Dall’ultimo Premio Riccione alle esperienze romane di Situazione Drammatica curata da Tindaro Granata e Playground di PAV: un affondo sulle figure autorali e i testi vincitori di Pier Lorenzo Pisano, Nicolò Sordo, Christian Di Furia.
È trascorso un mese dalla premiazione della 56° edizione del premio Riccione per il Teatro, durante il quale abbiamo attraversato, e lasciato risuonare, i tre testi premiati dallo storico concorso. Un tempo forse lungo per le cronache, forse breve per registrare il rispecchiamento fra le parole e il tempo prima, dopo di esse e fra di esse. “C’è gran desiderio, c’è bisogno, confusione, malessere, grande slancio, spossamento, depressione, presa in giro, imperizia, spaesamento”. Era stata Lucia Calamaro a leggere il verbale di giuria, regalando un piccolo spettacolo in un semplice, ma mai scontato memorandum di cos’è una drammaturgia. Una storia ci deve essere – “le belle storie vincono sempre”. Poi ci deve essere, ci ha ricordato la giuria attraverso la voce suadente di Calamaro, la consapevolezza della natura transizionale e sinestetica dell’oralità. Inutile aggiungere che, con la consueta, caustica sagacia della drammaturga romana, il sapido resoconto mirava a evidenziare la mancanza di questi tratti in buona parte dei 402 testi ricevuti in lettura dalla giuria composta da Stefano Accorsi, Graziano Graziani, Claudio Longhi e Isabella Ragonese oltre a Calamaro, presidente. Né poteva mancare l’affondo sulla sfida specifica e indifferibile del presente “Come ripensare, come scrivere un mondo che di colpo è costretto a fare fronte a uno dei suoi più grandi rimossi: la certezza della sua finitudine?”. I temi citati sottendono l’ampia questione del ruolo degli autori e delle autrici oggi, in una fase storica in cui la parola scritta paga un debito comunicativo rispetto alla suggestione di corpi, spazi, immagini. Petizione che necessariamente porta a quella formativa, nell’urgenza di inquadrare i percorsi della scrittura in sentieri multidisciplinari per mutuare il potere narrativo o comunicativo di altri linguaggi. Un percorso, dunque, che una volta di più avvicina il mestiere di drammaturghi e drammaturghe a quello del dramaturg.
Oggi è infatti un paesaggio diverso da quello, già mutevole e rapidissimo, del 2019 (anno della 55° ed. del premio). Le città, le relazioni, le cose vibrano di un dubbio radicale, frutto di una relativizzazione storica: l’oggi è un paesaggio del dubbio, i cui riverberi emanano intensissimi leggendo il testo vincitore, Carbonio di Pier Lorenzo Pisano (già premio Tondelli nel 2017 con Per il tuo bene). Un uomo, una donna, una voce, in una stanza nera che è la stessa black box di una realtà messa in discussione dall’incontro con un’alterità indefinita e radicale, forma di vita diversa da noi, “quelli del carbonio”. La scrittura di Pisano abita proprio nella fatica di definire l’incontro col “grande altro”, nella mancanza di parola che spezza i tempi del racconto e rende incerte le immagini che, componendosi, svaniscono al contempo. L’afasia diventa un meccanismo fonetico e insieme – come vuole la lectio in esergo della giuria – immaginifico. Interrogato dalla donna (una poliziotta? Una psicologa?) sull’incontro con quell’entità, l’uomo agisce il dialogo sul filo sottile della rimozione, lottando contro un passato tanto indefinito quanto abitato da un preciso e inequivocabile dolore. Perlustrando il ricordo luttuoso che diventa profezia di annientamento, le parole di Carbonio avvampano di emozioni comprensibili a tutti, emozioni che potremmo definire persino pubbliche in quanto afferenti ad una condizione storicamente condivisa. Pisano getta le sue parole oltre i confini certi del linguaggio come entità data, in un territorio dove la locuzione e con essa il gesto drammaturgico stesso diventano esplorazioni siderali, come le testimonianze sparse e paradossali del Voyager Golden Record – disco d’oro lanciato nello spazio nel 1977 e contenente tracce sonore e immagini per raccontare l’umanità ad un’alienità non meglio definita, icona tutelare del testo. La qualità dialogica della scrittura mette in luce una cadenza limpidamente teatrale, l’ordinata composizione per quadri, interrotti da una voce fuori campo, sottende uno sguardo che include una proto-regia nella scrittura – Pisano è anche regista oltreché autore. Senza citarne il palmares, l’artista napoletano, appena ventinovenne, si conferma fra i più prolifici della sua generazione.
