Recensione. L’armata Brancaleone con la regia di Roberto Latini, prodotta da Teatro Metastasio, Ert teatro nazionale. Visto all’Arena del Sole di Bologna.
Una barra metallica cala al centro del palco con sette attori. Sette alieni/astronauti in tutine colorate alla Star Trek, con una piccola navicella bianca appuntata al petto e le parrucche colorate. Con un’armata alla Roddenberry che di quella monicelliana porta soltanto il taglio di capelli, così comincia L’armata Brancaleone prodotta da Teatro Metastasio di Prato/ERT per la regia di Roberto Latini.
Tutto inizia con una didascalia, la prima didascalia della sceneggiatura, che una di loro, un’aliena dai capelli rossi recita febbrilmente, meccanicamente, mimando suoni e azioni. E poi, da qui, una dopo l’altra cominciamo a ripercorrere le celebri scene, ma forse ancora non ci rendiamo conto che la recitazione di questi attori evoca in ogni aspetto quella degli attori originali, fino al perfezionismo e all’eccesso. E così è per il testo: se non che per il taglio di alcune scene della parte centrale della vicenda, la sceneggiatura è recitata per intero, senza errori, rimozioni, aggiunte.
Nei materiali di sala leggiamo come per Latini L’armata Brancaleone non sia soltanto un film. «Non è un film, è il film», scrive invece Franco Cardini nell’introdurre l’edizione Erasmo della sceneggiatura. Sceneggiatura che, nell’operazione condotta da Latini, sembra diventare il fulcro del discorso, il punto di partenza per l’esplorazione di un fenomeno memorabile e, sempre secondo il regista, patafisico. Attira la nostra attenzione un particolare del foglio di sala: “la sceneggiatura di Age-Scarpelli”, si legge. Ed eccolo lì, l’omissis di cui non tardiamo a notare la presenza (o, meglio, l’assenza?): in queste righe manca Monicelli. Il che denuncia sia un piccolo, perdonabile errore informativo (poiché la sceneggiatura è originariamente firmata Age-Scarpelli-Monicelli), così come un segno da non sottovalutare nei confronti dello spettacolo.
In quest’ottica l’operazione appare come il tentativo di rimuovere l’elemento filmico dalla vicenda dell’Armata, di astrarne il testo e farne “un classico del contemporaneo”, così recita il foglio di sala. Non più quel medioevo in pellicola, «intreccio tra invenzione e rappresentazione non realistica ma verosimile» (Franceschini in L’armata Brancaleone. La sceneggiatura, Edizioni Erasmo, 2016), agglomerato di epoche ed eventi, un medioevo che non tarda, nella caricatura e nel costume incredibile, a farsi parodia di un manierismo diffuso in quegli anni. Nella scena immaginata da Luca Baldini regnano il bianco sporco e graffiato del rigido fondale e qualche figura geometrica (un parallelepipedo, due cubi), le luci taglienti disegnate da Max Mugnai, il suono potente di Gianluca Misiti che fa tremare le poltrone e cita le trombe e la grancassa di Carlo Rustichelli che citava l’orchestra di Wagner.
Latini pone una sfida, alla famigerata sceneggiatura prima, a Monicelli poi, infine al suo pubblico. Cosa accade a questo testo se gli si tolgono le immagini a cui esso è tanto legato fin dalla sua concezione? Se si toglie il medioevo, i castelli e le armature – seppur sgangherate – dei cavalieri? La sceneggiatura de L’armata rappresenta un caso letterario assolutamente affascinante. Ne dà un resoconto e un’analisi avvincente Fabrizio Franceschini nell’introdurre il volume pubblicato da Edizioni Erasmo: un testo che appare come deliberatamente comico, assurdo e parodistico, ma che in realtà sottende uno studio raffinato e meticoloso delle lingue italiane e della loro evoluzione, soprattutto nell’ambito delle belle lettere; e che, nel film per cui nasce, nella sua ambientazione, evolve e descrive con soluzioni sottili i personaggi, le dinamiche e i ruoli sociali, il viaggio, in un’indagine che va molto oltre la commedia per tentare di ristabilire i termini di un linguaggio familiare vettore di senso tramite le proprie bellezze e bruttezze.
Patafisico, così Latini descrive il testo de L’armata. Ma lo è realmente? Un mondo parallelo della fantasia è descritto dalle singolarità di questi cavalieri malconci e dal cuore puro, senza paura e senza danari, e che quindi possono diventare ora astronauti, visitors di un universo parallelo, reale per quanto assurdo? Oppure la parodia del Brancaleone serve a trascendere l’immagine di un medioevo perfetto e irraggiungibile e a restituirci quella di un medioevo perpetuo fatto di povere genti e avventure ridicole – ma pur sempre avventure?
