Un racconto dal CrashTest Teatro Festival di Valdagno. La manifestazione ha festeggiato 10 anni di attività.
Valdagno è famosa per essere la città del marchio Marzotto, simbolo della imprenditoria illuminata del nord est. Ci vivono 24 mila anime, una parte dell’urbanizzazione è figlia proprio di quella idea di Città Sociale voluta dall’industriale. Non ci tornavo da quasi dieci anni, quando nel 2012 mi capitò di essere chiamato a fare parte della giuria del CrashTest Festival, una tre giorni di teatro dedicata alle compagnie emergenti. Il festival era appena nato grazie al volenteroso lavoro di Alessandro Sammartin e quelli che allora erano i giovanissimi componenti dell’associazione Livello 4.
Agli inizi di settembre, a distanza di dieci anni, mi sono ritrovato sotto alle stesse montagne, in un festival cresciuto ma non cambiato nelle sue zone più sensibili, quelle comunitarie. Alcuni di quei giovani stanno mettendo su famiglia, si muovono nella manifestazione dando una mano tra nuove incombenze famigliari e figli in arrivo. CrashTest festival ha prodotto in questi anni un ricambio generazionale che potrebbe essere preso ad esempio quando si parla di progettazione culturale. La sfida d’altronde, per progetti come questo, sta proprio nel riuscire a mantenere radici locali e occhi ben puntati verso stimoli, dinamiche ed energie nazionali, se non addirittura internazionali.
Allora le radici in questo caso sono proprio le persone: Livello 4 allena i ragazzi e le ragazze, sin dalle scuole, alla passione per il teatro, a quel “fare insieme”, alcuni rimangono nell’organizzazione del festival, studiano per fare del palcoscenico la propria vita. Insomma uno sviluppo dal basso che vede poi un’apertura allo sguardo di artisti e ospiti nazionali.
Siamo di fronte al grande teatro/cinema (come spesso accade, di proprietà della Chiesa) con una scritta “Super” che sembra il logo di una griffe sportiva anni ’80; in giardino un gazebo per gli incontri, l’immancabile ape car per lo streetfood e una birra locale da spillare sul momento che, guarda caso, si chiama Ofelia. Rispetto ad altri festival qui si predilige il tempo sospeso invece dell’affanno, gli spettacoli in rassegna vengono selezionati attraverso un bando e la selezione, che prevede la visione di centinaia di video, è collettiva. Il pubblico di Valdagno partecipa alle serate del festival con passione, oltre che con un voto che concorre al premio degli spettatori. Quest’anno si è aggiudicato la segnalazione lo spettacolo Hu|Or|ME, della Kinesis Contemporary Dance Company guidata dal coreografo Angelo Egarese; poi c’è il premio della giuria (ho avuto la possibilità di farne parte insieme a Sonia Antinori e Mauro Montalbetti) che ha consegnato la targa al progetto dei livornesi mo-wan teatro, Riflessioni: un’indagine sul corpo, con l’ideazione e la regia di Claudia Caldarano sull’etero-direzione, sulla manipolazione della performance dall’interno e sul ruolo creativo dell’arte; un lavoro di grande pulizia formale e concettuale in cui la danza è strumento e veicolo di qualcos’altro, dove la scena vuota è come la tela da riempire di idee.
Ma è sempre l’inatteso che colpisce in luoghi come questo: nell’ultima sera del festival, in una sorta di carrellata di anticipazioni in cui compagnie già passate negli anni scorsi da Valdagno propongono un frammento di un lavoro in preparazione (da seguire anche gli sviluppi futuri degli studi presentati dal Gruppo Teatro Campestre e C&C company), si è messa in evidenza anche la compagnia torinese Anomalia Teatro, che ha colpito per la scrittura, l’interpretazione e il coraggio con cui ha aggredito un tema del nostro presente. Fantasie di complotto è una possibile riflessione su uno squarcio della nostra quotidianità, ed è la riflessione che stavamo aspettando. Debora Benincasa, in una scena buia, con una felpa nera, di fronte a un computer, è la voce del complotto, lo attraversa da dentro calandosi in un personaggio estremo ma credibile, e lo affronta dall’esterno quando il discorso prende le mosse dal complottismo americano pre-pandemia (per arrivare poi all’antivaccinismo di oggi). Anomalia Teatro (Amedeo Anfuso, Debora Benincasa, Marco Gottardello) ha dimostrato, in meno di mezzora di studio, che il teatro ha i mezzi per riflettere su questa attuale incapacità della nostra società di avere a che fare con la realtà e le sue distorsioni. Testo affilato, ironico, interpretazione coerente e mai accomodante, Fantasie di complotto ora ha bisogno di qualcuno che voglia rischiare su una compagnia giovane e talentuosa.
Dovrei però ricordare che questo spettacolo è arrivato proprio dopo un incontro pubblico in cui è stato un piacere poter ascoltare le riflessioni dei giovani appartenenti alla comunità di Livello4, un incontro tra spettatori, organizzatori e compagnie in cui l’interrogazione dell’urgenza del fare teatro si misurava anche con le possibilità estetiche. Ci siamo domandati ad esempio come mai il teatro delle nuove compagnie emergenti abbia maggiore facilità a rapportarsi con i codici del corpo più che con quelli della parola; alcuni ad esempio hanno sottolineato proprio la necessità del silenzio in un momento storico in cui dobbiamo quotidianamente affrontare una tempesta di parole che cerca di convincerci, persuaderci, ingabbiarci o fregarci.
Ma l’arte certe volte va più veloce del pensiero, questo direi ora, a quelle giovani donne e a quei giovani uomini che sotto al gazebo del cinema/teatro Super accarezzavano problemi più grandi di noi con la leggerezza e l’energia dei vent’anni: l’arte deve esplodere e prenderci in contropiede, come il fiume di parole che è arrivato, poi sul palco, per parlarci di complotti e grottesche realtà.
Andrea Pocosgnich