Carbonio è appena andato in lettura a Romaeuropa Festival, in occasione di Situazione Drammatica, focus su Riccione e sulla nuova drammaturgia italiana curato da Tindaro Granata; negli stessi giorni è stato tradotto in inglese in occasione di Playground, workshop organizzato da PAV come cantiere di collaudo per testi teatrali non ancora portati sulla scena. La lunga eco fra Riccione e Romaeuropa ci aveva peraltro offerto, poche settimane fa, le mise en espace di Notte Bianca di Tatjana Motta, premio Riccione della scorsa edizione 2019, e Nel bosco di Carlotta Corradi, finalista dell’edizione 2017, a conferma, dato lo spessore non solo teatrale di quei testi, dello scavo assiduo che la realtà romagnola opera alla ricerca di parole per il presente (qui la riflessione di Andrea Pocosgnich a partire dalle rispettive mise en espace). In queste settimane che ci separano dalla premiazione di Riccione, il testo di Pisano si è insomma fatto materia vivente, lungo una parabola ideale che porta la parola scritta a farsi oggetto di studio attraverso la lettura pubblica, dispositivo intermedio però già in grado intercettare un pubblico interessato alle fasi “cantieristiche” che precedono la spettacolarizzazione.
È rilevante notare la vivace partecipazione accesa da questi momenti di non-finito teatrale, in cui il pubblico può vivere il privilegio di osservare i processi interstiziali, le fasi di puntellamento di un testo che viene dischiuso alla scena da una messa in voce che ridefinisce, di volta in volta, la compiutezza relativa dei personaggi. Se il workshop Playground, svolto su piattaforma Zoom fino ad una restituzione in call aperta al pubblico, ha evidenziato una predisposizione genetica del formato stesso di Carbonio a questo canale comunicativo ormai entrato nella quotidianità, Situazione drammatica, che ha previsto la consegna del testo al pubblico con l’arricchimento delle note di lettura apportate dagli attori (in foto Francesca Turrini e Francesco Villano, leggono Carbonio), ha esaltato una dinamica di condivisione di pensieri e oggetti materiali ampiamente diffusa in altri contesti europei.
Ancora in occasione di Situazione drammatica è stato letto OK BOOMER (Anch’io sono uno stronzo) di Nicolò Sordo, premio Tondelli sul palco riccionese. Sordo, classe ’92, è per formazione attore-autore: OK BOOMER è infatti abitato da personaggi incredibilmente vividi, tratteggiati nei particolari corporei secondo una sorta di chiassosa, ironica tassonomia post-umana di questo nostro capitalismo avanzato – troppo avanzato, fino a superare sé stesso incancrenendosi, rivelandoci il proprio rimosso, il mondo sotterraneo che lo sostanzia e lo rende (im)possibile. Sordo intercetta questa dualità nella surreale immagine-cortocircuito di un paio di Nike Air, vendute in un coloratissimo negozio di un centro commerciale del nord Italia, nello scantinato del quale si nasconde un laboratorio clandestino di immigrati celati dal segreto unanime dell’inquietante comunità dei dipendenti: “bangla fantasmali rinchiusi in un “sotto” senza nome, che è il sotto e il dietro del mondo: quello che tutti facciamo finta di non vedere” riassume la giuria. Voce narrante e chiosante la vicenda, un adolescente infatuato delle iconiche sneakers americane, quanto consapevole (fin troppo consapevole) della natura effimera e pretestuosa del desiderio di consumo, surrogato sessuale di una vita subalterna, alla periferia delle emozioni e delle relazioni. Tanto quanto quello di Pisano, l’immaginario di Sordo è abitato da un’indefinita presenza straniante e straziante. L’uno e l’altro testo sublimano le nostre paure, facendo leva su atmosfere marcatamente cinematografiche o letterarie di ascendenza fantascientifica. Echi di Philip K. Dick, S. Lem, A. Tarkovskij, J. VanderMeer nella scrittura di Pisano; quasi tarantiniani gli accenti di OK BOOMER, ma con tratti fiabeschi e noir, da Charles Perrault a Luigi Malerba.
Più avvitato sul proprio baricentro letterario è Flusso di Christian Di Furia, canto per voce sola – o due, come recano le note sulla scena, premiato con la menzione Franco Quadri (anche Di Furia è presente nel format di Romaeuropa, ma con Amore storto, già premio Hystrio Scritture di scena 2021). Il testo respira sulla pagina come nel proprio habitat naturale, gli a capo restituiscono un equilibrio grafico autonomo, fatto di lettere prima che di suoni. Nel silenzio della lettura personale, però, la metrica fa intonare un salmo. Appare subito chiaro che Flusso può abitare la scena a patto di prendere il corpo di un’attorialità esuberante, magnetica e magmatica, al centro di un palco nudo. Immagine, voce e grafia si fondono nella rapsodia di un essere fra la nascita e la morte; madre, padre e figlio si inseguono nei versi, petizione di un’origine e dunque di una casa. Il lirismo di Flusso genera una distanza fra il soggetto e il nostro tempo, istituendo un tempo a parte, circolare. Anche Flusso, però, è abitato da un monstrum – un vortice pronto a inghiottire il tempo e le parole. Qualcosa che sta sotto, o sopra la scena, incombendo.
Questi tre testi sono istantanee di una lotta, saggi strategici di una trasformazione attiva del linguaggio drammaturgico, arte viva.
Andrea Zangari
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