Seppur spogliato di ogni immagine e riferimento cinematografico Monicelli e la rua regia rimangono in questo spettacolo, e sono i personaggi, gli attori e la loro recitazione. Quegli attori immortali e impressi nella pellicola che adesso riprendono vita in un cast fenomenale, capace di rievocarli nelle forme e nelle posture, nelle voci e nelle espressioni, con tempi perfetti, un ritmo incrollabile, e che sa suscitare la partecipazione e l’ilarità sincera degli spettatori anche al di là delle indelebili battute. Complice è la bravura dei singoli attori e l’abbinamento perfetto tra ruolo e personaggio: Elena Bucci è un energico e travolgente, seppur minuto, Brancaleone; Marco Vergani nei panni e nella r moscia di Teofilatto e Savino Paparella in quelli di Abacuc. Gli altri attori interpretano più di un ruolo in uno spiccato virtuosismo: irresistibili Claudia Marsicano dai capelli rosso fuoco, di volta in volta una comparsa differente, Marco Sgrosso nell’imitazione perfetta del monaco Zenone e del fabbro; Francesco Pennacchia, nota di colore preziosa in questo cast, con lunghi capelli biondi trascina il pubblico interpretando il mitico ronzino Aquilante e Matelda. Infine Ciro Masella che interpreta Pecoro, Taccone e Mangoldo contemporaneamente rispondendosi e saltando repentinamente tra le tre diverse impostazioni vocali. E complice, senz’altro, il grande gioco di squadra che gli attori realizzano in scena, nel quale vediamo il vero percorso di scrittura scenica di questo spettacolo: rompono le fila questi attori, sparpagliati nello spazio del palco, su piani differenti, in inquadrature che si sommano e giustappongono nell’assenza sottolineata da questa scenografia.
E tuttavia, nonostante la dispersione e la frantumazione a cui assistiamo, è qui che il film sopravvive, inespugnabile, in quel modo di dire un testo fuori dal comune, che nasce modellato su quei volti (quasi tutti, almeno), quelle voci, quei corpi (che per giunta nel film non sempre corrispondono l’uno all’altro); poiché si tratta di una sceneggiatura alla cui invenzione e scrittura partecipa il regista Monicelli, che nelle didascalie e nei personaggi già scrive il suo film.
Questo Latini lo sa, sa di non poter togliere alle parole il loro parlante. Ma tenta di togliere ogni altro riferimento. Esperimento difficile da verificare su chi ancora ha fresche nella memoria le immagini tanto famose, ma che sembra condurre alla conclusione per cui L’armata Brancaleone non è il medioevo, non sono i cavalieri, i cavalli, le armature, bensì una giostra di personaggi che gira di moto perpetuo al di là delle epoche, che ancora sa raccontare una vicenda di sudore, lacrime e sanguine anche fuori dal proprio contesto originario, anche lanciata nello spazio su di una navicella.
Insomma a questo testo il medioevo non serve. Un’accusa a una regia che invade il testo e non gli lascia lo spazio necessario ad agire ed esplodere? Oppure un omaggio a Monicelli, poiché il genio del regista è tutto qui, e non in quel medioevo parodico e fintamente realistico? Non sapremo mai se, nella nostra immaginazione, questi personaggi riescono realmente a spogliarsi dei loro abiti originali o se dietro quelle tutine colorate ancora vediamo, in sovraimpressione, la pellicola sfocata di un film che ha fatto storia.
Il regista Latini si aggira in questa scena nei panni di Arnolfo “Mano di Ferro”, della morte che insegue l’armata e che, così come nel film, non parla parola comprensibile, di Petrolini, di Roberto Latini. E parla alla luna bianca che è anche la luna di Astolfo e del Barone di Munchausen, che brilla sullo scudo dell’avversario di Don Chisciotte. Che è la luna di tutti i cavalieri e di tutti gli attori.
Angela Forti
11 novembre 2021, Teatro Arena del Sole, Bologna
L’armata Brancaleone
Adattamento teatrale di Roberto Latini
da un’opera di Mario Monicelli, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli
regia Roberto Latini
musica e suoni Gianluca Misiti
scena Luca Baldini
costumi Chiara Lanzillotta
luci Max Mugnai
assistenti alla regia Giorgia Cacciabue e Alessandro Porcu
con Elena Bucci, Roberto Latini, Claudia Marsicano, Ciro Masella, Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Marco Sgrosso, Marco Vergani
coordinamento tecnico dell’allestimento Marco Serafino Cecchi
assistente all’allestimento Giulia Giardi
direttore di scena Marco Mencacci
macchinista Loris Giancola
elettricista Alberto Martino
fonico Daniele Santi
trucco e parrucco Bruna Calvaresi
sarta Annamaria Clemente
amministratrice di compagnia Camilla Borraccino
foto Guido Mencari
produzione Teatro Metastasio di Prato, ERT/Teatro Nazionale
con il sostegno di Publiacqua