatto finora e che sia in grado di mettere in rete anche quello che attualmente c’è. 

Quello della professionalizzazione – per quanto sia per molti fondamentale perché chiama in causa i partecipanti come soggetti attivi non solo del loro privato ma anche rispetto a un orizzonte lavorativo più ampio – è un aspetto complesso, non sempre obiettivo di tutte le esperienze coinvolte e che, per la natura polimorfica dei laboratori, necessariamente deve fare i conti con l’effimero, la transitorietà e la fragilità.  Anche di questo racconta la presentazione dei lavori finali che hanno coinvolto durante l’anno i rispettivi tre gruppi: l’esito di laboratorio diretto da Fabiana Iacozzilli per Asinitas (Abitare il ritorno. Echi e visioni di donne, uomini e oggetti), lo spettacolo diretto da Giuseppe Provinzano per Progetto Amunì/Babel (Element-Z) e lo spettacolo diretto da Flavio Cortellazzi per Teatro Magro (V.Visitors). Progetti che nell’occasione delle giornate di Migrart Lab Conference, sono stati presentati per la seconda volta in maniera collettiva, dopo il debutto avvenuto a Santarcangelo. I progetti, al di là della condivisione di parti di percorso, tuttavia, hanno strade e vite diverse, anche le aperture al pubblico e la più o meno maggiore definizione del lavoro, dipendono dal singolo; le modifiche e limature registico drammaturgiche non hanno risentito solo del ragionamento post spettacolo portato avanti durante le giornate di Santarcangelo, ma hanno fatto i conti anche con il diverso grado di presenza dei partecipanti, per inevitabili ragioni dovute ai cambiamenti nella vita dei ragazzi e ragazze.

Foto di Giuseppe Galante

«Il teatro sociale ha posto un problema fondamentale riguardante la necessità del teatro, che è una domanda inesauribile, alla quale non si può dare risposta ma invita di volta in volta a riflettere sulle sue funzioni. Uno spazio neutrale dove le cose possono accadere senza regolarle perché il valore del teatro è insegnare a usare quello che è necessario», è stata la riflessione del docente Guido di Palma alla quale si è unita anche quella del collega Alessandro Pontremoli. Quest’ultimo ha sottolineato l’inesauribile valore politico di questi percorsi che si attuano, a dispetto delle contingenze, nel permanere della pratica teatrale: «il teatro è il luogo della permanenza perché ha senso nella memoria di chi lo fa e di chi lo guarda. È la memoria dei soggetti a renderlo permanente. Il teatro sociale è uno straordinario strumento di mediazione perché offre la possibilità di far prendere parola a chi normalmente non ha voce in capitolo inventando nuove forme di politica e di partecipazione».

Redazione

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